Nel Protagora, uno dei Dialoghi di Platone, troviamo il mito di Prometeo.

«Ci fu un tempo in cui esistevano gli dei, ma non esistevano le razze mortali. Quando, al tempo segnato dal Destino, giunse l’ora dell’esistenza degli uomini, gli dei, nel seno della terra, li forgiarono di limo e di fuoco, in modo che altri elementi potessero combinarsi con loro. »

Gli dei incaricano allora i due fratelli, Epimeteo e Prometeo, di dare alle razze mortali doti e qualità convenienti alle mescolanze realizzate.

Creazione dell’umanità da parte di Prometeo mentre guarda Atena (rilievo di epoca romana, 3 ° secolo d.C.) – Wikipedia, pubblico dominio

Epimeteo, l’ingenuo, essendo riuscito a convincere il fratello a lasciargli la cura di procedere alla distribuzione delle qualità, si mette all’opera.
Alle «razze» di piccola taglia dà le ali, a quelli che hanno la forza non dà la velocità, che invece viene data ai deboli ecc.
«Compensando ogni mancanza con un’aggiunta, uguagliò le sorti, affinché ogni razza avesse i mezzi per sopravvivere».
Ma nel momento in cui bisogna attribuire doti all’uomo, la «razza mortale» umana, chiamata infine ad apparire alla luce del giorno, non gli resta più niente da distribuire.
Chiamato a dargli man forte, Prometeo constata che l’uomo è nudo, disarmato.
A questo punto ruba a Efesto e ad Atena il fuoco e tutte le arti che implicano il padroneggiarlo, e ne fa dono all’uomo.
«Ecco dunque come l’uomo acquisisce l’intelligenza che sopperisce ai bisogni della vita, ma non l’arte di amministrare le città. Quest’arte, infatti, era di Zeus

È come se Prometeo avesse avuto il tempo di impadronirsi del «fuoco» che si fabbricava al pianterreno della fortezza dell’Olimpo, ma non di arrivare fino al torrione dove Zeus conservava l’arte della politica.
Ma, privati di quest’arte, solo con l’intelligenza delle cose che servono alla sopravvivenza e non alla vita in comune, gli uomini rischiano di essere annientati.

 

Raffaello Sanzio – Platone – Dettaglio degli affreschi della Stanza della Segnatura – Palazzi vaticani – Wikipedia, pubblico dominio

Così Zeus invia finalmente il suo messaggero Ermes a «portare agli uomini il sentimento dell’onore e del diritto», distribuendolo a tutti indistintamente, poiché, quand’anche l’onore e il diritto si insegnassero, non sono materia di specialisti, ma questione di ogni uomo.

Da quanto precede si può vedere il trattamento che Platone fa subire al mito per trarne la sua lezione filosofica.
Gli dei intervengono, anche se nell’ora decisa dal Destino e, chi più è, Zeus in ultima istanza, salva l’umanità. Tranne a «ridurre» il mito al suo «primo racconto» — dato e non concesso che si possa farlo — la lettura di Platone fa ancora parte del mito se siamo d’accordo che il mito è per essenza inesauribile e inesaurito dalle varie letture. E se la rilettura filosofica toglie al mito quel che filosoficamente lo distorce non lo priva però della sua forza «essenziale».

Comunque sia, l’esempio platonico, come alcuni di quelli che seguiranno, ci conferma nella convinzione che, se la mitologia classica alimenta ancora il nostro immaginario, è perché il mito conserva, al di là di ogni «antimito» o demitologizzazione, non solo un fascino che non si smentisce, ma anche il potere di essere ripreso e interpretato nuovamente.
Tra l’altro, notiamo che Platone fa altrove (La Repubblica III) uso di un altro mito, quello degli uomini nati dalla Terra-Madre, da cui provengono e che devono di conseguenza amare.
Da qui l’evidente patriottismo. Ma questo mito racconta anche che la lega da cui gli uomini provengono è fatta per i capi d’oro, per gli ausiliari d’argento, per i contadini e gli artigiani di ferro e di bronzo. Da cui le classi «sociali», e una certa mobilità «sociale» che avviene per trasmutazione ecc.

Platone utilizza questo mito come favola menzognera ma pedagogicamente utile per fondare il patriottismo e la sua teoria del «comunismo» dei Guardiani della Città.[1]

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[1] Ne La Repubblica Platone ci descrive il progetto di una società “perfettamente buona” e “migliore possibile“. Essa, come pone in evidenza Socrate, protagonista del dialogo, non appartiene alla storia. Essa esiste nella sfera del Logos, cioè all’interno dell’idea primigenia. Questo è il luogo ideale che Platone reputa perfetto poiché precedente alla storia che ne genera la corruzione. Ma non per questo il Logos è meno reale della storia stessa.
Il Logos, anzi, possiede per Platone un carattere di realtà maggiore della storia e funziona come modello ideale e paradigma della storia medesima, a cui la storia deve riferirsi (ciò pone la città ideale nella sfera della possibilità). La città platonica deriva la propria perfezione dal fatto di essere giusta, cioè fondata sulla giustizia. Tale giustizia si raggiunge facendo prevalere sugli interessi individuali, l’interesse generale della città, il “bene comune“. Non è quindi necessario che ogni membro della collettività sia giusto (ciò porrebbe la città nella sfera dell’impossibilità), è sufficiente che giusta sia la “collettività”. Anzi, Platone sottolinea con forza che la sua città si compone di “differenze”: cioè di uomini che per natura sono differenti gli uni dagli altri.
La somma delle differenze è funzionale al mantenimento e al progresso della città, per il diverso apporto che ciascun membro dà alla città. La somma delle differenze, in un sistema che tende alla giustizia e alla equa ripartizione dei compiti, produce l’eguaglianza che, come la giustizia, parte dal dato generale e non individuale. Corollari necessari del sistema sono l’assenza della proprietà privata e della famiglia, fonti storiche di diseguaglianza. Al vertice del sistema Platone colloca i“guardiani della città” scelti tra gli individui dotati di maggiori capacità esaltate dall’educazione, mediante un’attività pedagogica volta a costruire personalità in grado di rinunciare agli interessi particolari per dedicarsi all’interesse generale. A loro volta, i migliori tra i guardiani saranno i “re filosofi” chiamati a esercitare il potere.
Lo sviluppo dell’utopia rinascimentale, la quale risente fortemente dell’impianto platonico, è da mettere in stretta relazione con il diffondersi, a partire dal XV secolo, del neoplatonismo, cioè della ripresa dei temi della filosofia platonica che interessa i vari ambiti della filosofia umanistica e rinascimentale. 

http://www.clio.unige.it/utopia2/6_1_platone.htm ).

una vecchia radice del post

 

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