La vita di San Bernardo, al secolo Filippo Latino, è stata contrassegnata dalla sua passione per la spada più volte usata a difesa dei suoi concittadini vessati dagli spagnoli.
Filippo Latino era considerato un bravissimo spadaccino e la sua fama lo portò ad essere riconosciuto come prima spada di Sicilia.. Ma proprio a causa di un duello con un palermitano di nome Vito Canino, concluso con il ferimento di quest’ultimo, Filippo ebbe un serio pentimento che lo portò a prendere i voti con i Cappuccini. 

San Bernardo da Corleone – Wikipedia, pubblico dominio

Nato a Corleone, il 6 febbraio 1605, quinto di sette fratelli, la sua casa era, a detta di popolo,”casa di santi”, poiché il padre, Leonardo, un bravo calzolaio e artigiano in pelletteria, era misericordioso coi miserabili fino a portarseli a casa, lavarli, rivestirli e rifocillarli con squisita carità. Nessuna notizia si conosce della sua adolescenza, si può solo dire che man mano cresceva si andava delineando un carattere molto vivace. Imparò innanzi tutto il mestiere di calzolaio e inoltre aiutato dal fatto che il presidio spagnolo dei “Borgognoni” insegnava alla gioventù a maneggiare le armi, imparò anche a tirare di scherma, divenendo ben presto un abile spadaccino che non esitava a servirsi della spada per risolvere le diatribe o i soprusi che i soldati spagnoli facevano ai più deboli. 
Un solo difetto, al dire di due testimoni durante i processi, lo caratterizzava: “la caldizza ch’avia in mettiri manu a la spata quandu era provocatu”. Questa “caldizza” metteva in ansia i suoi genitori, specie dopo che Filippo aveva ferito alla mano un superbo provocatore.
Il fatto era avvenuto sotto gli occhi di molti nel 1624, quando Filippo aveva 19 anni, e fece grande rumore.
Quel sicario prezzolato ci lasciò un braccio e Filippo, considerato la “prima spada di Sicilia”, ne restò scosso nel profondo, chiese perdono al ferito, col quale diventerà in seguito amico, e maturò la sua vocazione religiosa finché, a circa 27 anni, il 13 dicembre 1631, vestì nel noviziato di Caltanissetta la tonaca dei cappuccini, i frati più inseriti nelle classi popolari, e volle chiamarsi frate Bernardo.

La sua vita è semplice. Egli passa nei diversi conventi della provincia, a Bisacquino, Bivona, Castelvetrano, Burgio, Partinico Agrigento, Chiusa, Caltabellotta, Polizzi e forse a Salemi e Monreale, ma è difficile delineare un quadro cronologicamente esatto.

Cella di san Bernardo nel convento di Bivona (AG) – Wikipedia, pubblico dominio

La preghiera e la contemplazione mistica lo resero docile e remissivo. È ovvio però che le tentazioni e gli scoraggiamenti non potevano mancare e solo grazie alle punizioni che infliggeva al suo corpo (che chiamava fratello asino) riuscì a superare tutte queste prove. 
La regola “ora et labora fu il sostegno della sua vita: “faceva il cucinare, serviva amorevolmente gli ammalati e allo stesso tempo cercava di aiutare nei loro lavori i suoi fratelli”. 
Ciò si può dedurre anche dal fatto che mentre era a Bivona, un paese non tanto distante da Corleone, un’epidemia colpì tutti i religiosi di quel luogo, e lui, che in un primo momento era stato l’unico a non essere colpito, li assisteva in tutti i loro bisogni. Ma quando anch’egli fu colpito, fra la disperazione e gli stenti, si portò nella chiesa del luogo, prese la statuetta di S. Francesco e se la mise nella manica dicendo che non sarebbe uscita da lì se prima non lo faceva stare bene per potere dare poi aiuto agli altri ammalati. S. Francesco concesse la sua grazia e così egli si poté rimettere subito al sevizio degli altri. Questo episodio è testimoniato dal Dott. Caracciolo, medico curante dei frati che furono colpiti dal morbo. 

