LA CHIAMATA DI ABRAMO
Il momento in cui Dio convocò Abramo, chiedendogli di lasciare la sua casa per una terra sconosciuta, costituisce la prima grande svolta nella storia biblica. Nelle prime narrazioni della Genesi — da Adamo ed Eva a Noè e alla torre di Babele – Dio sembra trattare sempre con tutta l’umanità. Anche quando salva singoli individui, come il caso di Noè e della sua famiglia, li salva da un castigo che coinvolge tutto il mondo.
Con Abramo la cosa è diversa: Dio sceglie un determinato uomo e la sua famiglia come depositari di rivelazioni e promesse speciali. Dapprima non viene detto niente del perché venga scelto Abramo; la Genesi si limita a raccontare la storia, dando inizio così a una saga familiare, la storia del popolo eletto che continua per tutta la Bibbia. Con il procedere della narrazione, Abramo si rivela un uomo di grande fede e obbedienza, che si sforza di diventare degno del favore di Dio. Ma l’attore principale è Dio: Dio decide di chiamare Abramo, lo guida verso una nuova terra che promette ai suoi discendenti, lo salva dai suoi errori e dalle sue colpe, gli concede un figlio e mette alla prova la sua fede; poi rinnova la sua alleanza con i discendenti di Abramo. Abramo accoglie tutti questi doni, le promesse e le sfide con fede, gratitudine e nobile sottomissione, meritando così veramente di essere chiamato «padre di tutti noi» (Rm4,l6).

Abramo, il primo grande patriarca del popolo d’Israele, è considerato, dai cristiani e dai musulmani, anche il prototipo della fede dell’uomo nel volere di Dio. In realtà, il nome Abraham, sebbene di incerta origine linguistica, fu usato con il significato di «padre di una moltitudine» (Gen 17,5).

József Molnár – Il viaggio di Abramo da Ur a Canaan – Wikipedia, pubblico dominio

La sua storia nella Genesi, che sembra essere una compilazione di tre fonti originarie separate e indipendenti, spiega come e perché la tribù di Abramo si spostò verso la Palestina, lasciando il bacino del Tigri e dell’Eufrate, cioè la Mesopotamia.

Nell’Antico Testamento, però, questo personaggio imponente viene anche presentato come contraddittorio e pieno di difetti, il cui conflitto interiore rappresenta un profondo e spesso sorprendente dramma spirituale. A volte impaziente e menzognero, Abramo arrivò solo lentamente alla piena comprensione della vera natura delle rivelazioni del Signore e delle promesse fatte a lui e ai suoi discendenti.
Abramo, conosciuto originariamente come Abram, “glorioso padre”, era nato circa 4000 anni fa nella città mesopotamica nota come Ur dei Caldei (nell’odierno Iraq). Diretto discendente del figlio di Noè, Sem, era un uomo ricco, a capo di una tribù seminomade, che viveva allevando numerosi armenti e praticando coltivazioni stagionali. Forse in seguito a una invasione di Ur da parte degli Amorrei, il padre di Abram, Terach, decise di trasferire la sua famiglia a Carran, florida città distante circa 800 chilometri da Ur, nell’attuale Turchia sudorientale.

Tra le due città esistevano forse rapporti particolarmente stretti, dal momento che in entrambe era diffuso il culto di Si, divinità lunare. Più gli anni passavano e più un gran vuoto affliggeva la prospera, pastorale vita di Abram. La sua bellissima moglie e sorella per parte di padre, Sarai (Sara), «era sterile e non aveva figli» (Gen 11,30).

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UNA PROMESSA DI GRANDEZZA

Abram affrontò la sua prima prova di fede all’età di 75 anni, quando Dio gli apparve e gli promise che sarebbe diventato il padre di una grande nazione, ma solo se avesse lasciato la sua terra natale e gran parte delle sue conoscenze e fosse partito per l’ignota regione di Canaan, a oltre 600 chilometri verso sud. Il Signore gli disse: «Benedirò coloro che ti benediranno, e coloro che ti malediranno maledirò e in tè si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3).

