Siamo nella Padova dei Carraresi e precisamente il 22 dicembre 1350 allorquando il Consiglio di Padova conferì la signoria a Giacopino e Francesco Carrara: eredi della potente famiglia che completò, tra l’altro, le mura della città di Monselice. 

Castello di Monselice – Wikipedia, pubblico dominio

Zio e nipote si trovarono, per volontà del popolo, insieme a governare Padova, ma tra i due non correva buon sangue, soprattutto a causa della difficile situazione politica italiana di quel tempo, caratterizzata dalle mire espansionistiche dei Veneziani, degli Scaligeri e degli stessi Fiorentini. Francesco sospettò che Giacopino stesse siglando accordi segreti con la Repubblica di Venezia per spodestarlo dal governo della città e, nel 1355, ordinò – per questo motivo – che fosse imprigionato in un sotterraneo del castello di Monselice.

L’amante dello sfortunato principe, Giuditta, non si arrese alle disavventure politiche di Giacopino e decise di condividerne le sorti trasferendosi anch’essa a Monselice. Inutilmente tentò di incontrare in carcere il principe carrarese, ma il capitano del castello le negò qualsiasi permesso. Disperata, la donna alla fine riuscì a corrompere alcune guardie e con qualche ingegnoso tranello riuscì a vedere, per qualche minuto, il suo sventurato amante rinchiuso in un buio sotterraneo del castello: senza finestre né porte.

La corruzione della donna alla fine fu scoperta e anch’essa fu rinchiusa in una cella del castello di Monselice. Il signore di Padova Francesco, informato dell’accaduto e sospettando che la donna fosse un agente segreto veneziano, ordinò che Giacopino fosse lasciato morire di fame e di sete nella sua buia prigione. L’ordine fu subito eseguito dalle guardie che chiusero con grossi mattoni l’apertura del sotterraneo. Nei giorni successivi, intuendo il suo destino, Giacopino urlò il suo dolore nella speranza di comunicare con la sua amata che condivideva la stessa pena poco lontano.

Le grida strazianti dei due amanti si udirono per molti giorni lungo le vie che menano all’antico maniero. Le lamentazioni erano talmente forti che molti monselicensi chiesero pietà per i due amanti, ma oramai il loro destino era segnato e dopo poche settimane la morte pose fine alla loro vita terrena.

Alla fine anche il castello ebbe pietà dei loro corpi e li nascose dentro le sue possenti mura, per evitare che le ossa fossero disperse dalle guardie. Le grida di dolore non cessarono con le loro morti anzi, ci informa lo storico Carturan, ancora nello scorso secolo il vento passando nel castello in rovina: sbattendo gli scuri e ingolfandosi tra le gole dei cammini portava con se le grida di Giacopino.

Una stemma nel corte grande del Castello di Monselice – Wikipedia, photo uploaded by User:RicciSpeziari. Photographer: Riccardo Speziari}} rilasciata con licenza CC BY-SA 3.0

Qui termina la storia e inizia la leggenda che vuole che il fantasma di Giacopino vaghi ancora tra le mura del castello alla ricerca della sua Giuditta, mentre il vento, nelle notti di burrasca, porta ancora i suoi lamenti lungo le sette chiesette. La sua amante, Giuditta, che fino all’ultimo fu tenuta all’oscuro del destino dell’uomo, vaga ancora oggi attorno al castello e nel buio della notte chiede ai passanti notizie del suo amato.

Naturalmente questa è una leggenda, ma durante i lavori di restauro del castello eseguiti nel 1935 dal Conte Cini, lo storico Barbantini – che diresse i lavori –  ci informa che nella parte sud ovest del castello è stato trovato un sotterraneo, senza porte d’entrata, posto in comunicazione con il primo piano tramite un buco sul soffitto dal quale partivano delle scalette scavate nel muro perimetrale.

A cosa serviva, annotava il Barbantini, quello spazio buio in cui si poteva accedere solo cadendo dall’alto, senza potere più uscire? Quel sotterraneo, ora ne siamo sicuri, è stata la tomba di Giacopino, imprigionato a Monselice per ben 12 anni.

Forse commosso dalla triste storia, il conte Cini dedicò una suntuosa sala del castello al principe Carrarese, che i turisti possono ora visitare. Per noi invece resta l’amarezza nel ricordare le pietose disavventure di Giacopino e Giuditta e c’è ancora oggi qualcuno che è pronto a giurare di udire, quando il vento soffia forte tra le mura possenti del castello, le grida del principe, diventato oramai un fantasma che cerca invano la sua donna.

Raccontava il vecchio custode del castello che anche il fantasma di Giuditta  appare, per chiedere notizie di Giacopino, agli innamorati che salgono alla Rocca;  lei per uno strano destino non sa ancora della tragica fine e spera di incontrarlo lungo le vie della città…

Stralcio testo tratto da un articolo di Flaviano Rossetto pubblicato nella pagina ossicella.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

Rocca edificata sulla cima della collina di Monselice, Colli Euganei. Wikipedia, foto Threecharlie – Opera propria rilasciata con licenza CC BY-SA 4.0

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Sarebbero ben tre i fantasmi che a Monselice animano le notti del castello fatto riedificare dal tiranno Ezzelino da Romano sui resti di una fortezza più antica: quello di Avalda (o Ivalda, la crudele amante di Ezzelino), quello di Jacopino da Carrara signore di Monselice, e quello della sua amante Giuditta.

Avalda comparirebbe vestita di bianco, con l’abito grondante di sangue.
Quest’ultima, in vita non ebbe nulla da invidiare alla crudeltà di Ezzelino, dal quale aveva ricevuto in dono il castello. Non esitava infatti a circondarsi di bellissimi giovani amanti, che faceva crudelmente uccidere tra mille torture, subito dopo aver soddisfatto le sue brame di lussuria.
Avalda praticava le arti della stregoneria e della negromanzia, e aveva dimestichezza con l’uso del veleno. A nulla le valsero però quando il tiranno si stancò di lei.
Scoperti i suoi turpi traffici la fece uccidere da un sicario, proprio nel castello in cui ancor oggi vaga insanguinata, in cerca di una pace che non può trovare.

Jacopino Da Carrara appare invece con un incedere lento per i corridoi, trascinando i suoi passi incerti con l’aiuto di un bastone.
Nominato signore di Padova il 22 dicembre 1350 assieme allo zio Francesco, fu da questi rinchiuso nel castello. Dopo diciassette anni trascorsi senza poter uscire, per lui fu decretata la morte per fame, e le sue urla raccapriccianti furono udite per molti giorni, fino alla sua fine.
La sua amante, Giuditta, che fino all’ultimo fu tenuta all’oscuro del destino dell’uomo, vaga ancora oggi attorno al castello e nel buio della notte chiede ai passanti notizie del suo Jacopino.

Stralcio testo tratto dalla pagina: bonvivre.ch sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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