Canace è una figura della mitologia greca, figlia di Eolo, re di Tessaglia, e di Enarete, e amata da Poseidone.
Aveva sette fratelli (Atamante, Creteo, Dioneo, Macar o Macareo, Periere, Salmoneo e Sisifo) e sette sorelle (Alcione, Arne, Calice, Pisidice, Perimede e Tanagra).
Con Poseidone, fu madre di Aloeo, che generò gli Aloadi, Epopeo, Opelo, Nereo, Cefalo, Dia e Triopante.

Canace fu costretta dal padre a uccidersi come punizione per essersi innamorata di suo fratello Macar/Macareo, da cui ebbe un figlio. Per quanto avesse nascosto la nascita del bimbo al padre, fu un vagito del piccolo a insospettirlo e a determinarne la punizione.

La sua storia fu messa in scena da Sperone Speroni nel 1588 nella sua tragedia in versi Canace.
La storia è anche raccontata da Ovidio nelle sue Heroides , una selezione di 18 poemetti dalla forma di lettere da parte di donne mitologiche e loro amanti ed ex.

Stralcio testo tratto dalla pagina: unmondoaccanto.blogfree sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

Jean Pichore – Héroïdes d’Ovide – BNF Fr874 – Wikipedia, pubblico dominio

Le Heroides (Lettere di eroine), scritte da Ovidio, testimoniano proprio quel reato d’amore che condusse creature mitologiche di straordinaria intensità, sentimentale e passionale, allo strazio di sé.
L’uccisore, il boia, il carnefice è, però, spesso il padre o un congiunto prossimo, non sempre il partner, fidanzato marito amante.
Già nel Mito questa patriarcalità omicida è assolutamente denunciata, come fatale, per esempio nella Lettera di Canace a Macareo (Ovidio), documento unico prezioso di femminicidio da padre a figlia.
Canace ama d’uno sventurato incestuoso amore il fratello Macareo «perché mai fratello mi hai amata più che un fratello, e sono stata per te quel che una sorella non deve essere?…. gemevo pur non avendo ferite, né sapevo cosa fosse essere innamorata, ma lo ero».
Entrambi sono figli di Eolo, che sarà il femminicida-assassino della propria figlia.

Canace è vittima di un indiscusso e indiscutibile patriarcato, nei confronti del quale non ha alcun peso amare né soffrire né essere figlia generata.
Ma è ancor più vittima perché consapevole della propria impotenza in quanto femmina e in quanto figlia, doppiamente esposta a una macellazione, senza scampo, accettata quasi come contrappasso della sua disobbedienza al potere-maschio-padre.
Non l’abbandono né la crudeltà dell’uomo amato sono causa del dolore e della morte di Canace, ma la spietatezza del padre Eolo, forte del ruolo che, imperativamente, legittima la sua violenza, ruolo di padre repressivo-punitivo, ruolo di maschio repressivo-punitivo.

Canace partorisce un bimbo «il fardello della colpa deposto dal ventre», che la nutrice nasconde.
«Un vagito raggiunge le orecchie» del padre Eolo che «irrompe, grida a gran voce il mio disonore, e trattiene a stento le mani dal mio misero volto» scrive accorata Canace, al suo inattivo pavido Macareo. Per il padre-patriarca che «già aveva ordinato che il piccolo nipote fosse dato ai cani e agli uccelli…. lo sventurato emise un vagito, pareva avesse capito e, come poteva supplicava suo nonno» sono entrambi puniendi, il nipote neonato e la figlia disobbediente.

Stralcio testo tratto dalla pagina: milocca.wordpress.com sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…