La fede di Abram in quel momento doveva essere straordinariamente forte, perché radunò subito la sua gente e lasciò il luogo dove si erano stabiliti suo padre e altri parenti. Sarai accompagnò il marito in quel viaggio incerto, e lo stesso fece suo nipote Lot; ma il peregrinare e le traversie della loro famiglia erano appena cominciati. Vagando attraverso la terra straniera di Ganaan, Abram pensava certamente a come avrebbe potuto diventare proprietà della sua progenie non nata. La regione era già ampiamente abitata: la Bibbia cita dieci diversi popoli che lì vivevano. Ma, ancora una volta, Dio apparve e disse esplicitamente: «Alla tua discendenza io darò questo paese» (Gen 12,7).
Abram si fermò almeno due volte per accamparsi nella regione ed eresse altari a Dio: presso la quercia di More a Sichem e sulle montagne che sono a est di Betel. Quei gesti erano certamente significativi in una regione dedita al culto del dio pagano Baal.
Con il trascorrere del tempo, però, la fede di Abram nella parola di Dio parve farsi più vacillante, poiché egli rimaneva senza figli e, nella Terra Promessa, era circondato dai Cananei pagani. Così, quando una carestia si abbattè su Canaan, Abram non attese che il Signore provvedesse a lui e alla sua famiglia, ma tolse i picchetti delle tende e guidò la sua gente verso le fertili terre d’Egitto, in cerca di cibo.
Lì Abram rivelò un altro intrigante aspetto del suo carattere. Temendo di venire ucciso da qualche egiziano desideroso di prendergli la bella moglie, dichiarò che Sarai era la sua sorella nubile e non fece obiezioni quando ella fu presa e condotta nella casa del faraone. Il sovrano, riconoscente, ricompensò il dono di Abram con «greggi e armenti e asini, schiavi e schiave, asine e cammelli» (Gen 12,16). Ma Dio colpì il paese con grandi calamità, che anticamente erano considerate una punizione divina per la disobbedienza o il peccato, e l’ignaro sovrano scoprì così la verità su Sarai. Atterrito, fece chiamare Abram ed esclamò: «Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era tua moglie? […] Prendila e vattene» (Gen 12,18-19). Il faraone restituì immediatamente Sarai al marito ed esortò tutta la famiglia a far ritorno in Canaan.
La storia del riprovevole inganno di Abram è doppiamente significativa. Da un lato, è un’altra indicazione che il patriarca non era ancora pronto a credere completamente nella promessa divina, che certamente comportava da parte di Dio l’impegno di salvarlo anche dagli stranieri che fossero rimasti colpiti dall’avvenenza di Sarai. In secondo luogo, la risposta del Signore prova che egli sarebbe rimasto sempre a fianco del servo che si era scelto, anche quando Abram dimostrava di essere un uomo fallibile, che necessitava di aiuto per togliersi dai guai in cui si era cacciato.
Nel frattempo, nonostante queste peripezie, Abram e Lot erano riusciti a mettere insieme tanto bestiame che, tornati in Canaan, i pascoli sulle colline di Betel non furono più sufficienti per entrambi. Allorché cominciarono a scoppiare litigi tra i loro pastori, Abram generosamente si offrì di cedere al nipote la regione di Canaan che egli avesse scelto. «Non sta forse davanti a te tutto il paese?», chiese. «Separati da me. Se tu vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra, io andrò a sinistra» (Gen 13,9). Il giovane scelse subito la regione che gli sembrò migliore, la fertilissima vallata del Giordano, descritta nella Genesi come «un luogo irrigato da ogni parte, come il giardino del Signore, come il paese d’Egitto» (Gen 13, 10). Lot guidò la sua gente verso una città conosciuta come Sodoma, che era tristemente famosa per la degenerazione dei suoi abitanti.
In quell’occasione il prescelto da Dio non dimostrò soltanto la benevolenza di una famiglia patriarcale nei confronti di un parente più giovane, ma dispose anche del territorio con l’autorità di un uomo che credeva fermamente che i suoi discendenti avrebbero ereditato un giorno tutta quella terra che era ancora densamente popolata dai Cananei. Il nipote Lot, invece, viene presentato in una luce sgradevolmente egoista, forse per mettere a confronto questo antenato degli Ammoniti e dei Moabiti con lo zio, antenato degli Israeliti.

