Un giorno, intorno al 415 d.C., le strade di Alessandria d’Egitto furono teatro di un episodio destinato a imprimersi per sempre nella memoria della civiltà. Una folla di fanatici cristiani, guidata da Pietro il Lettore, catturò una donna e la trascinò in una chiesa. Qui fu spogliata, percossa con tegole e lapidata fino alla morte. Il suo corpo fu poi fatto a pezzi e bruciato.

Morte di Ipazia, ad Alessandria – Wikipedia, pubblico dominio
La donna si chiamava Ipazia, e il suo unico “crimine” era quello di incarnare la libertà del pensiero in un’epoca che stava perdendo fiducia nella ragione.
Fondata da Alessandro Magno nel 331 a.C., Alessandria era stata a lungo il cuore pulsante del sapere del mondo antico.
La sua celebre Biblioteca, con centinaia di migliaia di rotoli e manoscritti, e il suo Museo, una sorta di università ante litteram, avevano raccolto e custodito il sapere greco, egizio, orientale e romano.
Ma la città del sapere conobbe un destino amaro.
Nel 48 a.C., Giulio Cesare conquistò Alessandria e la biblioteca subì un primo incendio. Ricostruita, sopravvisse ancora per secoli, finché nel 391 d.C. l’arcivescovo Teofilo, su ordine dell’imperatore romano, distrusse i templi pagani, abbatté il Serapeo e ne fece costruire una chiesa al suo posto. Fu la fine simbolica della cultura antica.
L’ultimo membro conosciuto del Museo fu un astronomo e matematico, Teone, padre di Ipazia.

Ritratto di Ipazia – Disegno di Jules Maurice Gaspard – Wikipedia, pubblico dominio
Di Ipazia sappiamo poco, ma quel poco basta a renderla una delle figure più luminose del mondo antico.
Nata ad Alessandria intorno al 350 d.C., fu educata dal padre alla matematica, all’astronomia e alla filosofia. È probabile che abbia collaborato con lui ai commenti ai Principi di Euclide e all’Almagesto di Tolomeo, il grande trattato che codificò il sistema geocentrico dell’universo.
Ipazia non si limitò però allo studio: insegnò queste discipline a sua volta, accogliendo nella sua scuola studenti provenienti da tutto il Mediterraneo.
Tra loro vi fu Sinesio di Cirene, che nelle sue lettere descrive il rigore e la sapienza della maestra, capace di insegnare anche l’uso dell’astrolabio, un sofisticato strumento astronomico che sarebbe rimasto in uso fino al XIX secolo.
Accanto alle scienze, Ipazia coltivò la filosofia, aderendo alla scuola neoplatonica.
Il suo pensiero si fondava sull’idea che tutto ciò che esiste emani da un principio unico, l’Uno, origine di ogni essere.
Le sue lezioni, aperte a tutti, erano momenti di libertà e confronto: il filosofo Damascio la descrive come una donna che “indossava il mantello del filosofo e parlava pubblicamente di Platone e Aristotele, elevandosi al vertice della virtù civica”.
Bella, eloquente e indipendente, Ipazia scelse di non sposarsi, dedicando la vita allo studio e alla ricerca.
Il suo sapere e la sua autorevolezza le valsero la stima di molti, tra cui Oreste, il governatore di Alessandria.
Ma proprio la sua influenza e il suo prestigio finirono per renderla sospetta agli occhi della nuova classe dirigente religiosa.

Cirillo di Alessandria – Wikipedia, pubblico dominio
Nel 412, alla morte di Teofilo, salì al potere il nipote Cirillo, futuro santo della Chiesa, ma all’epoca protagonista di un duro scontro con Oreste per il controllo della città.
Alessandria era ormai un crogiolo di tensioni: cristiani, ebrei e pagani si combattevano in nome della fede e del potere. Dopo l’espulsione violenta della comunità ebraica, il conflitto tra Cirillo e Oreste si fece insanabile.
Ipazia, amica del governatore, fu accusata dai seguaci del vescovo di impedire la riconciliazione tra i due.
Secondo lo storico cristiano Socrate Scolastico, “poiché si incontrava spesso con Oreste, l’invidia fece nascere una calunnia contro di lei: che fosse la causa della discordia con il vescovo”.
La calunnia bastò. Ipazia, donna pagana e simbolo di un sapere non cristiano, divenne il capro espiatorio ideale.
Nella primavera del 415, un gruppo di monaci e fanatici cristiani la intercettò per le strade di Alessandria. La trascinarono in una chiesa, la uccisero e ne bruciarono il corpo.
Nessuna punizione colpì gli assassini. Il ruolo di Cirillo nell’omicidio non fu mai chiarito, ma la sua ascesa come leader religioso continuò indisturbata.
Ipazia divenne presto simbolo universale di libertà e conoscenza.
Per i filosofi rinascimentali fu la rappresentante della sapienza antica soffocata dal fanatismo; per Voltaire, un emblema della ragione vittima della religione; per le femministe, una delle prime donne a cui la storia abbia riconosciuto il diritto di pensare.

Charles William Mitchell – La morte di Ipazia – 1885, Laing Art Gallery – Wikipedia, pubblico dominio.
La figura di Ipazia si staglia come una luce tra le ombre del tramonto del mondo antico.
La sua morte segna il punto in cui la filosofia e la scienza lasciano il posto al dogma, e la libertà di pensiero cede alla violenza delle fazioni.
Ma la sua eredità è rimasta, come una fiamma che attraversa i secoli: quella della ragione che resiste al fanatismo, della curiosità che non teme la verità, e della donna che osa pensare in un mondo che voleva ridurla al silenzio.
Ipazia non fu solo una vittima del suo tempo: fu il primo volto, luminoso e fragile, di una lotta che ancora oggi non ha fine, quella tra l’oscurità dell’intolleranza e la luce del sapere..
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