a cura di Publio Manlio Cozio


A Palermo, il palazzo reale viene, normalmente, chiamato Palazzo dei Normanni. E ci ricorda le principali fasi storiche della Sicilia nel I° millennio d.C.; fasi che potremmo definire arabo-normanne.
Nei secoli VIII e IX la Cacciata dei Bizantini da parte di eserciti saraceni e berberi sbarcati a Mazara del Vallo generò la creazione di un Emirato arabo-tunisino che appartenne per lungo tempo, prima alla Dinastia degli Aghlabiti poi a quelli dei Fatimi. Tale occupazione, considerato il grave stato di decadimento dell’isola e dei suoi abitanti portò a un notevole sviluppo per quanto attiene alle culture più varie; introdusse infatti artisti, architetti, poeti e scienziati di eccelso valore. Ne sono testimonianza i pochi monumenti ancora rimasti in quanto non distrutti da successive faide fra varie signorie locali (emiro Bencumen di Siracusa, quello di Agrigento Belcamend e altri) che assoldarono i primi Normanni, ancora rozzi e barbari per risolvere le loro dispute.

Federico Barbarossa (Wikipedia – Pubblico dominio)

Federico II di Svevia (Wikipedia – Pubblico dominio)

Solo con successivi interventi di Guglielmo d’Altavilla detto Braccio di ferro e dei suoi fratelli Ruggero I nonché Roberto detto il Guiscardo, l’isola poté iniziare un’epoca di tranquilla prosperità, ma che fu purtroppo di breve durata poiché seguirono disordini, rivoluzioni e lotte di tipo tribale, fortunatamente repressi nel tempo dalla dinastia degli Hohenstaufen (Federico Barbarossa, Enrico VI e principalmente Federico II di Svevia, futuro dominatore di tutto il regno di Sicilia (vedasi cartina in calce) i quali riportarono il territorio al meritato splendore che tuttora sussiste.

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Stralcio testo tratto dalla pagina: ottobre18.blogspot sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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Breve sintesi

I Greci approdarono sulle coste orientali dell’isola, dove fondarono colonie come Catania, Siracusa, Gela e Agrigento. I tiranni di Siracusa (soprattutto al tempo di Dionigi il Vecchio) tentarono la conquista di tutta l’isola confrontandosi con i Fenici, l’altra potenza mediorientale. Gli scontri ai confini delle rispettive aree d’influenza si ebbero a Selinunte, al sud, e ad Imera, al nord (480 a.C.).

Jacques Ignace Hittorff – Tempio T a Selinunte (Sicilia), prospetto ricostruito della facciata principale (Wikipedia – Pubblico dominio)

Sono, poi, i Romani a sottomettere le colonie greche e, con le guerre puniche, ad acquisire anche quelle cartaginesi. Da allora l’isola divenne una provincia fondamentale per la politica e l’economia dell’impero Romano.
Con l’arrivo del flagello barbarico nell’Occidente europeo, anche l’isola iniziò a risentire della nuova realtà che stava maturando. Questo periodo è databile dal 440 al 535: da quando, cioè, il capo dei Vandali, Genserico, estese la sua potenza egemonica a tutto il Mediterraneo occidentale. Fu un duro colpo per Roma, perché dalla Sicilia proveniva gran parte del grano necessario alla vita della penisola italica e della stessa Roma. La Sicilia rimase sotto il dominio vandalico sino al 476, quando divenne re d’Italia Odoacre. L’isola passò, poi, in mano ai Goti e Teodorico il Grande subentrò al re degli Eruli nel regno barbarico d’Italia (495).

Conquistato l’impero vandalico d’Africa (534), il generale di Giustiniano, Belisario, fece sua la Sicilia in appena un anno. Iniziò, così, il processo di “bizantinizzazione”: cultori e letterati prosperarono in Sicilia, come i papi Agatone, Leone e Sergio, e Giorgio di Siracusa. Grande fama ebbe, inoltre, Gregorio di Agrigento (sec. VI), autore di opere di ampia diffusione nell’ambito filosofico del tempo e letterati quali Epifanio di Catania e Gregorio Bizantino.