Fortunat Bergant – Beatitudine di Bernardo da Corleone – Galleria nazionale della Slovenia – Wikipedia, pubblico dominio

Di lui si narra ancora che era un guaritore di animali, che a quei tempi erano la ricchezza e il sostentamento delle famiglie. Dove incontrava un animale ferito o ammalato, particolarmente muli, cavalli, mucche, asini, garanzia di lavoro per la povera gente di allora, egli si prestava a risanarli. Tanto che in certi giorni vi erano tanti animali sul piazzale del convento, da far pensare a un mercato di bestie o a un vero ambulatorio prodigioso. Egli usava recitare un Pater, oppure prendeva queste bestie per la cavezza o per le corna e le faceva girare per tre volte attorno alla grande croce davanti al convento di Palermo, invocando il Nome di Gesú. Poi ognuno riprendeva i propri animali perfettamente guariti. 
Una volta, però, il portinaio perse la pazienza e protestò con lui dicendogli che, alla fin dei conti, il suo ufficio non era ad uso delle bestie, ma delle persone. Fra Bernardo, chiedendo perdono, aggiunse: “Mio caro portinaio, sappiate che queste povere creature di Dio non hanno né medico né medicine a loro disposizione; poiché sono incapaci di manifestare i loro bisogni, conviene averne compassione e sopportare un po’ piú di fatica per sollevarle dalle loro sofferenze”. 

Il  pasto abituale di  Fra Bernardo consisteva in tre tozzi di pane duro intinto nell’acqua amara e consumato in ginocchio. 
Un giorno il Signore lo volle confortare e mentre egli si trovava nel refettorio gli apparve, intinse un pezzo di pane nel suo costato e glielo diede facendogli provare le delizie e le gioie del paradiso.

Il suo motto personale, che non si stancava mai di ripetere, era:

“Sia lodato il buon Gesù! 
Una notte di tormento,
 
un giorno eterno di contento.
 
Momentaneo è il patire,
sempre eterno è il partire”.

Le testimonianze dei processi diventano un racconto splendido di caratterizzazioni particolari della sua personalità dolce e forte come la sua patria: “Sempre ci esortava ad amare Dio e a fare penitenza dei nostri peccati” .”Sempre stava intento nell’orazione… Quando andava alla chiesa, banchettava lautamente nell’orazione e unione divina”. Allora il tempo spariva e spesso rimaneva astratto ed estatico. Si fermava volentieri di notte in chiesa perché – come egli spiegava – “non era bene lasciare il Santissimo Sacramento solo; egli li teneva compagnia finché fossero venuti altri frati”. Trovava tempo per aiutare il sacrestano, per restare piú vicino possibile al tabernacolo. Contro il costume del tempo egli usava fare la comunione quotidiana. Tanto che i superiori negli ultimi anni di vita, prostrato per le continue penitenze, gli affidarono il compito di stare solo a servizio dell’altare.
La solidarietà con i suoi confratelli si apriva ad assumere una dimensione sociale. A Palermo, in circostanze di calamità naturali, come terremoti e uragani, si fece mediatore davanti al tabernacolo, lottando come Mosè: “Piano, Signore, piano! Usateci misericordia! Signore, la voglio questa grazia, la voglio!“. Il flagello cessò, la catastrofe fu alleviata.
Si sa che trascorse gli ultimi quindici anni di vita a Palermo, dove incontrò sorella morte. 
Sul letto di morte, ricevuta l’ultima benedizione, con gioia ripetè: “Andiamo, andiamo”, e spirò. Erano le ore 14 di mercoledí 12 gennaio 1667. 

Un suo intimo confratello, fra Antonino da Partanna, lo vide in spirito tutto luminoso che ripeteva con ineffabile gioia: Paradiso! Paradiso! Paradiso! Benedette le discipline! Benedette le veglie! Benedette le penitenze! Benedette le rinnegazioni della volontà! Benedetti gli atti di ubbidienza! Benedetti i digiuni! Benedetto l’esercizio di tutte le perfezioni religiose!“.
Ai suoi funerali vi partecipò una grande quantità di persone desiderose di avere una reliquia di Fra Bernardo. È comunque certo che egli abbia continuato ad intercedere presso Dio Padre per i suoi fedeli in quanto diversi miracoli si contano anche dopo la sua morte.

Fu beatificato, a Roma nella chiesa di S. Pietro dal Sommo Pontefice Clemente XIII il 15 maggio del 1768 e canonizzato il 10 giugno 2001 dal papa Giovanni Paolo II.

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Stralcio testo tratto dalla pagina: lagioiadellapreghiera.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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