Mattia Preti – Sant’Antonio Abate – Wikipedia, pubblico dominio

Sant’Antonio abate è stato uno dei più illustri eremiti della storia cristiana. Nacque a Coma (attuale Qumans, provincia di Beni Suef, un centinaio di chilometri a sud del Cairo), attorno all’anno 250, figlio di agiati agricoltori cristiani. Verso i vent’anni, rimasto orfano, seguendo l’esortazione evangelica “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai poveri” (Mt 19,21), distribuì ai poveri tutti i suoi beni e si ritirò a vita solitaria come già altri anacoreti facevano nei deserti attorno alla sua città, vivendo in preghiera, povertà e castità; malgrado la sua vita ascetica viene considerato il caposcuola del monachesimo, sostenne i confessori della Fede durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, e sostenne sant’Atanasio (vescovo di Alessandria d’Egitto e suo biografo) nella lotta contro gli ariani.

Si racconta di una sua visione in cui un eremita divideva il tempo tra la preghiera e l’intreccio di una corda. Era un angelo che così gli fece capire di doversi dedicare a un’attività concreta, oltre che alla preghiera, anticipando di un paio di secoli la regola benedettina “ora et labora” (= prega e lavora).
Così ispirato condusse da solo una vita ritirata, nella quale i frutti del suo lavoro gli servivano per procurarsi il cibo e per fare carità. In questi primi anni fu molto tormentato da tentazioni fortissime, mentre molti dubbi lo assalivano sulla validità della sua vita solitaria.

Domenico Ghirlandaio – Sant’Antonio Abate – Wikipedia, pubblico dominio

Malgrado si fosse poi ritirato in una antica tomba scavata nella roccia, molta gente si rivolgeva a lui per un aiuto o un conforto, ma al tempo stesso turbava il suo raccoglimento, sicché si spostò verso il Mar Rosso, in una fortezza abbandonata e infestata dai serpenti, dove rimase una ventina d’anni.

Anche qui lo raggiunsero molte persone che volevano dedicarsi alla vita eremitica; Antonio cominciò a consolare gli afflitti ottenendo dal Signore guarigioni, liberando gli ossessi.

Istruì anche nuovi discepoli che diedero vita a due monasteri, nei quali ogni monaco aveva la sua grotta solitaria, ubbidendo però ad un padre spirituale (abbà = padre).

Ma erano troppi anche i semplici curiosi che si recavano da lui, sicché si ritirò nel deserto della Tebaide (alto Egitto) dove visse fino alla morte, avvenuta in una grotta del monte Qolzum il 17 gennaio del 356 (all’età di 106 anni, più o meno) e fu seppellito in un luogo segreto. Il 17 gennaio si celebra la ricorrenza del Santo.

Nel 561 il suo sepolcro fu scoperto e le sue reliquie iniziarono a “viaggiare” arrivando infine a Motte-aux-Bois, in Francia, dove fu costruita una chiesa in suo onore, e dove affluivano folle di malati, soprattutto affetti da ergotismo canceroso conosciuto come ignis sacer (fuoco sacro) per il bruciore che provocava. Fu costruito anche un ospedale e nacque l’Ordine Ospitaliero degli “Antoniani”; il villaggio prese l’attuale nome di Saint-Antoine l’Abbaye, non lontano da Grenoble.

Icona raffigurante sant’Antonio abate. – Wikipedia, pubblico dominio

L’ultima tappa del viaggio delle reliquie fu ad opera di tale Geilin (o Jocelin) signorotto della regione francese del Delfinato, ai piedi delle Alpi, che verso il 1070 le ebbe in dono a Costantinopoli; ma c’è chi dice che Geilin portò le reliquie dall’Egitto.

E arriviamo al maialino che nell’iconografia classica accompagna Sant’Antonio abate, da solo o con altri animali: la faccenda deriva dal privilegio accordato dal Papa di allevare maiali a carico della comunità, per cui i maialini – riconoscibili da un campanellino – circolavano liberamente ovunque, rispettati da tutti.

Il grasso dei maialini veniva usato per curare l’ergotismo, che veniva chiamato “il male di Sant’Antonio” e poi “fuoco di Sant’Antonio” e che all’epoca veniva accumunato con il simile ma meno pernicioso herpes zoster. Ecco perché nella tradizione popolare il maiale venne associato al Santo, il quale finì per essere considerato il patrono dei maiali e più genericamente degli animali da cortile e da stalla, che vengono infatti benedetti in occasione della ricorrenza del 17 gennaio (ma anche gli animali “di affezione”).

Per estensione Sant’Antonio è considerato il protettore degli allevatori dei maiali (compresi i macellai), nonché di quanti lavorano con il fuoco per via della faccenda, cui si cennava sopra, del fuoco di Sant’Antonio.

E il fuoco è entrato nella millenaria tradizione secondo la quale il 17 gennaio nelle campagne si accendono “falò di Sant’Antonio”, con una funzione purificatrice e fecondatrice (ma in passato se ne raccoglieva con cura la cenere per più pragmatici usi casalinghi).

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Stralcio testo tratto dalla pagina: comunitasantiapostoli.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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Inserisco un paragrafo tratto da WikipediaIl “fuoco di Sant’Antonio”

La malattia che l’Ordine antoniano curava in modo specifico era l’herpes zoster detto anche fuoco di Sant’Antonio, molto diffuso tra i poveri a causa della cattiva alimentazione, ed anche l’ergotismo, che era provocato soprattutto dall’ingestione di segale cornuta (veniva così chiamata la segale contaminata da un fungo che sviluppava un alcaloide che provocava l’intossicazione). Gli antoniani usavano soprattutto il grasso di maiale come emolliente per le piaghe provocate dal fuoco di Sant’Antonio, per questo nei loro possedimenti allevavano spesso i maiali che simbolicamente venivano raffigurati anche nelle chiese dell’Ordine.

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