Leonardo Melis (*).

CHI TRAFUGO’ L’ARCA DELL’ALLEANZA?

 

Paul Hardy – I sacerdoti portarono nell’arca… – Wikipedia, pubblico dominio

Parlare dell’Arca Santa d’Israele è scontato, quasi banale. Se libri su Atlantide ne contiamo oltre 7.000, di libri sull’Arca ne esce uno la settimana. Non è nostra abitudine parlare di argomenti troppo discussi in passato, per non ricadere nella banalità.

Abbiamo esordito con un libro che ha suscitato contrasti e contestazioni ma che, se non altro, trattava argomenti nuovi e originali. Intendiamo tenere questa condotta. Ma allora, l’Arca?
L’Arca è troppo legata alla tribù di Dan per non riprendere l’argomento accennato in passato.

Accertato che Mosè era egizio, sacerdote e mago, oltre che generale e principe di sangue reale, quindi in possesso di conoscenze ad altri impedite, possiamo asserire che l’Arca voluta da Mosè era frutto di una Scienza Antica e ancora oggi sconosciuta. Uno strumento capace di sprigionare potenza distruttiva inimmaginabile, pericolosa anche per chi ne faceva uso senza perizia. 
Mosè non la costruì personalmente, ma scelse due artigiani già pratici di arti e scienze varie: Besaleel, figlio di Hur della tribù di Juda e Ooliab figlio di Achimasac della tribù di Dan.
Esodo, XXXVII, 35: “Il Signore li ha dotati di tale abilità, che permette loro di eseguire qualunque lavoro di incisore, ricamatore e tessitore in violaceo, porpora, scarlatto e lino; capaci di compiere qualsiasi lavoro e di spirito inventivo”. I due costruirono il Tabernacolo, la tenda del Convegno, in cui sarà custodita l’Arca che sarà “In legno di acacia, lunga due cubiti e mezzo, larga un cubito e mezzo, e alta un cubito e mezzo. La rivestirai d’oro di dentro e di fuori; le farai tutt’intorno, nella parte superiore, una cornice d’oro. Farai fondere quattro anelli d’oro e li fisserai ai quattro piedi di essa: due da un lato e due dall’altro. Farai delle stanghe di legno di acacia, e le ricoprirai d’oro; farai passare negli anelli, ai lati dell’Arca, le stanghe che serviranno per portarla e non verranno rimosse. Porrai nell’Arca la Testimonianza che ti darò(?). Farai pure un Propiziatorio d’oro puro, lungo due cubiti e mezzo e largo uno e mezzo. Farai due cherubini d’oro battuto alle due estremità del propiziatorio…. là io mi incontrerò con te e dal Propiziatorio, tra i due Cherubini, ti darò gli ordini…” (Esodo: XXVI, 10-22).

Un Danita, dunque, con l’aiuto di un membro della tribù di Juda, costruì l’Arca. Questo spiegherebbe il legame Daniti-Arca che si protrarrà nei secoli, fino ai Templari e… oltre. Noi ne percorreremo la storia. Sappiamo che, una volta costruita l’Arca e postala all’interno del Tabernacolo, Mosè non faceva accostare nessuno. La custodia era affidata alla tribù di Levi, ai vecchi compagni di Mosè: egizi di stirpe e seguaci del Culto dell’Unico Dio predicato da Akenaton. Alcuni di loro erano sacerdoti di Eliopoli iniziati al culto di Aton e alle scienze degli Antichi. A capo dei Leviti figura un nome che ci lascia perplessi: Jersom. Jersom era anche uno dei figli di Mosè. 
E allora? 
Il sospetto è che si sia voluto nascondere il legame con l’Arca della famiglia di Mosè, che in altro capitolo spieghiamo come fu cancellata dalle cronache dai restauratori aronniti. Ritroveremo i discendenti di Mosè proprio grazie ai Daniti, che rintracceranno un discendente di Jersom, Jonatan, che diverrà il sommo sacerdote del santuario di Dan e, successivamente crediamo, del santuario di Silo, dove sarà custodito il Tabernacolo e l’Arca fino ai tempi di David. Ma torniamo all’Arca e ai suoi terrificanti poteri.

