Figlio di Aristeo e di Autonoe, figlia del mitico Cadmo, il giovane Atteone nacque sotto il segno della nobiltà e della forza.
Educato dal centauro Chirone, maestro di eroi e sapiente conoscitore della natura, egli divenne presto un cacciatore abile e impavido, capace di muoversi tra le foreste con la stessa grazia degli animali che inseguiva.
La sua passione per la caccia, tuttavia, si trasformò in destino di rovina.
Il mito racconta che Atteone attirò su di sé l’ira della dea Artemide, signora dei boschi e delle fiere, colei che proteggeva la vita selvaggia e ne custodiva il mistero inviolabile.

Tiziano – Diana e Atteone – Gallerie nazionali della Scozia – Wikipedia, pubblico dominio.

Le antiche fonti non concordano sul motivo della punizione divina.
Secondo alcuni poeti, Atteone fu colpito per hybris, l’eccesso di superbia: aveva osato vantarsi di essere più abile di Artemide stessa nella caccia, dimenticando che ogni talento umano trova il suo limite davanti al divino.
Altri invece narrano che la collera della dea fu scatenata da un incontro proibito: Atteone, vagando nei boschi, si imbatté in Artemide mentre faceva il bagno nella fonte Parteia, e, senza volerlo, vide la dea nuda.

In quel momento il sacro e il mortale si toccarono, un contatto che nessun uomo poteva sostenere impunemente.

Fontana di Atteone, gruppo scultoreo della cascata a Caserta – Image by nonmisvegliate from Pixabay

Anche la punizione di Atteone assume nel mito due forme diverse, entrambe tremende.
Nella prima, la più conosciuta, Artemide lo mutò in un cervo, simbolo della preda, condannandolo a fuggire davanti ai propri cani.
Atteone tentò di richiamarli, ma la sua voce umana era ormai perduta; i suoi stessi compagni di caccia, ignari, lo sbranarono tra le urla che si confondevano con l’abbaiare furioso del branco.

In un’altra versione, più antica, la dea non lo trasformò: gli gettò addosso una pelle di cervo, e i cani, ingannati, si scagliarono contro di lui, dilaniandolo.
Questa variante, attribuita al poeta Stesicoro, ispirò anche l’artista che scolpì le metope del tempio di Selinunte, in Sicilia, una delle più antiche rappresentazioni del mito.

L’immagine di Atteone sbranato dai suoi cani ricorda da vicino quella di Orfeo, smembrato dalle Baccanti, o di altri eroi che pagarono con la distruzione fisica la violazione di un confine sacro.

Nel mito di Atteone convivono fascino e terrore, bellezza e punizione.
È la storia di un uomo che, per un istante, ha oltrepassato la soglia del divino e ha contemplato ciò che doveva restare nascosto. La sua fine non è solo un castigo: è il prezzo dell’incontro tra l’umano e l’assoluto, tra il desiderio e il mistero.

Il mito di Atteone parla della fragile frontiera tra conoscenza e sacralità, tra curiosità e profanazione. Che si tratti di orgoglio o di visione involontaria, il suo destino ricorda, all’uomo antico e a quello moderno, che il divino non può essere posseduto né violato.
La metamorfosi in cervo, emblema della vittima, diventa il simbolo della reversibilità dei ruoli: il cacciatore diventa preda, colui che osserva viene osservato, chi domina la natura ne diviene parte.
In Atteone sopravvive il monito eterno del mito greco: ogni bellezza ha un confine sacro, e varcarlo significa perdere se stessi.

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