Nato a Imola, Pietro fu prima diacono nella sua città natale, poi nominato diacono e infine arcivescovo di Ravenna, città che, durante il suo episcopato, divenne metropoli ecclesiastica. Fu uno dei più grandi pastori del suo tempo, celebre per la profondità e la bellezza delle sue omelie.

San Pietro Crisologo, scuola del Guercino – Museo Diocesano Pio IX di Imola. – Wikipedia, pubblico dominio
Famoso predicatore, ci ha lasciato numerosi sermoni permeati di pietà e sapienza, che gli valsero il soprannome di “Crisologo”, cioè “uomo dalla parola d’oro”. Papa Benedetto XIII lo proclamò Dottore della Chiesa.
Pietro visse pienamente l’ideale del vescovo che lui stesso delineò in uno dei suoi discorsi: «Essere in Cristo il libero servo di tutti».
Un momento centrale della sua vita fu la consacrazione a vescovo di Ravenna, avvenuta intorno al 433. A conferirgli l’ordinazione fu lo stesso papa Sisto III, figura chiave nella ricomposizione della pace religiosa dopo le tensioni scatenate dalle dottrine nestoriane. Simbolo tangibile di questa rinnovata armonia fu anche la ricostruzione della Basilica Liberiana sull’Esquilino, oggi conosciuta come Santa Maria Maggiore.
Alla sua prima omelia da vescovo, erano presenti sia papa Sisto che Galla Placidia, imperatrice madre e tutrice di Valentiniano III, figlia dell’imperatore Teodosio e sorella di Onorio.
Galla Placidia era una figura emblematica del suo tempo: già reggente dell’Impero, era stata ostaggio dei Goti, moglie forzata di un capo barbaro e infine vittima di complotti che l’avevano umiliata e cacciata. Intorno a lei e a Pietro, Ravenna si configurava come crocevia dell’Impero: capitale dell’Occidente, ponte fra Oriente e Occidente, città pulsante di scambi, notizie e tensioni, spesso annunciate da messaggeri portatori di cattive notizie sull’agonia dell’Impero romano.
In questo scenario complesso, Pietro governò la sua Chiesa con fermezza e dolcezza, diventando una guida spirituale ascoltata e amata. I suoi circa 180 sermoni ci restituiscono oggi il cuore del suo pensiero: una parola ispirata, profonda, mai aspra, sempre animata da uno spirito di carità.
Tra il 448 e il 449 scrisse a Eutiche, monaco orientale coinvolto in dispute cristologiche, esortandolo con fraterna fermezza a sottomettersi alle decisioni di papa Leone I, “per mezzo del quale – scrisse – il beato Pietro continua a insegnare, a coloro che la cercano, la verità della fede”.
Negli ultimi anni, forse già sentendo avvicinarsi la fine, tornò a Imola per visitare la tomba di san Cassiano, portando con sé ricchi doni. Secondo la tradizione, proprio lì morì, assistito dal vescovo san Proietto. La data della sua morte è incerta, ma si colloca tra il 449 e il 458. Le sue reliquie sono oggi venerate nella Basilica Ursiana di Ravenna.
Nonostante le scarse notizie biografiche certe, ciò che emerge chiaramente dai testi a lui attribuiti è il ritratto di un uomo colto, spiritualmente ardente e profondamente umano. Nei suoi sermoni ritroviamo una fede vigorosa, accompagnata da un’eccezionale capacità di comunicazione. Come scrisse il teologo B. Studer, “la sua attività di predicatore ci ha lasciato una documentazione inestimabile sulla liturgia di Ravenna e sulla cultura di questa città”, che, nel V secolo, era un nodo vivo di incontri, problemi e fermenti religiosi.
A Ravenna giunse anche uno dei più stimati vescovi del tempo, Germano di Auxerre, che morì nella città nel 448, assistito da Pietro. E sempre da Ravenna partì la risposta al monaco Eutiche, protagonista di un acceso conflitto dottrinale con il patriarca di Costantinopoli riguardo alla natura di Cristo.
Pietro, con tono rispettoso ma fermo, lo invitò a non seguire vie personali, ma ad affidarsi al magistero di Roma. Una lezione di dottrina e di umiltà insieme, espressa con il tratto amichevole e convincente che caratterizzava le sue famose “parole d’oro”.
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In uno dei suoi sermoni più profondi, San Pietro Crisologo medita con meraviglia sul mistero della nascita di Cristo:
«Quando la Vergine concepisce, vergine partorisce e vergine rimane. […] La nascita di Cristo non fu dettata dalla necessità, ma da una libera scelta. Fu un sacramento di pietà, la restaurazione della salvezza umana. […] Dio prese in sé ciò che aveva fatto in te per sé. […] Nasce dunque Cristo, per reintegrare con la sua nascita la natura decaduta. […] Fa vivere dello spirito divino chi aveva soltanto un’anima umana, e così lo innalza tutto fino a Dio».

El Greco, Annunciazione (1570-1575, Prado) – Wikipedia, pubblico dominio
Queste parole rivelano una teologia alta, ma accessibile, che parla al cuore e alla mente. Pietro sa infondere nei suoi sermoni il senso profondo della misericordia divina, come ricorda anche papa Benedetto XVI, che in un’udienza del 2013 citò proprio un passaggio del “Secondo discorso sul digiuno”:
«Grandi sono le opere del Signore […] ma la sua misericordia è superiore a tutte le sue opere […] Per questo il profeta esclama: “Abbi pietà di me, o Dio, per la tua grande misericordia” (Sal 50,3)».
Con la forza della sua parola, Pietro Crisologo ci guida a contemplare un Dio che si fa vicino, che perdona, che non si scandalizza della nostra debolezza, ma ci innalza fino a sé.
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