Nella mitologia si narra della bellissima ninfa Cynara, chiamata così a causa dei suoi capelli color cenere aveva gli occhi verdi e viola, era alta e snella: una bellezza mozzafiato, ma orgogliosa e volubile! 
Zeus se ne innamorò perdutamente, non corrisposto; stufo e sconsolato, in un momento d’ira, trasformò Cynara in un carciofo verde e spinoso come il carattere dell’amata. Va però detto che al pungente ortaggio resta il colore verde e violetto dei suoi occhi, il cuore (il suo interno) tenero, come sa esserlo quello di fanciulla, e una provocante tentazione di metterlo in padella.
Il legame con la mitologia non è casuale, perché la pianta è originaria del bacino del Mediterraneo orientale, comprese le isole Egee, Cipro, l’Africa settentrionale e l’Etiopia dove tuttora si trovano varie qualità di carciofi cresciuti spontaneamente. 

Un fiore di carciofo (Cynara scolymus) – Foto pubblico dominio tratta da Wikipedia

Il carciofo, il cui nome in latino è cynara, è apprezzato dagli antichi Romani e dai Greci. Il carciofo che mangiavano i nostri avi, non è uguale a quello che troviamo oggi nelle nostre tavole. 
A quei tempi esisteva la specie selvatica, più dura, piccola e spinosa. I fiorellini azzurri del carciofo servivano per far cagliare il latte nella produzione di formaggio. 
Del carciofo troviamo traccia nell’opera di Plinio il Vecchio Naturalis Historia, dove sono messe in risalto le sue proprietà come depuratore e tonificante, come afrodisiaco e – a quanto pare – particolarmente efficace contro le calvizie. Le proprietà del carciofo sono inoltre citate da Teofrasto nella sua Storia delle piante e da Esiodo in Opere e giorni. Nel De Re Rustica di Decio Bruno Columella, leggiamo che veniva coltivato sia per scopi alimentari sia come pianta medicinale. Il re Egizio Tolomeo Evergete (sec. 3° a.C.) li faceva mangiare ai suoi soldati, famosi per forza e ardimento, perché si credeva dessero tali virtù.

Il carciofo è sempre stato associato, vista la sua forma, alle persone scontrose e “spinose”, tuttavia dal cuore tenero.

Foto di PollyDot da Pixabay

Nel Medio Evo non si conosceva il carciofo “moderno”. Con molta probabilità, gli orticoltori di quel periodo hanno ripreso o continuato la selezione iniziata probabilmente dagli etruschi, selezionando le piante e cercando di trasformare il carciofo selvatico – o il cardo – in carciofo “moderno”. Per secoli ignorato dalla massa, tornerà alla ribalta alla fine del Medio Evo a seguito di massicce importazioni dall’Africa e più precisamente dall’Etiopia.  La tradizione vuole che sia stata Caterina De’ Medici, in occasione del matrimonio con Enrico II di Francia, a diffondere l’uso dei carciofi in cucina. Si dice che anche Luigi XIV, detto “re sole”, amasse consumare carciofi. Si sa che nella seconda metà del 1400 venne introdotto a Napoli e a Firenze. 
Secondo Pietro Andrea Mattioli – studioso senese, medico, botanico, traduttore e commentatore di testi di farmacologia antica, uno dei primi scienziati naturali dell’Europa sorta dal Medioevo – nel 1500 il carciofo era già diffuso in tutta la Toscana. I cuochi al seguito di Caterina de’ Medici ebbero anche il merito di far conoscere ai francesi non solo i broccoli e le verze, ma anche i carciofi.

Sappiamo che Caterina era ghiotta di carciofi e un cronista dell’epoca, Pierre de l’Estoile, riportava una singolare notizia nel suo “Journal” del 1576 “La Regina madre mangiò tanto da scoppiare e si sentì male come mai le era accaduto prima. Si diceva che ciò dipendesse dall’ aver mangiato troppi cuori di carciofo, creste e rognoni di gallo di cui era molto ghiotta”. 

Foto di suju da Pixabay

Il carciofo lo troviamo in Sicilia nel XVI secolo. Nella cucina isolana i carciofi trovano largo impiego, secondi solo alle melanzane. Secondo la tradizione popolare siciliana il mangiar molti carciofi fa diventare rauchi. Ma, a parte questo, esiste tutto un fascino e un costume positivo intorno ad ad esso. 
Il carciofo è simbolo di speranza e per questo i rivenditori ambulanti anticamente gridavano: “comprateli, riscaldano i genitali!”.

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