Nella Bibbia sono descritti alcuni episodi in cui l’Arca manifesta la sua potenza e pericolosità anche nei confronti di chi la doveva maneggiare. Levitico. X, 1-3 “I figli di Aronne, Nabad e Abiu, presero ciascuno il proprio incensiere, ci misero del fuoco e vi gettarono sopra l’incenso; poi presero davanti al Signore del fuoco profano: cosa che egli non aveva ordinato. Allora dalla presenza del Signore uscì un fuoco che li investì e morirono davanti al Signore” Nadab e Abiu erano figli di Aronne preposti all’ufficio e all’Arca, quindi sacerdoti istruiti nell’uso dell’arca stessa, ma evidentemente non ancora del tutto padroni della tecnica d’uso. E’ probabile che usassero un combustibile diverso da quello ordinato da Mosè e l’Arca reagì sprigionando una sorta di scintilla, che incendiò quanto essi avevano usato. La scintilla sembra fosse provocata dal punto di contatto delle ali dei due cherubini posti sul coperchi dell’Arca, il Propiziatorio. Chissà se Ooliab veniva chiamato in questi casi, per “aggiustare il guasto”, ma forse era lo stesso Mosè a intervenire, o meglio ancora Josuè di Nun, allievo prediletto di Mosè, che non si muoveva dal Tabernacolo e ne era il custode, in assenza di Mosè. Quando Mosè salì sul Monte Nebo per accomiatarsi dal popolo, consegnò i libri della Legge a Josuè, che li pose nell’Arca insieme alla verga di Aronne (che non era quella usata da Mosè per fare i prodigi descritti dalla Bibbia). Josuè diventa da questo momento il capo indiscusso e la guida di Israele e per rafforzare la sua posizione, farà spesso uso dell’Arca. Cominciò con l’ingresso in Palestina, quando diede ordine di passare il Giordano: “Quando vedrete l’Arca dell’alleanza, portata dai sacerdoti di Levi, lascerete il luogo dove siete e andrete dietro di Lei. Conserverete tra voi e l’Arca una distanza di duemila cubi; non avvicinatevi ad essa. Così potrete conoscere la via da seguire, perché non l’avete mai percorsa” (Josuè, III, 3)

Jacopo Tintoretto – Trasporto dell’arca dell’alleanza – Wikipedia, pubblico dominio

La Bibbia descrive quindi la separazione delle acque del fiume, che consentì il passaggio al popolo, esattamente come il passaggio del “Mar Rosso” (Vedi Josuè III, 14-17). Le acque si ritirarono “fino a Sartan”.  La presa di Jerico è ancora attribuita all’Arca. Facciamo però notare che alcuni studiosi moderni attribuiscono la distruzione di Jerico all’Invasione dei Popoli del Mare del 1200 a.C. – Ci piace pensare che l’Arca avesse parte anche nell’episodio in cui Josué fermò il sole su Gabaon, per dar modo a Israele di vincere la battaglia contro gli Amorrei (Amurru) (Josué X, 12). Un episodio che si riallaccia ad un fatto simile raccontato nell’Iliade, quando Patroclo ottiene dagli Dei “che la notte non sopraggiunga”, per continuare il combattimento vittorioso contro i Troiani.
Non sarà l’unico episodio che troveremo collegato ad altre epopee dei Popoli del Mare, come il voto di Jefte ricorda il sacrificio della figlia di Agamennone, Ifigenia; come l’episodio delle spose rapite dai Beniaminiti ricorda il ratto delle Sabine; il salvataggio dalle acque di Mosè ricorda quella di Sargon, di Romolo, di Perseo… per tornare all’Arca, ne ritroviamo le tracce in Samuele IV, quando Israele dichiarò l’ennesima guerra ai Philistei e subì (naturalmente) una sonora sconfitta. Morirono circa 4.000 uomini. A quel punto gli anziani d’Israele si ricordarono dell’Arca e mandarono a prenderla a Silo. Ma i Philistei non si lasciarono intimorire, massacrarono i figli d’Israele e catturarono l’Arca. L’Arca seminò la morte fra i Philistei e fu portata di città in città per sette mesi interi, finché i capi non decisero di rimandarla a Israele. La caricarono su un carro trainato da due giovenche da latte, collocarono sul carro una cassetta con 5 bubboni d’oro e 5 topi d’oro, tanti quante erano le città dei Philistei e la mandarono in direzione di Bet-Semes, ma anche qui accadde qualcosa di terrificante. I Betsemiti vollero guardare dentro l’Arca e 70 uomini furono uccisi all’istante. Arrivarono i Leviti da Cariat-Jarim (Campo di Dan) e la presero in consegna. L’Arca rimase a Campo di Dan fino all’avvento di David.

