In Grecia, il fico era sacro a Dioniso e, soprattutto, a Priapo, il dio lubrico della fecondità.
A Roma era sacro a Marte, vero fondatore della città eterna in quanto si sostiene che Romolo e Remo siano nati proprio dalla sua unione con Rea Silvia, dopo che il dio della guerra aveva posseduto con la forza la giovane vestale di Alba Longa.

Pieter Paul Rubens – Rea Silvia e il dio Marte – Wikipedia, pubblico dominio

Essendo prole illegittima, i gemelli vennero quindi strappati alla madre per essere uccisi. Ma un servo pietoso li sottrasse a morte sicura adagiandoli in una cesta, che fu affidata alle acque del Tevere.
Trasportata dallo straripamento del fiume, la cesta si fermò in una pozza sotto un fico selvatico, all’ombra del quale Romolo e Remo furono allattati dalla lupa. Secondo alcune fonti, il fico si ergeva alle pendici del colle Palatino, nei pressi della grotta chiamata Lupercale, mentre nell’iconografia è spesso rappresentato con un picchio appollaiato sui suoi rami. Esso fu chiamato “fico ruminale“.

Peter Paul Rubens – Faustolo trova la lupa con i gemelli – Musei Capitolini – Wikipedia, pubblico dominio

L’etimologia dell’epiteto “ruminale” non è chiara e su di essa fin dall’antichità molti autori classici (tra cui Plinio il Vecchio, Tito Livio, Varrone, Plutarco e Dionigi di Alicarnasso) hanno formulato varie interpretazioni.
Secondo alcuni deriverebbe dal latino “ruma” (mammella); secondo altri, al contrario, il fico prese il nome da Romolo, tant’è che gli stessi autori latini lo chiamavano talvolta “ficus Romularis”. Altri, infine, ipotizzano un’etimologia etrusca.

Ad ogni modo, fin dall’antichità, il fico fu collegato alla fondazione di Roma e considerato un albero fausto. Era venerato soprattutto dai pastori, che vi si recavano con offerte di latte.
Più tardi vennero create due nuove divinità, Jupiter Ruminalis e Rumina, la dea dei poppanti presso i Romani. Essa veniva venerata in un tempio vicino al fico sotto cui (secondo la leggenda appunto) Romolo e Remo vennero allattati dalla lupa. Sebbene il fico ruminale fosse, in origine, solamente quello in riva al Tevere presso il quale si era fermata la cesta con i gemelli abbandonati, nel corso dei secoli successivi (e fino in epoca imperiale) altri alberi di fico furono oggetto di venerazione, talvolta con l’epiteto di “ruminale”.
Tra questi il fico navio (Ficus navia) che, secondo la leggenda, sorse spontaneo in un luogo colpito da un fulmine (Plinio, Nat. Hist. 15.77). Oppure nacque da un virgulto del fico ruminale, ivi piantato da Romolo. Lo stesso albero sarebbe poi stato trasferito dal sito originario al Comitium.

Il fico ruminale sul verso di una moneta da un denario – Wikipedia, pubblico dominio

La Repubblica Romana – giova ricordarlo – investiva i poteri formali di governo in quattro separate assemblee: i Comitia Curiata, i Comitia Centuriata, i Comitia Populi Tributa e il Concilium Plebis. E se Tito Livio afferma che nel 296 a.C. gli edili Gneo e Quinto Ogulnio avevano eretto “ad ficum ruminalem” un monumento che rappresentava i gemelli e la lupa, Ovidio racconta che alla sua epoca (43 a.C. – 18 a.C.) del fico non rimanevano che le vestigie.
Plutarco e Plinio narrano invece che un fico fu piantato nel Foro Romano in quanto ritenuto di buon auspicio e che, ogni qual volta la pianta moriva, veniva prontamente rimpiazzata con una nuova. Tacito aggiunge che nel 58 d.C. l’albero “ruminale” iniziò a inaridire. Ciò fu visto come un cattivo presagio, ma la pianta risorse con gran sollievo della popolazione. Se la pianta infatti si seccava, ci si potevano aspettare le peggiori sciagure pubbliche (per questo i sacerdoti avevano cura di piantarne sempre una nuova).

 

Stralcio testo tratto dalla pagina isolafelice.forumcommunity sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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