La città di Palermo si onora di avere i seguenti santi patroni: Santa Rosalia, Sant’Agata, Santa Cristina, Santa Ninfa, Sant’Oliva di Palermo e San Benedetto il moro da San Fratello.,

Oggi, per informarvi sulle vicissitudini terrene di Sant’Oliva, ho scelto uno stralcio del testo tratto dalla esauriente pagina di siciliaterradelsole.com

 

Statua di San Oliva di Palermo, Quattro Canti, ( Wikipedia, Creative Commons CC0 CC)
La vita di Oliva è incerta, ricca di superstizioni dovute alle leggende che l’hanno arricchita posteriormente, nonché di punti interrogativi. Prima di tutto l’epoca in cui è vissuta. Probabilmente visse verso il 437, epoca in cui Genserico, capo delle bande dei vandali, s’insediò nelle provincie romane del Nordafrica occupando la città di Cartagine. Da qui condusse due incursioni in Sicilia; la prima nel 446, nella quale occupò Lilibeo, la seconda, nel 454, nella quale assediò Palermo senza poterla espugnare. A quest’epoca Oliva era una giovinetta di tredici anni. Più fonti la indicano come figlia di una famiglia molto agiata. Di sentimenti tanto religiosi da aver fatto voto di castità ed essersi dedicata ai poveri e ai diseredati della città. Caduta nelle mani dei vandali di Genserico venne deportata a Cartagine. Qui i vandali, essendo ariani, imposero l’abiura ai deportati. Oliva, condotta davanti al governatore Amira, rifiutò. Forse anche perchè il riscatto non arrivava , costui la spogliò di ogni cosa e la fanciulla, ridotta in povertà, riprese la sua vita fra i poveri. Costituì una piccola comunità e la sua operosità benefica la rese nota e popolare anche a Cartagine. Dopo un certo tempo il governatore della città di Cartagine, per evitare che i cattolici ne facessero un simbolo per riprendere vigore contro gli ariani, le ingiunse di vivere fuori città, in una grotta. Ma anche qui Oliva, imperterrita, continuava la sua attività benefica verso gli esclusi, gli emarginati. Alla fine il governatore, fattala prendere, la sottopose a supplizio e le fece decapitare. Era il 10 giugno dell’anno 463. Oliva aveva ventidue anni. I suoi poveri, che avevano seguito le vicissitudini della giovane benefattrice nei nove anni di deportazione, ne trafugarono il corpo e lo seppellirono facendo edificare in seguito, presso la sepoltura, una piccola cappella. Con l’arrivo dei saraceni questa fu trasformata in moschea. Altre fonti danno per certo – invece – che il corpo fosse stato riportato a Palermo.

Statua di Sant’Oliva – Cattedrale di Palermo (Fito: José Luiz Bernardes Ribeiro / CC BY-SA 4.0)

D’allora in poi la vita di Oliva fu circonfusa dalla leggenda, in seguito sopravvenne la canonizzazione. La particolare morte della santa panormita dal nome curioso e familiare, si contornava subito di mistero e ammirazione. Il fatto che ella fosse morta in quella terra nordafricana dalla quale vennero poi le terribili incursioni navali dei saraceni, le aggiunse un colore tutto particolare. La leggenda è legata alla vicenda del corpo della martire. In particolare, alcuni affermavano che, riportato a Palermo, fosse stato sepolto nella chiesetta che in suo onore era stata eretta in una zona cimiteriale fuori dalle mura della città; la chiesa di santa Oliva appunto, oggi inglobata in quella di san Francesco di Paola. Altri sostenevano invece ch’esso fosse rimasto a Tunisi, venerato sia dai cristiani sia dai musulmani, e che i saraceni avessero edificato nel luogo della sepoltura una delle loro più grandi moschee. Ma nell’uno e nell’altro caso, questo corpo, avvolto nella pelle di un cammello, giacerebbe nel fondo di un profondo pozzo. Nessuno potrà nè trovarlo nè vederlo. Soltanto quando piacerà alla divina provvidenza esso sarà rivelato.
La leggenda narra che nel giorno in cui il corpo della martire sarà restituito ai fedeli un terremoto sconvolgerà Palermo e il sangue correrà a rivoli riversandosi lungo le vie dell’antico Cassaro (oggi via Maqueda). Grazie a tale sconvolgimento la città – purificata da tanta tragedia – uscirà mondata da una lunga precedente sciagura e avrà inizio un’era migliore.
Alcune cronache monastiche narrano di due tentativi fatti da altrettanti frati del convento di san Francesco di Paola i quali si fecero calare nel pozzo di sant’Oliva. Il primo, dopo aver digiunato e fatto altre penitenze per prepararsi spiritualmente, si fece calare, appeso ad una fune e armato di una fiaccola, nel profondo del pozzo. Tutto andò bene fino a quando , giunto quasi a lambire l’acqua del fondo, si levò improvviso un vortice di vento, la fiaccola si spense e il frate, sbattuto da una parete all’altra del pozzo, quasi tramortito, fu subito tirato su dai confratelli atterriti.
Per nulla sgomento da questo episodio un altro frate volle tentare la stessa esperienza. Si fece calare nel pozzo e, giunto sul fondo, notò la presenza di una caverna. Decise di entrare al suo interno quando una terribile voce lo ammonì a non tentare la sua impresa in considerazione del fatto che il tempo non era giunto e che non era possibile rivelare ai devoti la presenza nel fondo del pozzo del corpo della santa.

stralcio testo tratto dalla pagina: siciliaterradelsole.com

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