La Divina commedia e i Fedeli d’Amore

Dante Gabriel Rossetti – Beatrice incontra Dante a una festa di matrimonio che gli nega il suo saluto – Wikipedia, pubblico dominio

Già nel secolo scorso e nei primi decenni di quello presente la questione della possibile appartenenza di Dante ad un’oscura setta esoterica, i Fedeli d’Amore, ha fatto versare fiumi di inchiostro, senza peraltro raggiungere che modesti risultati.

Chi sono i Fedeli d’Amore? 
Dall’esame semantico-letterale degli scritti di Dante e dei maggiori rimatori del suo tempo l’espressione parrebbe designare semplicemente coloro che, sulla scia della lirica provenzale trobadorica, riconobbero nell’amore una forza spirituale trasfigurante capace di far trascendere la condizione umana, fino a raggiungere la conoscenza e l’amore di Dio. 
Tramite di questa purificazione progressiva è la donna, non più oggetto di passioni contingenti, di carnali concupiscenze, ma specchio di virtù e celestiale bellezza su cui si riflette, trasformandosi e pur sempre a se stessa rimandando, la bellezza e la bontà divina.

Fedeli d’Amore sono dunque gli Stilnovisti tutti, ma non solo loro: chiunque abbracci questa accezione nuova della parola “amore” in cui si sottende un’esperienza intima dell’essere fondamentalmente religiosa.

Di qui una poesia con stilemi ed immagini in comune: luoghi retorici, sottigliezze allegoriche, simbolismi allusivi e inquietanti, lessico oscuro. Siamo d’altronde ancora nel medio evo e non è luogo comune ricordare che nell’età di mezzo tutto o quasi è allegoria, simbolismo, parabola, e al tempo stesso giuoco stilistico, squisita variazione sui medesimi temi, ricerca ossessiva di perfezione.

La Divina Commedia è forse una delle opere italiane più lette e studiate al mondo, la cui realizzazione è dovuta a uno dei più grandi compositori di tutti i tempi, Dante Alighieri.

Henry Holiday, Dante incontra Beatrice al ponte Santa Trinita – Wikipedia, pubblico dominio

Ma come spesso accade nelle grandi opere anche la Divina Commedia racchiude, tra i suoi canti, tra le sue figure e tra gli stessi luoghi di dannazione o paradisiaca potenza in essa descritti segreti che van ben oltre lo sguardo del lettore distratto, e che ripropongono pensieri e credenze nascoste di misteriose sette provenienti dall’oriente e legate a quella forza cosmica chiamata “amore”: i “fedeli d’amore”!

Anche se in nessuna storia ufficiale della letteratura se ne parla ci sono alcuni studiosi come Luigi Valli (“il linguaggio segreto di dante e dei fedeli d’amore “) che sostengono che i poeti del Dolce Stil Novo tra cui appunto Dante , non scrivessero semplici poesie d’amore , ma nei loro versi essi utilizzavano un codice segreto con il quale comunicare ai loro fratelli. 
Gran parte di questi poeti, infatti, sarebbero stati seguaci d’Amore, una confraternita che aveva tra i suoi scopi il ritorno alla purezza della dottrina cristiana, essi lottavano contro il potere temporale della chiesa favorendo, così  il potere imperiale che a lei si opponeva.
Notiamo un legame stretto con il catarismo che a sua volta traeva origine da un movimento, il Manicheismo che era nato appunto in Persia.
Italo Pizzi, nel libro “storia della poesia persiana” da una serie di interpretazioni ad alcune comuni parole usate nelle poesie degli stilnovisti

Madonna: fedeli d’amore
Donna: adepto
Folle: fuori della setta
Piangere: simulare fedeltà alla chiesa
Noioso: contro la setta
Fiore: simbolo della potenza divina
Vento e gelo: forze opposte all’amore
Pietra:la chiesa romana

Come molti altri componimenti degli stilnovisti anche nella Divina Commedia è nascosto il “vero” ed è lo stesso Dante a farci cenno di questo quando nel Purgatorio, VIII, 19-21 , egli dice:

aguzza qui ,lettor, ben li occhi Al vero,
che ‘l velo è ora ben tanto sottile,
certo che ‘l trapassar dentro e’ leggiero…

Nel medioevo il simbolo e il numero erano i cosiddetti “principia individuationis”, la loro funzione, in tutte le opere, sia letterarie sia architettoniche è importantissima, e lo stesso Dante non si sottrae al Simbolismo numerico ed è
 grazie a questo che il Poeta nasconde il “sacro credo” , infatti esaminando la Divina Commedia notiamo ( una più approfondita analisi è presente sul libro del Prof. Vlora “Dalla valle delle piramidi a Federico II di Svevia”) che il poeta non usa mai meno di 115 e non più di 160 versi per ogni canto.

La frequenza maggiore è
 sui valori 139 e 142, inoltre notare che egli non chiude mai un canto con 118-121-127 versi.

La cosa strana è che, pur scrivendo in terzine, il poeta non impiega mai un numero che sia divisibile per tre, anzi, il numero dei versi finali di ogni canto è
 pari ad un multiplo di 3 più 1!

Se facciamo un rapido conto:

118= 39 terzine +1
121= 40 terzine +1
127= 42 terzine +1

Quindi, per la logica detta prima tali numeri potevano essere utilizzati, ma come evidenziato il poeta cerca di scansare i numeri 39, 40, 42 la cui somma restituisce il 121, quadrato dell’11.

Secondo la simbologia cristiana l’11 rappresenterebbe il peccato, 11 sono per esempio le spire del labirinto della cattedrale di Chatres che il penitente doveva percorrere a scopo purificatorio e 11 sono i cubiti di altezza della camera del sarcofago della grande piramide, dunque 11 è il numero del peccato!