L’episodio di Cariat-Jarim rimane misterioso per alcuni punti.

  • I topi e i bubboni: pensiamo che con questo segno i Philistei volessero segnalare a Israele che le morti avvenute era procurate dalla peste (chissà, forse provocata da radiazioni emanate dall’Arca?) e che i topi erano i diffusori del contagio.
  • Le morti violente degli Israeliti che guardarono dentro l’Arca: questo fatto mette in risalto la pericolosità dell’Arca, che altre volte si mostrerà micidiale per chi le si accosterà senza precauzioni o con imperizia.
  • La comparsa dei Leviti: l’arrivo repentino dei Leviti da Campo di Dan è un altro segnale dell’attenzione che gli antichi compagni di Mosè dedicavano all’Arca, alla cui custodia Mosè li aveva preposti. Vista la loro provenienza (Cariat-Jarim, o Campo di Dan era vicinissima al territorio che i Daniti avevano occupato all’arrivo in Palestina) pensiamo che con i Leviti vi fosse anche gente di Dan a scortare il santo simulacro.

David, perseguitato da re Saul, era poco più che un brigante alla macchia finché non conobbe Abiatar, sacerdote di Silo scampato al massacro ordinato da Saul stesso per punire il sommo sacerdote Achimelech, che allora risiedeva a Nob. Abiatar divenne consigliere e sacerdote di David e poiché allora l’Arca risiedeva proprio a Nob, Davide ebbe a disposizione un’arma micidiale contro Saul e gli altri nemici. In segno di gratitudine (e, crediamo, di convenienza) egli farà portare l’Arca nella nuova capitale Jerusalem, dove resterà fino alla morte del figlio Salomone. Anche in occasione del trasporto nella capitale, l’Arca procurerà dei guai ai suoi custodi. Davide aveva inviato 3.000 uomini scelti a Baala di Juda, dove si trovava l’Arca, nella casa di Abinadab. I figli di Abinadab la posero su un carro nuovo: Ahio guidava il carro e Oza gli marciava a fianco, d’un tratto il carro sbandò e Oza stese la mano per impedire che l’Arca si rovesciasse e cadesse. Non l’avesse mai fatto, dall’Arca si sprigionò una forza “che percosse Uzah lì stesso e Uzah morì presso l’Arca di Dio” (II Samuele: VI). Lo stesso David si spaventò moltissimo e rinunciò a portare l’Arca in città. Così l’Arca rimase nella casa di Obed-Edom di Gat (probabilmente in campagna, alla periferia della città n.d.A.), dove rimase tre mesi, “e il Signore benedisse Obed-Edom con tutta la sua famiglia” (Le leggende popolari parlano di nascite plurigemellari, di donne che partorivano dopo soli due mesi, di raccolto fuori del comune…). David tenne l’Arca con se, ma non poté costruire il tempio, che invece realizzò suo figlio Salomone, il quale chiese aiuto a suo suocero, Hiram re di Tiro. Questi gli inviò specialisti e materiale per la costruzione e gli inviò soprattutto un personaggio divenuto leggendario: Hiram Abi l’architetto.

