Il 2 giugno 1946 si tenne in Italia il primo referendum istituzionale. Per la prima volta nella storia del Paese, uomini e donne furono chiamati alle urne con suffragio universale per scegliere la forma di governo futura: monarchia o repubblica. La partecipazione fu altissima: l’89,1% degli aventi diritto si recò a votare.

1946 elezioni per la Costituente – propaganda elettorale – Wikipedia, pubblico dominio

La campagna elettorale fu particolarmente accesa. Nelle cosiddette “regioni rosse”, a forte presenza comunista e socialista, si registrarono episodi di intimidazione nei confronti dei sostenitori della monarchia. I partiti di sinistra (PCI, PSI e Partito d’Azione) sostennero apertamente la repubblica, così come il Partito Repubblicano Italiano. Al contrario, il Partito Liberale appoggiò la monarchia. La Democrazia Cristiana adottò una posizione più prudente: lasciò libertà di voto, pur schierandosi idealmente con l’opzione repubblicana. Questa strategia fu dettata dalla volontà di non alienare il vasto elettorato meridionale, in gran parte filomonarchico, e garantire così un ampio consenso nelle elezioni per l’Assemblea Costituente che si svolgevano contemporaneamente. La linea della DC si rivelò vincente. L’Italia, più che politicamente, si divise geograficamente: nelle regioni settentrionali e centrali, dove era più forte l’influenza cattolica e repubblicana, vinse la Repubblica; al Sud, in regioni come la Calabria e la Basilicata, prevalse la monarchia, sebbene la Democrazia Cristiana conquistasse comunque il maggior numero di voti.

Emblema della Repubblica Italiana – Wikipedia, pubblico dominio

Quel 2 giugno segnò una svolta storica. Gli italiani, a poco più di un anno dalla fine della guerra e dalla Liberazione, voltavano pagina. Con la vittoria della Repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente, iniziava la costruzione della democrazia italiana. Un processo che, nel giro di tre anni, avrebbe trasformato un Paese ferito dalla dittatura e dal conflitto in una nazione libera, fondata su nuovi principi.

Il volto “simbolo” di Anna Iberti, sovrapposta a una copia del Corriere della Sera del 6 giugno 1946. – Fondo Patellani presso il Museo di fotografia contemporanea (Cinisello Balsamo, MI) – Wikipedia, pubblico dominio

Un ruolo fondamentale in questo cambiamento lo ebbero le donne. Al loro primo voto politico, parteciparono in massa, in percentuale pari agli uomini. Ventuno di loro vennero elette all’Assemblea Costituente. Il loro contributo fu determinante per l’inserimento di diritti fondamentali nella nuova Carta costituzionale, tra cui l’articolo 3, che afferma l’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, e l’impegno dello Stato a rimuovere gli ostacoli che limitano tale uguaglianza.

La nuova Costituzione non si limitava a sancire le libertà individuali: riconosceva anche diritti sociali e tracciava un programma di riforma civile, economica e culturale per l’intero Paese. Rifletteva le aspirazioni delle forze democratiche e antifasciste che avevano contribuito alla rinascita nazionale.

Le donne che avevano partecipato alla Resistenza e all’antifascismo ricevettero un compito difficile e prezioso: contribuire alla libertà e alla democrazia, ma anche aprire la strada all’emancipazione femminile. Il cammino della cittadinanza delle donne si intrecciò così con quello della Repubblica.

Tra le 21 costituenti, alcune ebbero un ruolo centrale nella stesura della Carta: Maria Federici, Angela Gotelli, Nilde Iotti, Tina Merlin e Teresa Noce entrarono a far parte della Commissione dei 75, incaricata di redigere il testo costituzionale. Teresa Mattei, la più giovane dell’Assemblea con i suoi 25 anni, propose la mimosa, fiore semplice e accessibile, come simbolo della Giornata Internazionale della Donna.

Guardando al percorso compiuto dalla Repubblica in questi decenni, resta evidente che la piena valorizzazione del ruolo della donna nella società è ancora una sfida aperta. Il principio delle pari opportunità è sancito, ma non del tutto realizzato. Per costruire una società più giusta, inclusiva e coesa, occorre continuare a investire nella qualità della vita sociale e nella dignità delle persone – riconoscendo l’insostituibile contributo dell’universo femminile.

Il 25 giugno 1946 si insediò ufficialmente l’Assemblea Costituente, composta da 556 deputati. A presiederla fu eletto Giuseppe Saragat. Tre giorni dopo, il 28 giugno, l’Assemblea elesse Enrico De Nicola come Capo provvisorio dello Stato: ottenne 396 voti su 504 votanti.

Come stabilito dal Decreto Luogotenenziale n. 98 del 1946, il compito principale dell’Assemblea era la redazione della nuova Costituzione. Ma ad essa furono affidate anche altre importanti funzioni: votare la fiducia al governo, approvare il bilancio e ratificare i trattati internazionali. Sebbene formalmente il potere legislativo fosse attribuito al governo, per rispetto delle tradizioni parlamentari prefasciste, molti provvedimenti furono rimessi all’Assemblea.

Fu istituita una Commissione per la Costituzione, composta da 75 membri, incaricata di elaborare il progetto della nuova legge fondamentale dello Stato. Questa si articolò in tre sottocommissioni:

    1. Diritti e doveri dei cittadini, presieduta da Umberto Tupini (DC)
    2. Ordinamento costituzionale dello Stato, presieduta da Umberto Terracini (PCI)
    3. Rapporti economici e sociali, presieduta da Gustavo Ghidini (PSI)

Un ulteriore organo, il Comitato dei Diciotto, si occupò di armonizzare e redigere il testo definitivo.

Ecco le tappe fondamentali del processo:

    • 19 luglio 1946 – 12 gennaio 1947: la Commissione dei 75 elabora il progetto
    • 31 gennaio 1947: il Comitato di redazione presenta il progetto all’Aula
    • 4 marzo – 20 dicembre 1947: il testo viene discusso e modificato in Assemblea
    • 22 dicembre 1947: approvazione definitiva della Costituzione
    • 27 dicembre 1947: la Costituzione è promulgata
    • 1° gennaio 1948: la Costituzione entra in vigore

 

 

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