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LE PROMESSE RIPETUTE

Forse in risposta a questa dimostrazione di fede, Dio apparve e rinnovò decisamente la promessa, incitando inoltre Abram: «Alzati, percorri il paese in lungo e in largo, perché io lo darò a tè» (Gen 13,17). Per la prima volta è specificato che Canaan verrà concessa direttamente ad Abram durante la sua vita e non solo in futuro ai suoi discendenti. Inoltre, Dio estese la sua precedente promessa dicendo che Abram, ancora senza figli, sarebbe diventato padre di una discendenza innumerevole «come la polvere della terra; se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti» (Gen 13,16).
Obbedendo al comando divino di familiarizzarsi con il territorio, Abram guidò la sua gente attraverso la regione e infine decise di piantare le tende in Ebron, presso le querce appartenenti a un amorreo di nome Mamre. Il luogo di quelle querce assunse un grande significato storico per il giudaismo, perché l’altare che il patriarca vi eresse divenne un importante santuario per il ricordo tradizionale dei Giudei dell’uomo che fu poi noto come Abramo.
Qualche tempo dopo essere arrivato presso Mamre, le circostanze costrinsero Abram a scendere in battaglia; è l’unica volta in cui quest’uomo di pace viene dipinto nelle vesti di eroe militare. Quattro potenti re dell’Est si unirono per attaccare e distruggere Sodoma, Gomorra e altre tre città del Mar Morto, catturando e facendo schiavi anche Lot e la sua gente. Radunato un piccolo esercito di 318 dei suoi subordinati, Abram diede la caccia ai predatori, battendoli e inseguendoli fino a nord di Damasco. Non solo riuscì a liberare suo nipote e gli altri prigionieri, ma anche a recuperare il ricco bottino fatto dai quattro re invasori.

Peter Paul Rubens – L’incontro di Abramo e Melchisedec – Wikipedia, pubblico dominio

Di ritorno in Canaan, Abram fu ritualmente benedetto da Melchisedek, re di Salem, antico nome di Gerusalemme, e «sacerdote del Dio Altissimo» (Gen 14,18): in questo caso, la divinità cananea El. Inoltre, il riconoscente re di Sodoma concesse ad Abram di prendere il bottino catturato nella città, ma egli rispose: «Alzo la mano davanti al Signore, il Dio Altissimo, creatore del cielo e della terra; ne un filo, ne un legaccio di sandalo, niente io prenderò di ciò che è tuo; non potrai dire: “Io ho arricchito Abram”» (Gen 14,22-23). Con l’espressione «Signore, il Dio Altissimo», Abramo non si riferiva a El, ma a Yahweh. In altre parole, sembra che Abram fino a quel punto continuasse a confidare pienamente in Dio.