Hiram Abi, considerato l’iniziatore della “Libera Muratoria”, la Massoneria, era, guarda caso, era un Danita! (Libro II dè Paralipomeni: II, 13-14) “Ho adunque mandato a te un uomo virtuoso e di grandissima capacità, Hiram, mio padre, figliuolo di una donna della tribù di Dan, di padre di Tiro, il quale sa lavorare di oro e di argento, di bronzo e di ferro e di marmo e d’ogni specie di legno e anche di porpora e di bisso e di scarlatto; e il quale sa fare ogni maniera d’intagli…”. Se questa descrizione ricorda qualcosa o qualcuno, questi è sicuramente Ooliab di Dan, l’artefice dell’Arca! La storia di Hiram è avvolta nel mistero più assoluto, il suo modo di costruire il Tempio riporta ad antiche Scienze sconosciute ai più. Fra le opere di Hiram ricordiamo, oltre al Mare di Bronzo, i due pilastri, sempre in bronzo, che stavano davanti al vestibolo del Santuario. Queste due colonne avevano una circonferenza di 12 cubiti e avevano nome Jachin e Boaz, nomi che figurano ancora nelle tradizioni massoniche; al loro interno sarebbero state poste le “Antiche Testimonianze” e “Il magico Shamir e la storia delle sue proprietà”. Lo Shamir, un antico strumento che risaliva ai tempi di Mosè, chiamato “La pietra che rompe le rocce”, poteva tagliare il metallo più duro e persino il diamante senza rumore (Come Mosè aveva ordinato, era proibito costruire i santuari con rumore di metalli). Lo Shamir era il “Dito di Dio” che aveva inciso le Tavole della Legge? Era lo strumento col quale Ooliab di Dan intagliava le pietre preziose? Quali e quanti erano i segreti dell’antica Scienza di costruzione di cui Hiram era a conoscenza? Forse non si saprà mai più (o chissà?). Hiram venne assassinato da tre suoi discepoli nel tentativo di carpirgli questi segreti, che portò con sé. Dopo questo episodio della costruzione del Tempio, nella Bibbia non si parlerà più dell’Arca (con due eccezioni: Josia e Jeremia, che però ci lasciano dei sospetti di un probabile bluff). Che fine aveva fatto l’Arca? Abbiamo provato a seguire alcune tracce possibili: Shisak (Shesonk) – Jehoash (re d’Israele) – Oziah, re di Juda – Nabucodonosor (re di Babilonia) – Josia (re di Juda) – Manasse – Jeremia (Profeta d’Israele):

Liébaux, Jean-Baptiste – L’Arca dell’Alleanza – Wikipedia, pubblico dominio

Shesonk (ne parliamo in altro capitolo) era un generale dei mercenari Libu e Shardana di stanza in Egitto, che si impossessò del potere fondando la XXII dinastia. Egli, su invito di Jeroboam re del regno d’Israele, cioè delle 10 tribù che si erano staccate dal regno di Roboamo di Juda, invase la Palestina, puntando dritto su Jerusalem. Arrivato nella capitale si limitò stranamente a depredare il Tempio, senza saccheggiare la città. Un comportamento che ci lascia il sospetto che egli cercasse (e trovasse) qualcosa di molto più prezioso dell’intera città. Shesonk, se non era uno Shardana, era comunque un loro generale e i Shardana erano a conoscenza dei segreti d’Israele. Non dimentichiamo anche che Jeroboam, perseguitato da Salomone, si rifugiò in Egitto, ospite del faraone Shesonk e una vendetta contro chi aveva cercato di eliminarlo poteva essere proprio il privarlo del bene più prezioso: l’Arca. Abbiamo rintracciato il pettorale di Shesonk: riproduce il faraone assiso sopra la Barca (L’Arca) Celeste, fra i due Cherubini. Una scena che riproduce esattamente quanto custodito nel Sancta Sanctorum, “Dove Jawhe sedeva sul trono fra i due Cherubini”. Pensiamo proprio che, vista l’immagine, ci voglia più coraggio a negare che ad ammettere il collegamento con l’Arca Santa. E sentite un poco cosa affermava Shesonk: “Ho costruito per il Dio una casa misteriosa nella terra di Zahi… ho forgiato una grande statua che vi riposa nel mezzo… e gli Asiatici (Israele, n.d.A.) sono venuti per portare il loro Tributo, che per loro è divino”. Quindi Il faraone-generale aveva anche costruito un tempio dove sistemare quanto aveva sottratto a Israele. E Israele non poteva fare altro che recarvisi per continuare ad adorare il suo Dio. E’ da notare che Israele adorava un Dio invisibile e che stava in ogni luogo e non vi era bisogno di recarsi in Egitto. Se Israeliti e Judei si recavano al tempio costruito da Shasonk, il motivo era uno solo: la presenza dell’unica cosa visibile che essi potevano adorare: l’Arca! Qualsiasi altra immagine era, infatti, vietata. Shesonk e la sua dinastia sembravano animati da uno strano senso di vendetta contro qualcuno. Contro chi? Visto lo scherzetto fatto al regno di Juda, pensiamo che ce l’avessero contro chi aveva oscurato Mosè e il culto di Aton da lui promosso. Naturalmente ci riferiamo al “primo culto”, ossia il culto di Aton-Adonai. Il trattamento che Juda e le altre tribù riservarono a Mosè alla tribù di Dan è stato oggetto di nostre osservazioni in tante occasioni. La conferma che c’entrassero Mosè e Aton, oltre che Dan, l’abbiamo anche da uno dei successori di Shesonk che, guarda un poco, ricostruì il tempio di Aton a Busbastis! Il suo nome? Osorkon, lo stesso nome che assunsero alcuni Judici di Arborea!

