Con i termini camini delle fate si fa riferimento alla denominazione popolare data a rilievi rocciosi di forma piramidale che si trovano nella regione turca dell’Anatolica e più propriamente in Cappadocia. 

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Nelle valli che si distendono tra i villaggi di Urgup, Avanos, Goreme vi sono poi le città cosi dette sotterranee di  Kaymakli e Derinkuyu.
Alcune di queste piramidi sono state scavate e abitate fin dal IV secolo a.C., prima rifugio di anacoreti, in seguito di eremiti cristiani e poi intere popolazioni. In epoca bizantina, l’intera regione si è trasformata in uno straordinario universo rupestre con ben 365 edifici come chiese, cappelle, monasteri, alcuni dei quali internamente decorati con affreschi policromi.

Vi fiorirono alcune antiche civiltà, come quella degli Ittiti, o altre ancora provenienti dall’Europa o dalle stesse regioni dell’Asia Minore, e ognuna di esse ha lasciato in Cappadocia la propria impronta culturale.

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Le peculiarità geologiche del sito hanno fatto sì che i suoi paesaggi siano spesso descritti come “lunari”. La formazione geologica tipica, un tufo calcareo, ha subito l’erosione per milioni di anni, acquisendo forme insolite ed è abbastanza tenero da consentire all’uomo di costruire le sue abitazioni ricavandole dalla roccia, dando vita a insediamenti rupestri, piuttosto che a edifici innalzati da terra.

In questo modo, i suoi paesaggi lunari sono pieni di cavità e grotte, sia naturali che artificiali, molte delle quali continuano ad essere frequentate e abitate ancora oggi. La posizione geografica ha fatto per secoli della Cappadocia un crocevia di rotte commerciali, oltre che l’oggetto di ripetute invasioni.

Gli abitanti della regione hanno costruito rifugi sotterranei (esempi ancora visitabili sono le città di Kaymakli e Derinkuyu) che permettevano a intere città di rifugiarsi nel sottosuolo, e di sopravvivervi per molti mesi, senza necessità di arrischiare sortite esterne.
La costruzione di queste città sotterranee si articolava su più livelli, come Kaymakli che si dirama in nove sotterranei. Queste due città erano equipaggiate con fori di aerazione, stalle, forni, pozzi d’acqua e tutto quanto fosse necessario ad ospitare una popolazione che poteva arrivare fino a circa 20.000 abitanti.

Sebbene vi sia poca certezza circa l’origine della civiltà ittita, si sa con sicurezza che essa fiorì in Anatolia centrale nel II millennio a.C., avendo Hattusa (oggi Bogazköi) quale centro di potere nella regione, che essi chiamavano Tabal. Gli Ittiti fondarono diverse città, insieme agli abitanti della regione, e diedero forma a un impero che si estendeva fino a Babilonia. L’impero durò da sei a sette secoli e mise fine al dominio della dinastia semitica di Hammurabi.

Una particolare importanza rivestono, nella storia ittita, i secoli XV e XVI a.C., che segnarono il culmine dello sviluppo della civiltà. Alla fine del millennio, le guerre con l’Egitto (culminate nel trattato di pace di Kades, del 1286 a.C.) destabilizzarono l’impero hittita, che cedette infine agli invasori provenienti dai paesi dell’Europa orientale. Con il crollo del regno ittita, la Cappadocia si avviò verso il periodo più buio della sua esistenza, tra il X e il VII secolo a.C., in quanto caduta in mano persiana verso il VI secolo a.C., uno status mantenuto fino alla conquista di Alessandro Magno due secoli più tardi. 
I persiani divisero l’Anatolia in province (satrapie), assegnando a ciascuna un governatore definito Satrapo.
I principati erano collegati al porto di Efeso, presso la città turca di Kusadasi, tramite la “Via Reale di Persia”, che iniziava proprio in quella città e, passando attraverso le città di Sardi e Kayseri, raggiungeva la Mesopotamia e Susa, capitale della Persia. I satrapi rimettevano alla Persia le imposte da loro riscosse, sotto forma di oro, pecore, asini o i famosi cavalli della Cappadocia.

Sarà nel IV secolo a.C., che Alessandro Magno intraprese la conquista dell’Asia Minore, dopo il famoso episodio del nodo gordiano, prendendo la Cappadocia dalle mani dei persiani. Lasciò sul posto il suo luogotenente Abistamenes, perché tenesse il controllo della regione, che rimase sotto dominazione macedone fino alla morte di Alessandro, nel 323 a.C. L’anno successivo la Cappadocia riacquistò indipendenza e sovranità sotto la guida di Ariarate I. Fu in questo periodo che Cappadocia ha acquistato un forte carattere culturale ellenistico che rimarrà vivo fino all’epoca bizantina.

Il sarcofago di Alessandro Magno. – Wikipedia, pubblico dominio

La Cappadocia iniziò la lunga storia dei suoi rapporti con Roma sotto il regno di Ariarate IV, dapprima come nemica, sostenendo la causa di Antioco III il Grande nella Guerra siriaca, quindi come alleata, nella lotta contro Perseo di Macedonia durante la Terza guerra macedone. Da quel momento, la Cappadocia fu sempre alleata con la Repubblica romana.