Questa tradizione risale non alla stessa religione Cristiana, ma a una cultura ancora più antica, quella egiziana e in particolare alle sue tradizioni sul numero 111 il Numero divino. Il 111 rappresenta la perfezione e la divinità, il primo 1 è il bene, il secondo 1 l’unione, il terzo 1 il male. Il problema è che in Egitto il bene e il male non erano intesi come da noi, non poteva esistere il bene senza il male, il bene è male e il male è bene, cioè non esiste una differenza, è un po’ come il concetto di yin-yang orientale, essi si compenetrano l’un l’altro, sono due volti della stessa medaglia!

Ebbene se alla perfezione, il 111, togliendo uno dei tre 1 otteniamo l’11, il peccato! Certo il significato medievale nasceva da ben altro, ormai le antiche tradizioni egizie erano ormai perse, ma il numero rimaneva!

Continuiamo con i calcoli. Infatti esaminiamo il I canto dell’Inferno si compone di 136 versi cioè 1+3+6=10 1+0=1

Se facciamo questo per tutti i canti del’Inferno otteniamo tre numeri: 1, 4, 7. Esaminiamo il loro simbolismo.

Il numero 1 è alla base della numerazione, esso indica il monoteismo, l’espressione del dio creatore.
Il numero 4 rappresenta la completezza, l’uomo, presso i babilonesi esso indicava le 4 regioni del mondo, per gli ebrei ricordava il paradiso terrestre con i suoi 4 fiumi, e anche per S. Agostino esso gode di grande importanza perchè
 “in quaternario numero est insigne temporalium”, per gli alchimisti medievali i 4 elementi.
Il numero 7 indica invece la perfezione, esso è
 somma del 3+4, cioè Dio (la Trinità ) e la materialità (i 4 elementi).

Dunque:

1- DIO
4-L’UOMO
7-IL CONGIUNGIMENTO UOMO CON DIO
 dopo l’espiazione dei peccati (11)

Tutto quindi sembra in tema con lo spirito della divina commedia, l’uomo che raggiunge dio dopo l’espiazione dei peccati.

Non finisce certo qui, infatti il 147 lo ritroviamo anche “geograficamente” nell’inferno. Infatti esso, dal limbo a Belzebù è
 alto proprio 147 miglia e la stessa altezza la ritroviamo nel purgatorio.

Torniamo ai versi, il canto centrale e il 17, ed è qui che Dante compendia tutto il suo insegnamento, infatti

Il canto 17 restituisce i numeri 1, 4 e 7 nei rispettivi 3 libri.

Inferno 1
Purgatorio 4
Paradiso 7

E quindi ritroviamo ancora il 147, mentre per il canto immediatamente successivo e precedente ottengo il numero 111, altro numero con grandi significati di cui abbiamo già parlato abbondantemente nella prima parte.

Leonardo Pisano detto il Fibonacci. – Wikipedia, pubblico dominio

Ovviamente, il Poeta, nel scrivere la sua Opera ha tenuto conto della numerazione araba già introdotta in occidente da Fibonacci, studioso che operò alla corte di Federico II. A questo punto pare chiaro come anche Dante fosse vicino al culti misterici orientali che oramai perse le antiche tradizioni egizie, tramandavano nel numero un loro ricordo vago.

Sono così i fedeli D’amore di cui lo stesso Dante faceva parte, quasi per sua stessa ammissione:

“…Vero è che tra le parole ove si manifesta la cagione di questo sonetto si scrivono dubbiose parole… E questo dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse in simile grado fedele d’amore.”

Dice L. Valli: “Quando la crociata degli albigesi desolò con le sue ripetute stragi la Provenza, essa disperse per il mondo insieme la poesia d’Amore e l’Eresia…”.

Del resto I fedeli d’amore erano una confraternita che aveva tra i suoi scopi quello il ritorno alla purezza della dottrina cristiana e che quindi piuttosto vicini all’eresia catara e i cui scopi non erano poi lungi da quelli dei seguaci Sufi e del resto i poeti del Dolce Stilnovo si rifacevano alla poesia mistica persiana, e proprio dalla Persia nacque il movimento manicheo da cui ebbe origine l’eresia catara , eresia che appunto voleva un ritorno alla povertà della chiesa e che era molto vicina al pensiero templare già che comunque tutte e due furono profondamente influenzate da particolari sette islamiche e dall’adorazione per il Baphomet.

Ecco così che si apre un altro interrogativo, chi era la “donna” d’animo puro e gentile di cui tutti gli stilnovisti “cantano”? Essendo fortemente influenzati dalla cultura Egizia e dunque dalle tradizioni isidee questa mistica donna potrebbe essere un chiaro riferimento al culto della Dea Madre, la Vergine Nera medievale alla quale erano state dedicate diverse cattedrali in Francia.

Un esempio è dato dalla seguente poesia del Cavalcanti in cui si parla di una “donna” di Tolosa (vecchio centro dell’eresia albigese):

Una giovane donna di Tolosa
bell’e gentil, d’onesta leggiadria
tant’è dritta e simigliante cosa
ne’ suoi dolci occhi, de la donna mia…
ma tanto è paurosa
che no le dice di qual donna sia.

Ritroviamo in queste parole anche un accenno alle antiche tradizioni isidee in cui non bisogna mai pronunciare il nome della divinità e quindi, in questo caso, della Donna. 
La donna dunque come Madre che racchiude in Sé il mistico verbo chiamato Amore di cui Dante era un “Fedele”

Domenico di Michelino – Dante ed i tre regni, 1465, Firenze, Santa Maria del Fiore – Wikipedia, pubblico dominio

 

stralcio testo tratto dalla pagina: umsoi.org sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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vedi anche:

 

 

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