Adriaen van der Werff – Sarah presenta Agar ad Abramo. – Wikipedia, pubblico dominio

Subito dopo, però, chiese al Signore perché lui e Sarai erano ancora senza figli, sebbene fossero passati dieci anni da quando aveva seguito il comando divino di partire per Canaan. «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle», gli rispose il Signore: «Tale sarà la tua discendenza» (Gen 15,5). Abram cadde in un sonno profondo, e Dio gli rivelò altre cose sul futuro, spiegando che il suo popolo eletto sarebbe rimasto prigioniero in Egitto per 400 anni e poi finalmente sarebbe stato libero di tornare nella terra a lui promessa. Ma confidò anche che Abram non avrebbe personalmente sofferto: «Quanto a te, andrai in pace presso i tuoi padri; sarai sepolto dopo una vecchiaia felice» (Gen 15,15). Quando Abram si svegliò, il Signore per la prima volta gli rivelò la reale estensione della terra della promessa che si sarebbe estesa «dal fiume d’Egitto [il torrente d’Egitto nella penisola del Sinai] al grande fiume, il fiume Eufrate» (Gen 15,18).
Stupito, Abram era ora diventato impaziente di credere a quest’ultima affermazione contenuta nella promessa e decise di prendere la faccenda nelle sue mani. Su consiglio di Sarai, prese la sua serva egiziana Agarcome concubina per procreare un erede. Il figlio, frutto di quell’unione, fu chiamato Ismaele.

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UN CAMBIO DI NOMI

A questo punto, la storia biblica va avanti di 13 anni. Abramo aveva 99 anni, quando il Signore gli apparve e ancora una volta gli ripeté la promessa della terra e della discendenza.
Come pegno della rinnovata alleanza, cambiò il nome di Abram in Abraham, ampliando così il significato del nome originario da “glorioso padre” a “padre di una moltitudine”. Sarai divenne Sara, che vuole dire sempre “principessa”. Quando poi il Signore rivelò esplicitamente ad Abramo che avrebbe avuto un figlio da Sara, l’uomo scoppiò a ridere: «Ad uno di cento anni può nascere un figlio?» chiese. «E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?» (Gen 17,17). Imperturbabile, Dio spiegò che il bambino sarebbe nato entro l’anno e doveva essere chiamato Isacco, cioè “egli ride”.
Dio impose anche un nuovo adempimento rituale ad Abramo e a tutti i suoi promessi discendenti maschi: «Vi lascerete circoncidere […] sarà il segno dell’alleanza tra me e voi» (Gen 17,11). Così Abramo circoncise se stesso e poi il tredicenne Ismaele e tutti i maschi della sua tribù. In futuro, la cerimonia che produceva quel segno irreversibile di appartenenza alla comunità dell’alleanza avrebbe dovuto essere eseguita appena un maschio avesse compiuto otto giorni. Ancora oggi, nel rito ebraico della circoncisione, o brith, si recita la frase: «entra nell’alleanza di Abramo nostro padre».
Un giorno, Abramo stava riposando nel caldo del meriggio all’ombra fresca della tenda quando tre stranieri gli apparvero d’improvviso davanti. Secondo i dettami dell’ospitalità orientale, balzò in piedi per dare loro il benvenuto, ordinando immediatamente di preparare un piccolo banchetto, con un vitello appena ucciso. Dopo che quei visitatori celesti si furono seduti ed ebbero mangiato all’ombra delle querce di Mamre, il Signore rivelò la sua identità, ripetendo la promessa che Sara avrebbe partorito in primavera. Sentendoli dall’interno della tenda, ella scoppiò a ridere, come già aveva fatto suo marito, dicendo: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere?». «C’è forse qualcosa impossibile per il Signore?», rispose il visitatore. Sorpresa, Sara negò di aver riso, ma il Signore replicò: «Sì, hai proprio riso!» (Gen 18,13-14,15). Per tutti questi particolari “familiari”, l’annuncio della nascita di Isacco fu usato dai pittori medievali per prefigurare l’annunciazione angelica della nascita di Gesù nel Nuovo Testamento.
La sera di quello stesso giorno, Dio doveva decidere di una questione ben più sconvolgente: giudicare Sodoma e Gomorra per il grido «troppo grande» che si levava contro la loro depravazione. Quando fece ad Abramo l’onore di svelargli i suoi disegni, il servo prescelto, in una scena commovente, si dimostrò degno di essere il padre delle nazioni, intercedendo con insistenza in favore di quegli stranieri. «Davvero sterminerai il giusto con l’empio?», chiese (Gen 18,23) e strappò a Dio l’accordo di risparmiare le città se vi avesse trovato cinquanta «giusti»; continuò poi a trattare, riducendo via via il numero fino a dieci persone oneste, e correndo coraggiosamente il rischio di attirare su di sé la collera del Signore per salvare altri.
Per gli studiosi di scienze religiose l’insistente intercessione è molto significativa, e non solo perché Abramo avrebbe anche potuto vincere un confronto con Dio, ma perché introduce un importante concetto nuovo: la possibilità che i peccatori siano salvati dalla distruzione grazie alla semplice esistenza anche di pochi uomini giusti. Inoltre, tentando di salvare le due città non israelite, il patriarca dimostrava di credere nella prima promessa divina, in base alla quale egli sarebbe diventato una benedizione per altre nazioni.
I depravati cittadini di Sodoma e Gomorra, però, risultarono troppo malvagi anche per le richieste di Abramo. L’angelo del Signore non riuscì a trovare nemmeno dieci persone oneste.
La mattina del giorno seguente, quando Abramo si alzò e si recò a contemplare la valle del Giordano dove il figlio di suo fratello aveva scelto di stabilirsi, «vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace» (Gen 19,28).