Jehoash era re di Israele (delle 10 tribù del Nord) quando in Juda regnava Amasia. Quest’ultimo, imbaldanzito da una vittoria riportata sugli Idumei sfidò Jeshoash. La risposta, se non contenesse il disprezzo più grande, potrebbe sembrare perfino divertente. Dal II dei Re, XIV: Dopo questo (la vittoria su Edom, n.d.A.) Amasia mandò ambasciatori al figlio di Joacaz, re d’Israele, per dirgli “Vieni, misuriamoci faccia a faccia”. La risposta: “Tu hai battuto Edom e ti sei montato la testa. Contentati della tua gloria e sta’ a casa tua; perché vuoi tirarti addosso la sventura e rovinare te e Juda assieme?”.Ma il giovane re insistette e si ruppe i denti, nel senso che Israele arrivò fino alla sua capitale e saccheggiò il Tempio portandone via l’oro e gli arredi. Ma l’Arca non è menzionata.

Oziah (783-742 a.C.) fu protagonista di un episodio che potrebbe far pensare alla presenza dell’Arca. (II Cronache, XXVI – 16). Oziah, insuperbito da alcune fortunate imprese guerresche, volle entrare nel Tempio col chiaro intento di offrire incenso al Signore. Accortosi delle sconsiderate intenzioni del re, i sacerdoti cercarono di impedirglielo, ma il re li minacciò di morte se glielo avessero impedito e s’accostò con l’incensiere all’altare dei profumi. Mal gliene incolse, la lebbra lo ricoprì dalla testa ai piedi ed egli fu cacciato dal Tempio e visse la vita isolato fino alla morte. Certo l’episodio ne ricorda altri, dove protagonista fu l’Arca, come la Lebbra che ricoprì Miriam sorella di Mosè, o l’uccisione dei figli di Aronne “che officiarono con un fuoco non adatto davanti all’Arca del Signore”. Ma nell’episodio di Oziah si parla solo dell’altare dei profumi, ma l’Arca non è menzionata.

Nabucodonosor re di Babilonia attaccò la città di David ben due volte. Nel 598 a.C. “I Babilonesi incendiarono il Tempio di Dio, demolirono le mura di Jerusalem, bruciarono…” (II Cronache, XXXVI-17). Anche qui l’Arca non è menzionata.

Josia, divenne re a otto anni (640-609 a.C.) e la Bibbia racconta che fu durante il suo regno che il gran sacerdote Elkia “trovò i Libri della Legge nel Tempio” (II Cronache XXXIV – 14). Nel suo fervore di restauratore dell’antica Legge religiosa, Josia stabilì i sacerdoti nelle loro funzioni e disse ai leviti che erano consacrati al Signore “Collocate l’Arca santa nel Tempio che edificò Salomone, figlio di David e re d’Israele. Voi non avrete più a portarla sulle spalle…”  (II Cronache XXXV). Ci sembra di capire che l’Arca non era più nel Tempio e che Josia chieda ai Leviti di riportarvela. Ma dov’era finita? La Bibbia non lo spiega, come non spiega se l’Arca che Jeremia disse di aver nascosto era quella autentica. Ma forse vi è un accenno nella Bibbia che farebbe pensare (O il suo redattore vuole far pensare) che l’Arca fosse stata allontanata dal Tempio dal nonno di Josia: Manasse.

