Per parlare di San Gregorio, riprendiamo una parte della seconda predica della Quaresima 2012 tenuta da p. Raniero Cantalamessa nella Cappella “Redemptoris Mater” in Vaticano alla presenza di Papa Benedetto XVI il 16/3/2012
 

San Gregorio di Nazianeo, mosaico del XII secolo. Pendente sull’arco ad arco orientale (lato nord) dell’incrocio del transetto, La Martorana, noto anche come Santa Maria dell’Ammiraglio a Palermo, Sicilia – Wikipedia, foto di Jastrow – Opera propria rilasciata con licenza CC BY 2.5

Il gigante sulle spalle del quale vogliamo salire oggi è san Gregorio Nazianzeno, l’orizzonte che con lui vogliamo scrutare è la Trinità. Suo è il grandioso quadro che mostra il dispiegarsi della rivelazione della Trinità nella storia e la pedagogia di Dio che si rivela in esso. L’Antico Testamento, scrive, proclama apertamente l’esistenza del Padre e comincia ad annunziare velatamente quella del Figlio; il Nuovo Testamento proclama apertamente il Figlio e comincia a rivelare la divinità dello Spirito Santo; ora, nella Chiesa, lo Spirito ci concede distintamente la sua manifestazione e si confessa la gloria della beata Trinità. Dio ha dosato la sua manifestazione, adeguandola ai tempi e alla capacità recettiva degli uomini[1].

Questa triplice ripartizione non ha nulla a che vedere con la tesi, conosciuta sotto il nome di Gioacchino da Fiore, delle tre epoche distinte: quella del Padre, nell’Antico Testamento, quella del Figlio nel Nuovo e quella dello Spirito nella Chiesa. La distinzione di san Gregorio si colloca nell’ordine della manifestazione, non dell’essere o dell’agire delle Tre Persone, le quali sono presenti e operano insieme in tutto l’arco del tempo.

San Gregorio Nazianzeno ha ricevuto nella tradizione l’appellativo di “il Teologo” (ho Theologos), proprio per il suo contributo alla chiarificazione del dogma trinitario. Il suo merito è di aver dato all’ortodossia trinitaria la sua formulazione perfetta, con frasi destinate a diventare patrimonio comune della teologia. Il simbolo pseudo-atanasiano “Quicumque”, composto circa un secolo dopo, deve non poco a Gregorio Nazianzeno.

Ecco alcune delle sue formule cristalline:

Era, ed era, ed era: ma era uno solo. Luce e luce e luce: ma una sola luce. Questo è quello che David si immaginò quando disse: ‘Nella tua luce noi vedremo la luce’ (Sal 35,10). E ora noi l’abbiamo contemplata e la annunciamo, dalla luce che è il Padre comprendendo la luce che è il Figlio nella luce dello Spirito: ecco la breve e concisa teologia della Trinità […] Dio, se è lecito parlare succintamente, è indiviso in esseri divisi l’uno dall’altro” [2].

Gregorio di Nazianzo (icona russa) – Wikipedia, pubblico dominio

Il contributo principale dei Cappadoci nella formulazione del dogma trinitario è quello di aver portato a termine la distinzione dei due concetti diousia e ipostasi, sostanza e persona, creando la base concettuale permanente con cui si esprime la fede nella Trinità. Si tratta di una delle innovazioni più grandiose che la teologia cristiana ha introdotto nel pensiero umano. Da essa ha potuto svilupparsi il moderno concetto di persona come relazione.

Il lato debole della loro teologia trinitaria, da essi stessi avvertito, era il pericolo di concepire il rapporto tra l’unica sostanza divina e le tre ipostasi del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo alla stregua del rapporto che esiste in natura tra la specie e gli individui (per esempio, tra la specie umana e i singoli uomini), prestando così il fianco all’accusa di triteismo [3].

Gregorio Nazianzeno si sforza di rispondere a questa difficoltà, affermando che ognuna delle tre persone divine non è meno unita alle altre due di quanto sia unita a se se stessa [4]. Rifiuta, per lo stesso motivo, le similitudini tradizionali di “fonte, rivo, fiume” o “sole, raggio, luce” [5]. Alla fine ammette, però, candidamente di preferire questo rischio a quello opposto del modalismo: “È meglio, dice, avere un’idea, magari insufficiente, dell’unione dei Tre, piuttosto che osare un’empietà assoluta” [6]..

Perché scegliere san Gregorio Nazianzeno come maestro di fede nella Trinità? Il motivo è lo stesso per il quale abbiamo scelto Atanasio come maestro di fede nella divinità di Cristo e Basilio come maestro di fede nello Spirito Santo. È che per Gregorio la Trinità non è una verità astratta, o solamente un dogma; è la sua passione, il suo ambiente vitale, qualcosa che fa vibrare il suo cuore al solo nominarla

Gli ortodossi lo chiamano “il cantore della Trinità”. Ciò corrisponde perfettamente a quello che sappiamo della sua personalità umana. Il Nazianzeno è un uomo dal cuore più grande ancora della mente, un temperamento sensibile fino all’eccesso, tanto da procurargli non poche delusioni e sofferenze nei suoi rapporti con gli altri, a partire dal suo amico san Basilio.

È nella sua produzione poetica che si rivela soprattutto il suo entusiasmo per la Trinità. Egli usa espressioni come “la mia Trinità”, “la cara Trinità” [7]. Gregorio è un innamorato della Trinità.

Scrive di sé stesso:
“A partire dal giorno in cui ho rinunciato alle cose di questo mondo per consacrare la mia anima alle contemplazioni luminose e celesti, quando l’intelligenza suprema mi ha rapito da quaggiù per posarmi lontano da tutto ciò che è carnale, da quel giorno i miei occhi sono stati abbagliati dalla luce della Trinità…Dalla sua sublime sede essa spande su ogni cosa il suo irradiamento ineffabile… A partire da quel giorno io sono morto al mondo e il mondo è morto per me” [8].

Basta confrontare queste parole con le espressioni tecnicamente perfette, ma fredde del simbolo “Quicumque” che si recitava un tempo nell’ufficio divino della domenica, per renderci conto della distanza che separa la fede vissuta dei Padri da quella formale e ripetitiva che si instaura dopo di loro, anche se quest’ultima assolve anch’essa un compito importante.

Padre Raniero Cantalamessa

 

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[1] Cf. Gregorio Nazianzeno, Oratio 31, 26. Trad. ital di C. Moreschini, I cinque discorsi teologici, Roma, Città Nuova, 1986.
[2] Oratio 31, 3.14.
[3] Cf. Basilio, Epistola 236,6.
[4] Gregorio Naz., Oratio. 31,16.
[5] Ib. 31, 31-33.
[6] Ib. 31, 12.
[7] Gregorio Naz., Poemata de seipso, I,15; I, 87 (PG 37, 1251 s.; 1434).
[8] Ib., I,1 (PG 37, 984-985).

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Stralcio testo tratto dalla pagina: gliscritti.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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