Jacob Jordaens (da Rubens), Lot e le figlie, 1618-20ca (Tokyo, National Museum of Western Art) – Wikipedia, pubblico dominio

Tuttavia, in risposta all’intercessione del patriarca, Dio risparmiò Lot e, benché la moglie e i generi di costui perissero nell’olocausto, egli e due figlie sopravvissero e si stabilirono da qualche parte, a oriente.

Non molto tempo dopo, Abramo intercedette ancora presso Dio, questa volta per avere egli stesso messo un innocente in pericolo di morte. Per qualche ragione che la Bibbia tace, fece partire la sua gente da Mamre verso Gerar, nella regione del Negheb. Lì presentò Sara come sua sorella al re del posto, Abimelech. Come già era accaduto in Egitto, il re prese Sara in casa sua, ma non giacque con lei. In un sogno sconvolgente il Signore mise poi in guardia Abimelech: «Ecco, stai per morire a causa della donna che tu hai presa; essa appartiene a suo marito» (Gen 20,3).
Il mattino dopo, lo sbigottito re, come prima di lui il faraone egiziano, fece chiamare Abramo per una spiegazione. Rispose il patriarca: «Io mi sono detto: certo non vi sarà timor di Dio in questo luogo e mi uccideranno a causa di mia moglie» (Gen 20,11). Il pagano Abimelech rese subito Sara al marito, gli donò schiavi, bestiame e mille pezzi d’argento, poi rassicurò Abramo dicendogli che avrebbe potuto stabilirsi dove avesse voluto. Nel mentre, Dio aveva punito tutte le donne della reggia con la sterilità. Ma grazie alle preghiere di Abramo esse recuperarono la salute e il re fu perdonato.
Nonostante l’episodio, il monarca pagano e l’antenato di Israele strinsero una salda alleanza. Quando alcuni servi di Abimelech usurparono un pozzo che era stato scavato da alcuni della casa di Abramo, i due uomini stipularono una solenne alleanza di pace, siglandola con un giuramento. Il pozzo fu chiamato Bersabea, che forse significa “pozzo del giuramento”. Poi il patriarca piantò una tamerice in quel luogo e lì invocò il nome del Signore, insinuando così che un giorno quella regione sarebbe diventata proprietà dei suoi discendenti.
Quando Abramo raggiunse l’età di 100 anni, il figlio che lui e Sara avevano ardentemente desiderato fin dalla prima promessa divina, ricevuta un quarto di secolo prima, era finalmente nato. Come era stato detto loro, l’anziana coppia, felice, gli mise nome Isacco; il bimbo fu circonciso dal padre l’ottavo giorno dopo la nascita. Ora la casa era piena di risa di gioia, e non di incredulità, come affermò Sara: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà sorriderà di me!» (Gen 21,6).
Dopo qualche tempo, la felicità fu purtroppo guastata da discordie domestiche. Vedendo il fanciullo Ismaele scherzare con il suo adorato figlioletto, ancora incerto nei primi passi, Sara diventò gelosa e chiese ad Abramo di mandar via Ismaele e la madre schiava. Ad Abramo spiaceva molto dover bandire il figlio maggiore, ma Dio gli comandò di fare come Sara chiedeva, dicendo: «[…] attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe» (Gen 21,12).

