Parlando di pittura spesso ci imbattiamo nella voce collaterale “incisione”, una voce da non sottovalutare che ci ha donato meravigliosi lavori.
La tecnica incisoria, molto usata in età preistorica, sia sulla pietra (incisioni rupestri) sia sulla ceramica (incisione a crudo e a secco), e in età classica, nella ceramica greca a figure nere, nella decorazione dei metalli (specchi greci ed etruschi) e parietale (graffiti di Pompei ed Ercolano), trovò largo impiego, attraverso il tempo e fino ai giorni nostri, nella decorazione di oggetti d’arte e nell’architettura applicata ai materiali più disparati e spesso associata ad altre tecniche. A fianco di queste generiche applicazioni decorative ha assunto un’importanza predominante, dal Rinascimento a oggi, l’applicazione dell’incisione alla preparazione di matrici per la stampa.
La più antica tecnica di incisione è quella xilografica, forse derivata dalla stampa su tessuto: gli esemplari che risalgono al sec. XIV sono rarissimi, mentre fu largamente applicata all’illustrazione libraria tedesca e italiana, nel secolo successivo.
L’incisione su metallo e in particolare su lastra di rame (calcografia) venne messa a punto contemporaneamente in Italia e in Germania intorno alla metà del sec. XV; se non può essere integralmente accolta la testimonianza di Vasari che ne indica l’inventore nel fiorentino Maso Finiguerra, certamente la tecnica calcografica fu originariamente elaborata nell’ambito degli incisori di metalli a bulino e niello.
In essa già si cimentarono con risultati brillantissimi Pollaiolo (Combattimento di nudi) e Mantegna (Baccanali), sfruttando compiutamente tutte le possibilità di una tecnica prediletta dai grandi artisti fino ai nostri giorni per la sua estrema duttilità e insieme per il suo rigore.
Alle esperienze italiane si affiancarono quelle tedesche del Maestro E. S., di M. Schongauer, di U. Graf, ma soprattutto di Dürer, che della xilografia e dell’incisione su metallo indagò le intrinseche possibilità analitico-descrittive.
Durante il sec. XVI si diffuse in Europa l’incisione ad acquaforte: la grande varietà d’effetti che questa tecnica consente fu sperimentata soprattutto da Parmigianino e Barocci, quindi, nel sec. XVII, da Reni, Guercino, S. Della Bella per raggiungere l’apogeo nell’opera incisa di Rembrandt. Tra la fine del sec. XV e l’inizio del successivo venne definendosi, a opera di Marcantonio Raimondi, una delle funzioni essenziali dell’incisione fino al sec. XIX: la trascrizione dell’opera pittorica dei grandi maestri, che la molteplicità degli esemplari a stampa da matrici incise trasformò in un patrimonio iconografico aperto a tutti. Funzione di diffusione che l’incisione perse soltanto con l’avvento delle tecniche di riproduzione fotomeccanica, le quali a loro volta sono state la necessaria premessa per la rinascita dell’incisione originale nei sec. XIX e XX. Nella seconda metà del sec. XVI Bologna e l’Accademia carraccesca assunsero un ruolo essenziale nel perfezionamento delle tecniche d’incisione in Italia. In Francia, dopo incerti inizi, l’incisione ebbe il suo periodo di massimo splendore nei sec. XVII e XVIII, nell’opera del sommo acquafortista Jacques Callot e del ritrattista a bulino Gérard Audran.
In Italia nel sec. XVIII, accanto all’opera originale di un eccelso incisore come il Tiepolo (Capricci, Divertimenti, Fantasie), fiorì a Roma (Vasi) e a Venezia (Canaletto, Bellotto, Ricci) il genere della veduta incisa, mentre la veduta di fantasia raggiunse un vertice insuperato nelle incisioni di Piranesi (Carceri).
Stralcio testo tratto dalla pagina: acquaforte.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…
Personalmente, desidero mettere in evidenza l’incisore francese Gustave Doré:
vedi anche:
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