La Chiesa cattolica è la pietra di paragone inevitabile per la maggior parte delle altre comunità cristiane diffuse nel mondo e, in particolare, in Italia: molto spesso, esse si definiscono per quanto hanno di diverso rispetto alla Chiesa di Roma. Le origini della Chiesa cattolica sono le origini stesse del cristianesimo, e il processo attraverso il quale la sede papale di Roma si consolida come centro della cristianità è oggetto di un intenso dibattito fra gli storici.

Perugino – Consegna delle chiavi a San Pietro, Cappella Sistina – Wikipedia, pubblico dominio

Nonostante la ricorrente presenza di eresie, per un millennio – fino alla separazione delle Chiese ortodosse, nel 1054 – la storia della Chiesa di Roma coincide ampiamente con la storia del cristianesimo. Questa coincidenza si rompe nel 1054 – per l’Europa orientale –, e a partire dal XVI secolo, con la Riforma protestante, anche in buona parte dell’Occidente. Il limitato successo del protestantesimo in Italia – la cui presenza, anche per ragioni politiche, è ridotta alle valli valdesi, a figure isolate di riformatori e a qualche colonia straniera fino all’Ottocento – fa sì che la storia del cristianesimo in Italia sia, ancora, quasi esclusivamente la storia della Chiesa cattolica, fino al Risorgimento.

Questa storia – con i suoi sviluppi politici, artistici, letterari, con gli ordini religiosi, i santi, i movimenti, le associazioni e le parrocchie – è troppo nota e studiata per trovare posto in questa sede, dove non potrebbe del resto essere trattata adeguatamente. Basti, per estrema sintesi, menzionare alcuni passaggi nodali del rapporto fra cristianesimo e società italiana a far tempo dalla conversione dell’impero romano favorita in misura decisiva dall’Editto di Milano, emanato nell’anno 313 dall’imperatore Costantino (c. 280-337) in materia di libertà di culto, a cui farà seguito la elevazione del cristianesimo a religione dell’Impero con la costituzione emanata a Tessalonica dall’imperatore Teodosio (c. 347-395), il 27 febbraio 380. La grave crisi causata dalle cosiddette invasioni barbariche che determinano la caduta dell’Impero Romano d’Occidente vede la Chiesa quale unica istituzione capace di resistere al tracollo delle antiche strutture imperiali e di favorire l’inserimento degli invasori nel contesto culturale, organizzativo, amministrativo e religioso dei territori occupati. Decisivo, anche in questa ottica evangelizzatrice, è il ruolo del monachesimo occidentale di cui san Benedetto da Norcia (480-547) può essere considerato il fondatore e legislatore.

Momento decisivo della lenta e faticosa opera di cristianizzazione delle popolazioni barbariche è l’incontro fra la Chiesa di Roma e la popolazione germanica dei Franchi e trova simbolico compimento con l’incoronazione di Carlo Magno (742-814) nella chiesa di San Pietro a Roma per opera del Papa Leone III (c. 750-816) nell’anno 800, evento che segna la nascita del Sacro Romano Impero.
Dopo il periodo carolingio e la successiva nuova drammatica ondata barbarica, è ancora la Chiesa a consentire la ricomposizione di un corpo sociale organizzato. In questa fase, diventa importante la ricerca dei giusti equilibri fra la ricostituita potestà imperiale e il pontificato romano: a fronte dei tentativi egemonici della prima, il papato rivendica il primato della sfera spirituale su quella temporale, primato che diviene effettivo soprattutto a partire dall’energico pontificato di Gregorio VII (1073-1085), che contro le pretese imperiali avvia la lotta per le investiture, e fino all’apogeo del papato medioevale raggiunto con Innocenzo III (1198-1216), strenuo difensore della plenitudo potestatis del romano pontefice. Sotto il suo regno, inoltre, nasce il movimento francescano, quale risposta della più genuina spiritualità cattolica alle spinte centrifughe ed ereticali che in nome del ritorno alla povertà evangelica si pongono in contrasto con la Chiesa di Roma.

