Copia del torso Kore di Andros, probabilmente importata da Naxos, 540-500 a.C. – Wikipedia, foto di Zde opera propria rilasciata con licenza CC BY-SA 3.0

La più antica denominazione è quella che ritroviamo in Omero, nel VI libro dell’Odissea: Thrinakìe.
Da questo termine, per evoluzione linguistica, discenderà l’altro, più familiare di Trinacria.
A chiunque l’osservi sulla carta l’isola appare come un triangolo rovesciato, figurazione geometrica che nel pensiero esoterico universale attiene sempre alla dimensione spirituale, profonda.
Altre definizioni affini e altrettanto note: “triscele“, alla greca; “triquetra“, alla latina.
Si tratta di denominazioni che alludono e rinviano a un simbolismo della rotazione, l’eterno moto circolare del divenire (del sole, secondo il punto di vista d’una minoranza di studiosi).
Ai livelli più arcaici di cultura, come altrove nel Mediterraneo, l’isola è certo caratterizzata dal matriarcato: il ruolo delle donne è più incisivo e determinante rispetto a quello maschile.
La religiosità più diffusa e prevalente, come già a Creta, è quella della Grande Madre, espressione teologica dell’archètipo dell’eterno femminino, protagonista dell’evento unico della generazione e della cultura agraria, delle coltivazioni.

Nella pietra del monte si manifesta la divinità. Le due principali roccaforti del culto riservato alla Dea in Sicilia furono Enna, santuario iniziatico fin dal Neolitico, ed Erice. Entrambe, in principio, espressero la propria sacralità in forma diretta, immediata, per il loro stesso essere montagne. La prima epifania della Grande Madre in verità fu la pietra stessa: la rocca detta ancora oggi “di Cerere” nel caso di Enna, una cratofania o, se si preferisce, una ierofania litica, cioè il sacro che si manifesta in forma di pietra. La roccia, per la sua intrinseca robustezza e durevolezza, ben si presta a garantire le idee dell’eternità, del sacro, dell’intangibilità (il tabù).
D’altronde i miti più arcaici raccontano di un’età acronica, fuori del tempo, in cui Terra e Cielo erano indivisi, in cui uomini e dèi vivevano solidali la vita di ogni giorno. Poi, per un accidente variamente definito, intervenne un distacco traumatico.
Da allora, l’umanità nostalgica ha tentato di ripristinare l’originario collegamento fra i tre piani, cielo, terra e mondo infero, con montagne artificiali (le piramidi o le ziqurat babilonesi, le cosiddette “torri di Babele”) in cui fossero possibili forme di reintegrazione rituali, o i monti, le rocche, che costituiscono naturali assi di collegamento fra il piano terrestre e quello celeste. Così in Sicilia, isola per lo più caratterizzata da rilievi, la Grande Madre fu soprattutto Dea Montagna.
Quasi tutti i rilievi ebbero, già in epoca preistorica, il crisma d’una sacralità naturale, quanto meno la presenza, il predominio, d’una ninfa delle acque: a Palermo, prima di santa Rosalia, il monte Pellegrino (l’Ercta dell’antichità) fu l’habitat di varie manifestazioni successive in senso storico della Dea (Astarte,Tanit…); a Cefalù, una ninfa delle acque dominava la rocca (Castello Diana); a Tindari, la Madre nera è nozione immemoriale. In epoca storica emergono i santuari di Enna ed Erice. E vicino a Enna, nell'”ombelico della Sicilia”, il mito fisserà il luogo del ratto di Proserpina, sequestrata da Ade nel giardino posto ai margini del magico lago di Pergusa.

Il mito di un mondo nato per pategenogenesi

Busto di Demetra. Marmo, copia romana da un originale greco del IV sec. a.C. – Wikipedia, pubblico dominio

In età greca l’antica dea verrà identificata con Demetra. Diodoro Siculo, nel I sec. a.C., parlando delle assemblee dei contadini, del lutto e della ritrovata gioia di Cerere per il ritorno, seppure periodico, di Core (Persefone) dagli inferi, ci consegna la descrizione di un grande mito di partenogenesi simbolo del cosmo. Il riso-sorriso della Dea (ò ghélos gynaikòs…) ricreò la spiga, e –dunque- il mondo, per l’equivalenza fra la parte e il Tutto così sentita dagli antichi ancor prima che nascessero l’ermetismo e l’alchimia. E ciò senza alcun concorso maschile. Il che costruisce un indubbio unicum, nella storia delle religioni, paragonabile solo a un altro mitologema, quello della nipponica Amaterasu, divinità solare patrona della famiglia imperiale del Tenno, considerato suo discendente.