Guercino – Abramo caccia Agar e Ismaele – Wikipedia, pubblico dominio

Di buon mattino, dunque, il patriarca diede ad Agar e a Ismaele una piccola razione di pane e un otre d’acqua e, a malincuore, li mandò via. Perdutasi nel deserto della regione di Bersabea, Agar si disperò quando le provviste finirono e decise di abbandonare il figlio sotto un cespuglio, non sopportando di vederlo morire lentamente di sete. Il Signore, udendo le grida strazianti di Ismaele, chiamo Agar per mostrarle un pozzo e le ingiunse di prendersi cura del fanciullo, assicurandole che Ismaele sarebbe diventato padre di una grande nazione.
La commovente storia è stata interpretata in diversi modi. Alcuni commentatori ne hanno dedotto che Ismaele non fosse adatto per essere lo strumento della promessa fatta da Dio ad Abramo, perché era figlio di una donna straniera e schiava. Ma, secondo l’usanza del tempo, il fanciullo poteva essere considerato figlio legale di Sara. Piuttosto, il vero ostacolo a che Ismaele diventasse l’erede della promessa forse era la mancanza di fede che stava all’origine della sua nascita. Decidendo di usare Agar come madre sostitutiva, sia Abramo sia Sara non avevano voluto aspettare che il Signore donasse un bambino nato proprio da loro.
I tormenti sofferti da Ismaele e da sua madre sarebbero apparsi assai lievi di fronte alla prova terribile che Abramo avrebbe dovuto affrontare quando Isacco rimase suo unico erede.
Un giorno, senza preavviso, l’uomo che aveva così spesso dubitato della promessa divina e che aveva aspettato un quarto di secolo per avere un figlio da sua moglie ricevette l’ordine di immolare il ragazzo in sacrificio cruento sulla montagna di Moria e di bruciarne poi il corpo come offerta al Signore.

Domenico Zampieri (Domenichino) – Il sacrificio di Isacco – Wikipedia, pubblico dominio

«Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami» (Gen 22,2), disse Dio all’inizio di una storia che non solo avrebbe messo alla prova la fede di Abramo, ma che da allora avrebbe sconvolto molti ebrei e cristiani. Cosa avrà pensato di quell’ordine crudele Abramo, che aveva discusso con Dio per salvare la vita dei peccatori di Sodoma? La Bibbia tace al riguardo. L’anziano genitore è descritto mentre si alza un mattino e spacca la legna, come per un consueto sacrificio animale. Seguendo le istruzioni di Dio, sellò un asino e si mise in cammino con Isacco e due giovani servi finché, al terzo giorno di quel misterioso viaggio, giunse al luogo indicato. Lasciando i servi a guardia dell’asino, padre e figlio proseguirono il cammino fino al punto scelto da Dio per il sacrificio; Isacco portava la legna, Abramo il fuoco e il coltello. Quando Isacco chiese perché non avevano portato anche un agnello, il padre replicò con la memorabile e straziante risposta: «Dio stesso provvederà l’agnello per l’olocausto, figlio mio!» (Gen 22,8).
Senza rivelare ancora le sue intenzioni, il patriarca eresse un altare sul luogo indicato e vi sistemò sopra la legna; poi legò Isacco, come avrebbe fatto con qualsiasi altra vittima sacrificale, e lo depose sulla pira. Appena impugnò il coltello, pronto a sacrificare suo figlio, Dio intervenne: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male!». Poi aggiunse: «Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio» (Gen 22, 12). Lì nei pressi c’era un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio, e Abramo poté così offrirlo come sacrificio gradito. Poi, per l’ultima volta, la più importante, Dio riaffermò la promessa che il suo servo prescelto sarebbe stato benedetto e sarebbe diventato l’antenato di una posterità innumerevole e lo strumento attraverso cui tutti i popoli della terra sarebbero stati benedetti, perché egli aveva obbedito al comando terribile di sacrificare suo figlio.
Così l’indimenticabile gesto di obbedienza di Abramo divenne il momento culminante di tutta la sua vicenda umana. Sebbene ne il padre ne il fìglio ci rivelino i loro sentimenti, la storia è un intenso e avvincente dramma umano, dimostrando che l’uno prova una fiducia infinita nell’altro e nella volontà di Ilio.
Per alcuni studiosi delle religioni antiche, la storia andrebbe letta come un ripudio da parte degli Israeliti dei sacrifici infantili, praticati ritualmente da diversi loro vicini pagani. Tale interpretazione, però, non è accettata da tutti. Nell’ebraismo ortodosso, l’accettazione della volontà divina da parte del patriarca è considerata modello di fede e simbolo del martirio israelita. Alcuni dei primi teologi cristiani videro poi nell’obbedienza di Abramo di fronte a questa prova un’anticipazione della sottomissione di Gesù alla sua morte sulla croce.

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LA TOMBA DI FAMIGLIA

Dopo il resoconto di questo episodio drammatico, di Abramo non viene detto quasi più nulla, eccetto alcuni particolari riguardanti la vita della sua gente. Alla morte di Sara in Ebron, all’età di 127 anni, il patriarca si adoperò per comprare una grotta per farne la tomba della sua famiglia: gli costò 400 sicli d’argento. In tale circostanza, egli acquistò anche una parte del paese che alla fine sarebbe stato suo e divenne così detentore, anziché erede, della promessa. Il luogo conosciuto come caverna di Macpela divenne così la dimora dell’eterno riposo di Abramo e degli altri patriarchi, ed è tuttora luogo sacro per ebrei, cristiani e musulmani.
Tre anni dopo la morte di Sara, Abramo si diede da fare per trovare una moglie adatta a Isacco, ormai quarantenne. Circondato dalle numerose culture estranee di Canaan, Abramo era deciso a far sposare al figlio una donna della sua stessa stirpe. Da una parte, non desiderava che il suo erede venisse sedotto dalla religione pagana dei Cananei, i cui riti di fertilità sarebbero diventati una fonte di continue tentazioni per gli incauti Israeliti nel corso dei secoli. Dall’altra, non voleva che suo figlio dovesse lasciare la Terra Promessa per cercarsi una moglie adatta e stabilirsi poi nel paese dove abitavano i parenti di lei.

Rebecca incontra Isacco. – Wikipedia, pubblico dominio

Allora incaricò il fidato e vecchio servo sovrintendente della sua casa di recarsi a Carran e scegliere la candidata migliore tra le donne nubili della parentela rimasta in quella regione. Il servo scelse Rebecca, la giovane nipote di uno dei fratelli del patriarca stesso, che rispondeva al requisito, così importante a quei tempi, di essere una sposa appartenente alla stessa tribù del marito.
Dopo aver assolto questo dovere, Abramo sposò una donna chiamata Chetura, ma prese tutte le precauzioni affinché i loro figli, così come i figli delle altre concubine, non diventassero un ostacolo per i diritti ereditari di Isacco. Questi altri suoi figli ricevettero da lui molti doni e furono mandati a vivere nelle regioni orientali. Quando Abramo morì, all’età di 175 anni, Isacco e Ismaele lo deposero accanto a Sara nella tomba di famiglia. Lì, secondo la tradizione, furono poi sepolti anche Isacco e Rebecca, il loro figlio Giacobbe e la sua prima moglie Lia, e forse anche Giuseppe.