Manasse commise un grande peccato agli occhi del popolo e dei sacerdoti. Egli sistemò un idolo nel Santa Sanctorum, dando ordini ai sacerdoti di rimuovere gli antichi oggetti di culto, e la Bibbia (il suo redattore) fa intendere che i Leviti e i sacerdoti rimossero anche l’Arca. Ma non è chiaro se l’Arca fosse ancora a Jerusalem. Il sospetto che ci fosse il tentativo (e il bisogno) di far credere alla presenza dell’Arca è forte anche nell’episodio di Jeremia.

Jeremia nato a Anatot (Anata) verso il 650 a.C. fu uno dei maggiori profeti e soprattutto fu un sostenitore di Josia. Di lui si racconta che avrebbe nascosto l’Arca in una caverna sul Monte Nebo (II dei Maccabei, 2): “Il Profeta, ricevuto un divino responso, ordinò che fossero portati dietro a lui il Tabernacolo e l’Arca, finché non giunse al Monte, sul quale era asceso Mosè
per vedere l’eredità del Signore 
(Il Nebo? n.d.A.)”. La questione del “Monte” è tutt’oggi aperta, dopo le scoperte su Har Karkom, la montagna situata nel Negeb, che alcuni ritengono essere la Montagna delle Tavole della Legge. Ma per quanto ci riguarda pensiamo che il Monte riferito a Jeremia sia il Nebo, dal quale Mosè poté vedere la Terra Promessa prima di morire. Comunque la Bibbia aggiunge che: “Alcuni di quelli che l’avevano accompagnato, venuti in seguito per segnare la strada con dei segni, non poterono più trovarla”. E un discorso di Jeremia ai figli di Israele ci mette un poco di dubbi: “E quando vi sarete accresciuti e moltiplicati nella vostra Terra, allora nessuno dirà più dov’è l’Arca? Nessuno ci penserà più, né se ne ricorderà, né la rimpiangerà o ne costruirà un’altra…” Sembra che Jeremia cercasse di convincere il popolo a rassegnarsi alla perdita di qualche cosa che essi ancora cercavano… l’Arca, che non c’era più… (comntinua su: thexplan.net)

 

Stralcio testo tratto da uno studio di Leonardo Melis pubblicato sulla pagina: thexplan.net .sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

 

(*) Leonardo Melis è nato a Setzu, il più piccolo Comune della provincia di Cagliari, uno dei paesi più antichi della Sardegna (Setzu = Su Etzu = l’Antico) ai piedi della Jara. Da 25 anni vive a Laconi.
Promotore della Legge sulla Bandiera Sarda, presentata dal Partito Sardo in Regione. Presidente (uno dei primi) della Consulta Territoriale sulla Cultura e la Lingua Sarda. Ideatore del romanzo storico “Shardana”, scritto dall’amico V. Melis, ha dedicato trent’anni alla ricerca sui Shardana e i Popoli del Mare, viaggiando continuamente dalla Sardegna all’Egitto, alla Francia, alla Corsica, all’Italia, alla Spagna, all’Inghilterra… sulla traccia lasciata dalla Tribù Perduta di Dan. Raccogliendo documenti, nomi, tradizioni, usi e costumi inerenti una Cultura comune, che riportava regolarmente ai mitici Sher-Dan, i Principi di Dan! Il suo libro “Shardana i Popoli del Mare”, 6 ristampe e 3 edizioni in due anni, diecimila libri in totale, ha cambiato il modo di scrivere la Storia e ha dato una svolta definitiva al concetto di Sardi dominati e colonizzati. Un nuovo orgoglio della Sardità è quanto Leonardo Melis sta restituendo ai Sardi di tutto il mondo.

(stralcio tratto da: veja.it)

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