Johann Heinrich Füssli – Tiresia predice il futuro a Ulisse – Museo Nazionale Galles – Wikipedia, pubblico dominio

Tra le ombre della mitologia greca, poche figure possiedono il fascino enigmatico di Tiresia, l’indovino cieco di Tebe, figlio di Evereo e di Cariclo.
Sacerdote, profeta, uomo trasformato, Tiresia è l’emblema dell’ambivalenza tra luce e oscurità, sapere e limite umano. La sua storia, tramandata in più versioni, racconta come la cecità possa diventare visione, e come la conoscenza nasca spesso dal dolore.

Sulla sua cecità, e sul dono della profezia, circolano due antiche leggende.

Secondo la prima, narrata da Igino, Tiresia era un giovane pastore che, in Arcadia o in Beozia, calpestò due serpenti nell’atto dell’accoppiamento.

Pietro della Vecchia – Tiresia si trasforma in una donna – Museo di belle arti di Nantes – Wikipedia, pubblico dominio

Per questo fu trasformato in donna. Visse così per sette anni, finché, su consiglio di un oracolo, tornò sul luogo del prodigio e calpestò di nuovo due serpenti, ritrovando il suo corpo maschile.
La sua doppia esperienza, di uomo e di donna, gli valse una singolare sorte: Zeus ed Era lo consultarono per risolvere una disputa sulla natura del piacere. Chi gode di più, l’uomo o la donna?

Tiresia rispose che, se il piacere si potesse dividere in dieci parti, nove apparterrebbero alla donna.

Era, irritata dalla risposta, lo punì rendendolo cieco; ma Zeus, per compensarlo, gli donò il dono della profezia e una lunghissima vita, destinata a estendersi per sette generazioni.

Giulio Carpioni – Liriope Porta Narciso davanti a Tiresia – Wikipedia, pubblico dominio

La seconda leggenda, invece, lo vuole spettatore involontario di un mistero divino.
Un giorno, mentre si trovava presso una sorgente del monte Elicona, Tiresia sorprese la dea Atena mentre faceva il bagno nuda.
Per punirlo di quella visione proibita, la dea lo accecò; ma, commossa dalle suppliche della madre di Tiresia, gli concesse l’arte della divinazione e un bastone magico che gli permetteva di orientarsi come un vedente.

Così nacque l’indovino cieco più celebre della mitologia.

Tiresia compare in molte vicende della mitologia greca, come figura sapiente e temuta, spesso custode di verità che gli altri rifiutano di ascoltare.
In Sofocle, è Tiresia a svelare a Edipo la tragica verità: egli ha ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta.
Il re, incapace di accettare l’oracolo, lo accusa di menzogna e lo scaccia, ma le parole del cieco si riveleranno presto inesorabilmente vere.
Anche nell’Antigone, Tiresia ammonisce Creonte per il suo rifiuto di seppellire Polinice, annunciando le sciagure che cadranno sulla città.

Odisseo (Ulisse) consulta l’indovino per eccellenza, Tiresia. Particolare di un cratere a calice, a figure rosse, risalente al IV secolo a.C. – Wikipedia, pubblico dominio

Nell’Odissea, Tiresia appare già tra i morti: è la sua ombra che Ulisse scende a interrogare nell’Ade, su consiglio di Circe.
Solo lui, anche nell’aldilà, può rivelare al re di Itaca il senso del suo destino e la via del ritorno, indicando la colpa che grava su di lui: l’ira del dio Posidone, offeso per la cecità inflitta a suo figlio, il ciclope Polifemo..

La figura di Tiresia attraversa i secoli. Ovidio, nel terzo libro delle Metamorfosi, narra con eleganza la scena della trasformazione e del giudizio fra Giove e Giunone, sottolineando il tema del prezzo della conoscenza: chi osa sapere troppo, paga con la perdita della vista.

Nel Medioevo, Dante Alighieri lo colloca nel ventesimo canto dell’Inferno, tra gli indovini e i maghi.
Il poeta lo descrive con la testa rivolta all’indietro, simbolo di chi in vita ha voluto guardare oltre i limiti del tempo umano:

“Mira c’ha fatto petto de le spalle:
perché volle veder troppo davante,
di retro guarda e fa retroso calle.”

Giovanni Stradano – Illustrazione del canto XX dell’Inferno di Dante (gli indovini) – Wikipedia, pubblico dominio

Nel Novecento, la sua voce ritorna nei versi della Terra desolata di T. S. Eliot, dove Tiresia diventa testimone impotente del mondo moderno: non più colui che vede il futuro, ma chi osserva la fine della civiltà, incapace di mutare il destino.

Tiresia è il simbolo del sapere conquistato attraverso la sofferenza.
Accecato dagli dèi, ma illuminato dallo spirito, rappresenta la tensione eterna tra conoscenza e limite, tra la curiosità umana e il mistero divino.
È colui che ha visto tutto — uomo e donna, vita e morte, passato e futuro — e che, proprio per questo, non può più vedere nulla.
La sua figura, sospesa tra mito e filosofia, continua a parlare al presente: ci ricorda che la vera visione non nasce dagli occhi, ma dall’esperienza, e che chi osa cercare la verità deve accettare anche il prezzo della luce.

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