Nell’827 arrivò il momento dello sbarco musulmano a Mazara del Vallo, primo passo verso la conquista di tutta l’isola. Nell’831 cadde Palermo, nell’865 Siracusa, e solo molto più tardi ebbero uguale sorte le ultime roccaforti della resistenza bizantina. L’organizzazione dell’emirato fece centro su Palermo, nuova capitale dell’isola al posto di Siracusa: la nuova città, con le sue trecento moschee, era in competizione con le grandi città dell’Oriente e dell’Occidente musulmano. E’ certo che, soprattutto nella parte centro-occidentale dell’isola, si ebbe una vera e propria arabizzazione che perdura ancora adesso nella toponomastica e nell’agricoltura, particolarmente per quanto concerne le tecniche dell’irrigazione e della conduzione di orti e giardini.

Ritratto di Federico II con il falco dal suo trattato De arte venandi cum avibus (Wikipedia – Pubblico dominio)

Il ritorno della Sicilia all’Occidente si ebbe con i Normanni. Nella fase della loro grande espansione, fu concepita una precrociata per scacciare gli infedeli Musulmani dal centro del Mediterraneo. L’impresa, condotta dal più giovane dei fratelli Altavilla, Ruggero, durò trenta anni (1061-1091). Politica e cultura convissero per il costante impegno mecenatico dei sovrani normanni: nel campo delle arti, come in quello letterario e scientifico. Il matrimonio di Costanza d’Altavilla con Enrico VI di Svevia, figlio dell’imperatore Federico I Barbarossa, consentì la discesa in Sicilia di Enrico e la sua incoronazione a Palermo. Ma l’età sveva (1194-1250) ebbe il suo grande protagonista in Federico II, nato da Costanza ed Enrico. Egli fece dell’isola la base della sua politica imperiale, ma ciononostante non vi soggiornò quasi mai, impegnato nella lotta contro i comuni dell’Italia settentrionale e nella politica germanica. Alla sua morte (1250), il regno meridionale passò al figlio Corrado IV e poi al figlio Manfredi. Questo periodo ebbe sviluppi incredibili sul piano della giurisprudenza, della letteratura in latino, delle scienze sperimentali e della poesia in volgare.

Alla morte di Federico II, la corona passò a Carlo d’Angió, fratello di Luigi IX il Santo, re di Francia. Col pretendente francese si confrontarono prima Manfredi, eliminato nella battaglia di Benevento (1266), e poi il piccolo Corradino, sconfitto a Tagliacozzo e fatto decapitare dall’Angioino (1268). Ma la dominazione angioina nel regno di Sicilia era mal sopportata dai Siciliani, che non riuscirono ad adattarsi all’arroganza dei nuovi signori. La rivoluzione del Vespro, scoppiata a Palermo il 31 marzo 1282, determinò lo sterminio dei Francesi e la cacciata degli Angioini dall’isola. Come proprio sovrano i Siciliani scelsero Pietro III d’Aragona. Il processo di declino del regno aragonese trovò il suo sbocco in una riconquista promossa da Martino l’Umano per conto del figlio, Martino il Giovane. Questi sostenne una lunga lotta contro l’indomabile baronaggio siciliano. Rimase in Sicilia, a tenere il potere come vicaria, Bianca di Navarra, seconda moglie di Martino il Giovane. Contro di lei si mosse il grande ammiraglio del regno, Bernardo Cabrera. La nuova guerra civile fece scadere il regno a vice-regno, quando sul trono d’Aragona venne eletto Ferdinando d’Antequera. Bianca fu richiamata alla corte iberica ed in Sicilia fu inviato il viceré Giovanni duca di Penafiel. Contro ogni tentazione autonomistica, Alfonso V il Magnanimo (1416-1450) nominò una serie di viceré scelti da lui con oculatezza.
I due regni di Sicilia, con la morte di Alfonso il Magnanimo, furono divisi e quello isolano fu unito alla corona d’Aragona. Era il momento in cui cresceva la grande Spagna dei re Cattolici, l’età delle grandi scoperte geografiche e scientifiche, il tempo in cui, con Maometto II ed i suoi successori, la potenza turca partì alla conquista dell’Occidente. La Sicilia assunse una posizione strategica, antemurale contro l’aggressione ottomana e i pirati barbareschi. Nel 1535, Carlo V visitò l’isola ed entrò trionfalmente a Palermo. Nel Seicento, nella Sicilia spagnola che vide il trionfo dell’effìmero in campo artistico, si aggravò la situazione economica, poiché le carestie resero deserte le campagne e la fame dilagava per le grandi città. Nel 1647 una rivolta divampò a Palermo: la folla assalì il palazzo di città e liberò i prigionieri della Vicarìa. Maggiore successo ebbe quella delle maestranze artigiane palermitane, capeggiata da Giuseppe D’Alesi che tentò l’instaurazione di un governo popolare.