Riferimenti ad Abramo sono disseminati in tutto l’Antico Testamento. Durante la terribile crisi del popolo ebraico tratto in esilio in Babilonia, egli divenne per gli esuli il simbolo della speranza di tornare un giorno nella terra natia e ricostruire la loro nazione. Nel Salmo 105, per esempio, l’identità nazionale di Israele viene enfaticamente fondata sulla scelta di Abramo da parte di Dio come suo servo prediletto e sull’alleanza stabilita tra loro. «Egli [il Signore] ricorda sempre la sua alleanza: parola data per mille generazioni, l’alleanza stretta con Abramo» (Sal 105,8-9).
La promessa viene specificamente ripetuta al figlio Isacco, soprattutto in Genesi 26,3: «Rimani in questo paese e io sarò con te e ti benedirò, perché a te e alla tua discendenza io concederò tutti questi territori e manterrò il giuramento che ho fatto ad Abramo tuo padre». Dio rinnova ancora la promessa a Giacobbe, e sia Giuseppe sia Mosè sono convinti che Israele possa trarne giovamento.

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FEDE AL DI SOPRA DELLA LEGGE

Dopo la morte di Gesù, i suoi seguaci reinterpretarono la missione di Abramo, il quale nel Nuovo Testamento è nominato ben 72 volte, molto più di qualsiasi altro personaggio, eccetto Mosè. Per l’apostolo Paolo, la vita del patriarca dimostra che per la salvezza la fede è più importante della Legge mosaica, perché Abramo confidò in Dio prima di essere sottoposto al rito della circoncisione. Paolo crede che la venuta di Gesù renda possibile il recupero della primitiva fede di Abramo.
In altre parole, Dio non esige che un popolo segua le leggi e i riti della religione per essere considerato giusto. Nella visione di Paolo, quindi, Abramo è realmente il padre di tutti quelli che hanno fede in Dio, e non solo il padre della nazione e della religione di Israele. Nella stessa linea, la scelta di Abramo come eletto da Dio dovrebbe essere vista come estesa a tutti coloro che hanno fede nel Signore. Quelli che hanno fede sono tutti eletti da Dio.
In una prospettiva leggermente diversa, Paolo deduce anche che i Gentili che credono in Dio ricevano la sua benedizione attraverso Gesù, che genealogicamente è seme di Abramo.
Egli scrive: «Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: “e ai tuoi discendenti”, come se si trattasse di molti, ma e alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo» (Gal 3,16). In un’altra interpretazione neotestamentaria, l’autore della Lettera agli Ebrei argomenta che la prontezza di Abramo a sacrificare Isacco dimostra che il morto sarebbe stato risuscitato da Dio: «Lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una tua discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti» (Eb 11,17-19). Dallo stesso episodio, poi, Giacomo deduce un’altra morale, sottolineando che il comportamento di Abramo sul monte Moria prova che la fede in Dio deve essere dimostrata con “opere” o azioni. «Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza valore? Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull’altare? Vedi che la fede cooperava con le opere di lui e che per le opere quella fede divenne perfetta» (Gc 2,20-22).
La nota espressione «il seno di Abramo» è ricordata soltanto una volta nel Nuovo Testamento, quando Luca, narrando la storia del povero conosciuto con il nome di Lazzaro, scrive che «morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo» (Lc 16,22). L’uso di questa immagine per evocare il riposo celeste per i giusti deriva dalla tradizione rabbinica.

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Stralcio testo tratto dalla pagina: parrocchie.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

 

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