La Sicilia ebbe per prima il dono del grano

Per sottolineare l’importanza della diffusione del culto di Demetra e Core, vengono in aiuto le testimonianze classiche, in particolare di Diodoro Siculo e Cicerone. Diodoro Siculo dopo il ratto di Gore, Demetra, poiché non riusciva a trovare la figlia, accese le fiaccole dai crateri dell’Etna, si recò in molti luoghi della terra abitata e beneficò gli uomini che le offrirono la migliore ospitalità, dando loro in cambio il frutto del grano. Gli Ateniesi accolsero la dea con grandissima cortesia, e a loro per primi, dopo i Sicelioti, Demetra donò il frutto del grano. In cambio di ciò il popolo di Atene onorò la dea molto più degli altri con famosissimi sacrifìci e con i misteri eleusini, i quali superiori per antichità e sacralità, divennero famosi presso tutti gli uomini. Gli abitanti della Sicilia, avendo ricevuto per primi la scoperta del grano per la loro vicinanza con Demetra e Gore, istituirono in onore di ciascuna delle dee sacrifìci e feste cui dettero il nome di quelle e la cui data di celebrazione indicava chiaramente i doni ricevuti. Fissarono infatti il ritorno di Gore sulla terra nel momento in cui il frutto del grano si trova ad essere perfettamente maturo. Scelsero per il sacrifìcio in onore di Demetra il periodo in cui si incomincia a seminare il grano. Celebrano per dieci giorni la festa che prende il nome dalla dea, una festa splendida per la magnificenza dell’allestimento, durante la cui celebrazione si attengono all’antico modo di vita. In questi giorni hanno l’abitudine di rivolgersi frasi oscene durante i colloqui, poiché la dea, addolorata per il ratto di Core, scoppiò a ridere a causa di una frase oscena.


Un culto antico e ben radicato nell’isola

Diodoro siculo (affresco del XIX secolo) – Wikipedia, pubblico dominio

Diodoro Siculo, nativo di Agyrion (l’attuale Agira, in provincia di Enna), rimarca il fatto che Demetra donò il frutto del grano alla Sicilia in tempi remoti, concetto ribadito anche da Cicerone, ponendo l’accento sull’arcaicità del culto. Si può ipotizzare la presenza di originarie divinità femminili ctonie, legate alla fertilità della terra e alla simbologia della morte-rinascita, presenti in Sicilia prima della colonizzazione greca (iniziata nellVlII sec. a. C.).
Diodoro elenca una serie di cerimonie che si celebravano in onore delle dee. Queste erano le Thesmophoria, dedicate a Demetra, l’Anagoghé, che ricordava il ritorno di Core sulla terra, la Katagoghé, invece la discesa agli Inferi, e l’Anakalypteria, in ricordo delle nozze tra Core e Fiutone (Ade).
Dalla voce autorevole di Cicerone, sebbene i passi siano enfatizzati dalla requisitoria contro Verre (In Verrem), risulta chiaro come i riferimenti siano inconfutabili e rispondenti al vero, sia per l’antichità dei culti, che per l’importanza che essi conservarono fino a epoca romana e oltre.
La maggiore diffusione si ebbe specialmente sotto i Dinomenidi, fra VI e V sec. a. C. Anche all’epoca di Timoleonte, quando, in seguito alla vittoria del generale greco sui tradizionali nemici Cartaginesi al fiume Cremiso (341 a.C.) nel territorio di Leontinoi (l’attuale Lentini – Sr), e abbattuta la tirannide a Siracusa, si attua symmachia, ‘l’alleanza’, sulle monete coniate in quest’epoca appare la testa di Core, assieme alle fiaccole e alla spiga. Tutto questo è emblematico, perché testimonia la grande importanza in Sicilia del culto di Demetra e Core, di cui Enna rappresentò sicuramente un fondamentale centro di irradiazione e tale rimase fino al tardo periodo imperiale romano….

 

Stralcio testo tratto da un articolo di Bent Parodi di Belsito pubblicato nella pagina di vivienna.it  e riportato da scomunicando.it  sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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