Il trattato di Utrecht (1713) assegnò la Sicilia al duca di Savoia Vittorio Amedeo II che, in quello stesso anno, raggiunse Palermo. Dopo qualche tempo, tornò in Piemonte carico di beni ed accompagnato da uomini di cultura, fra i quali l’architetto Filippo Juvara. Lasciò come viceré il conte Maffei, il quale dovette affrontare la campagna militare del cardinale Alberoni per riportare con la forza la Sicilia sotto la Spagna. La spedizione del 1718 costrinse i Savoiardi nell’interno dell’isola. Ma il trattato dell’Aia (1720), voluto da Austriaci ed Inglesi, portò l’isola sotto Carlo VI d’Austria, che nomina viceré il duca di Montelcone. Dopo i Savoia, gli Austriaci continuarono ad impoverire la Sicilia.

Filippo V di Spagna investì Carlo del regno delle Due Sicilie. Questi giunse nell’isola a Palermo (30 giugno 1735) per farsi incoronare. La pace di Vienna (1738) gli riconobbe, poi, il titolo. La Sicilia attendeva dal nuovo sovrano la soluzione dei suoi numerosi problemi. Carlo III, con una intelligente politica riformista, cercò di sollevare i sudditi dalle condizioni di estrema miseria in cui versavano. Istituì la “Giunta per gli affari di Sicilia” e quella “per il commercio del grano”, stipulò accordi commerciali con gli Stati africani.

Nel 1759 giunse, come viceré, Domenico Caracciolo che introdusse le riforme contro i privilegi del baronaggio e la soppressione del famigerato Tribunale dell’Inquisizione (1782). Ma l’epoca del Caracciolo fu anche quella in cui si aggravò il distacco della Sicilia da Napoli e in cui aumentarono le pressioni autonomistiche da parte dei siciliani. Con l’appoggio inglese ed in particolare di lord Bentink, la Sicilia ottenne una Costituzione su modello inglese, approvata dal parlamento il 19 luglio 1812 e sanzionata dal re il 10 agosto. Questa costituzione fu rinnegata da Ferdinando, quando il Congresso di Vienna (1816) gli confermò la corona delle Due Sicilie. Il malcontento antiborbonico si configurò nella penetrazione della Carboneria in Sicilia anche tra i borghesi e il clero.

Giuseppe La Masa (Wikipedia – Pubblico dominio)

I moti del ’20 furono repressi con la forza militare e il ripristino dell’assolutismo portò ad una intensificazione dell’azione dei Carbonari. La rivolta capeggiata da Domenico Di Marco, a Palermo, e quelle di Siracusa e Catania vennero soffocate.

I moti del ’48, capeggiati da Giuseppe La Masa a Palermo, dilagavano per tutta la Sicilia. Fu costituito un governo provvisorio, si diede vita al Parlamento e si costituì un esercito in grado di contrastare il ritorno armato dei Borboni. Il 15 maggio 1849, le truppe del generale Filangeri entrarono a Palermo. La restaurazione borbonica fu travagliata da cospirazioni che ne intralciarono l’attività e gli esuli siciliani elessero alla causa dell’isola lo stesso Giuseppe Mazzini.

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Arriviamo, così, al 1860: a Garibaldi, ai Savoia, alla prima guerra mondiale, al  fascismo, alla seconda guerra ed alla regione autonoma…..

 

Stralcio testo tratto dalla pagina: blog.libero.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

 

vedi anche:

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