Nel 130 a.C., Ariarate V marciò a fianco del console romano Publio Licinio Crasso Dive Muciano contro Eumene III (Aristonico), che accampava pretese regali sul Regno di Pergamo. Ma la sua sconfitta, e la liquidazione del suo esercito, portò dietro di sé uno strascico di lotte intestine che decretarono la fine della sua dinastia.

La Cappadocia scelse allora un leader locale di nome Ariobarzane I, sostenuto da Roma nel 93 a.C. Ariobarzane, tuttavia, non poté iniziare effettivamente il suo regno se non trent’anni più tardi, quando Roma, con Lucio Cornelio Silla come generale, gli spianò la strada mettendo ai margini il re armeno Tigrane II. Durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo, che precedette l’ascesa al potere di Giulio Cesare, la posizione della Cappadocia oscillò tra i due contendenti, dapprima in favore di Pompeo per poi volgersi in favore di Cesare.

In seguito la dinastia di Ariobarzane ebbe fine, e la regione manterrà la sua indipendenza tributaria fino all’anno 17 d.C., quando l’imperatore Tiberio, ridusse la regione al suo dominio elevandola a provincia romana. Due legioni romane garantirono un presidio permanente sotto l’imperatore Vespasiano, che cercava di proteggere la sua provincia da Levante. Le guarnigioni militari si accrebbero e si convertirono in fortezze sotto Traiano, che costruì anche strade militari nella regione. Nel III secolo le relazioni commerciali tra la Cappadocia e le regioni di Smirne ed Efeso si fecero così intensi che furono battute monete con i nomi delle tre città.

A partire dal IV secolo, la Cappadocia iniziò una trasformazione, questa volta influenzata dai monasteri greco-ortodossi di Palestina ed Egitto, i cui modelli furono seguiti nell’introduzione della religione cristiana, sotto il patrocinio dell’Impero bizantino.

Nei secoli VI e VII, apparvero le prime chiese dipinte. Queste chiese, come la maggior parte delle case nella regione, non erano costruite in forma di edifici, ma venivano – piuttosto – “intagliate” nella roccia. Le grotte artificiali così ottenute venivano poi decorate e sistemate secondo necessità. Esistono nella regione più di seicento chiese con queste caratteristiche.

Anche le chiese della Cappadocia subirono gli sfregi del periodo iconoclasta della storia bizantina (725-843), e molte pitture parietali soffrirono danneggiamenti a causa del divieto di riprodurre qualsiasi figura sacra.

I Selgiuchidi, turchi oghuz come gli Ottomani che abbatterono l’Impero bizantino nel 1453, cominciarono a penetrare in Cappadocia a partire dall’XI secolo, dopo la Battaglia di Manzicerta del 1071, in cui sconfissero l’esercito bizantino, dando inizio alla progressiva conquista del territorio spingendo le popolazioni greco-bizantine cristiane verso la costa ionica con il passare dei secoli. Dopo la presa di Cesarea nel 1082, i Selgiuchidi diedero inizio a una grande espansione urbanistica nella regione, costruendo moschee a Cesarea, Aksaray, Nigde e in altre città, a cui si aggiunse un’Accademia di Medicina nel 1206.
Inoltre, edificarono numerosi caravanserragli (kervansaray, letteralmente alberghi per carovane), che fornivano alloggio e rifugio alle carovane che percorrevano la Via della Seta, permettendo un sicuro pernottamento luogo il tragitto; alcuni offrivano servizi aggiuntivi a quelli di ospitalità, come infermerie, scuderie e moschee. I caravanserragli erano diffusi in tutta l’Anatolia, distanziati di circa 30 km l’uno dall’altro, potendo altresì servire come postazioni difensive del territorio in tempo di guerra. Tra queste costruzioni, spicca il caravanserraglio di Agzikarahan, costruito nel XIII secolo.

Sultanhan Caravanserraglio – Seldschukisch – Image by Hans Braxmeier from Pixabay

Nei secoli che seguirono, l’Anatolia fu teatro di conflitti tra i Selgiuchidi, Bizantini e Crociati. Questi ultimi, nel 1097, durante la Prima crociata, presero Nicea (Iznik), capitale selgiuchide, e obbligarono gli avversari a emigrare fino a Iconio (Konya), in Anatolia centrale. I Selgiuchidi posero le radici di quello che, dal XV secolo, sarebbe sorto come Impero ottomano, le cui origini provenivano da uno dei sultanati, nucleo originario del futuro impero, staccatosi dallo stato selgiuchide sotto il comando di un capo di nome Othman I Ghazi o Osman I, che diede il suo nome alla dinastia ottomana, detta degli Osmanli.

La Cappadocia ha avuto un ruolo speciale nella tradizione cristiana, per diversi motivi.
Durante i primi anni del cristianesimo, la Cappadocia fu terreno fertile per la diffusione di quella religione, in parte per della sua prossimità alle Sette chiese dell’Asia (menzionate nell’Apocalisse del Nuovo Testamento), e in particolare Antiochia, la prima comunità cristiana fondata da San Pietro.

Durante il periodo di persecuzione romana contro i primi cristiani, le grotte e i passaggi sotterranei scavati dai Frigi tra l’VIII e il VII secolo a.C. divennero una vera e propria città sotterranea nella quale i cristiani trovarono rifugio fino alla cessazione delle persecuzioni con il regno di Costantino….

Vittore Carpaccio – San Giorgio e il drago – Wikipedia, pubblico dominio

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Stralcio testo tratto dalla pagina: umsoi.org sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

 

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