Parallelamente alla nascita e allo sviluppo dei grandi Ordini mendicanti (oltre a quello fondato da san Francesco d’Assisi [1181-1226], principalmente quelli domenicano e carmelitano), il secolo XIII vede anche il consolidamento dell’università quale centro di studi superiori promosso dalla Chiesa nonché l’affermarsi della filosofia scolastica, vale a dire della elaborazione filosofica e teologica di una visione unitaria del mondo che prende spunto dal dato di fede per vivificare tutti gli ambiti del sapere umano.
I vertici di questo pensiero si trovano, non a caso, in due appartenenti agli Ordini mendicanti: il domenicano san Tommaso d’Aquino (1226-1274) e il francescano san Bonaventura da Bagnoregio (1221-1274).
Alla fine del secolo XIII, che può essere definito come l’apogeo della civiltà cristiana romano-germanica, inizia il processo di progressivo sgretolamento del grande edificio della christianitas medievale. Emblematico di questo passaggio epocale è il pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303), il quale da un lato cerca di ribadire i fondamenti della plenitudo potestatis affermati da Innocenzo III, dall’altro subisce l’oltraggio perpetrato in Anagni per opera degli emissari del Re di Francia, Filippo il Bello (1268-1314), antesignano delle spinte nazionalistiche che verranno ad affermarsi con sempre maggiore vigore nei secoli successivi quale connotato tipico della moderna concezione laica e agnostica della società.

La crisi della Chiesa e del suo ruolo guida si manifesta poi in tutta la sua gravità con il trasferimento della corte papale ad Avignone sotto il diretto controllo dei re di Francia (1309). Dopo quasi settant’anni di “cattività avignonese”, che favoriscono l’acuirsi dello scontro tra fazioni contrapposte in una Roma abbandonata al suo destino, grazie anche alla preziosa opera svolta da santa Caterina da Siena (1347-1380), nel 1377 Papa Gregorio XI (1329-1378) stabilisce nuovamente a Roma la sede dei successori di Pietro.
Il perdurare delle divisioni interne all’episcopato, alimentate dalle menzionate spinte nazionalistiche francesi, è causa del Grande Scisma d’Occidente (1378) caratterizzato dalla contemporanea presenza di due e anche tre papi, ciascuno espressione delle diverse fazioni antagoniste, fonte di grave disorientamento per l’intero mondo cristiano.
Solo nel 1417 diviene finalmente possibile porre fine allo scisma e ricompattare la Cristianità attorno a un unico pontefice (Martino V, 1368-1431), presupposto imprescindibile per la normalizzazione della vita della Chiesa.

La diffusa esigenza di una riforma interna della Chiesa favorisce, un secolo più tardi, la gravissima lacerazione prodotta, nel 1517, dalla ribellione del monaco agostiniano tedesco Martin Lutero (1483-1546). Come detto, la Riforma protestante non riesce a segnare se non marginalmente il territorio italiano e non può pertanto costituire elemento rilevante nell’esame dei rapporti fra cristianesimo e società italiana, se non per considerare che in Italia ebbe luogo l’evento fondante la Riforma cattolica, impropriamente detta Controriforma, che costituisce al contempo la risposta alla menzionata esigenza di riorganizzazione interna e di approfondimento teologico e pastorale nonché reazione allo scisma protestante: il Concilio di Trento (1545-1563). La frantumazione dell’unità della Chiesa occidentale accelera il processo di sviluppo dei nazionalismi e della secolarizzazione degli Stati, favorito anche da un’eresia quale il giansenismo (XVII e XVIII secolo), che in nome di un rigorismo esasperato produce il distacco di larghi strati di fedeli dalle pratiche devozionali, dalla preghiera, dalla partecipazione alla Messa e quindi, in definitiva, dalla fede stessa.

Contro queste tendenze, risulta decisiva la riproposizione di una spiritualità fondata sulla consapevolezza della misericordia divina e sulla confidenza dell’uomo in Dio, di cui è alfiere in Italia sant’Alfonso Maria de’ Liguori (1696-1787). Parallelamente, i nazionalismi cercano appoggio in costruzioni ecclesiologiche funzionali all’esigenza di mantenimento del potere politico, che postulano il distacco delle Chiese nazionali dal papato romano e che assumono, a seconda dei contesti, il nome di gallicanesimo, giuseppinismo e giurisdizionalismo.
I tentativi di esportare anche in Italia queste tendenze non sortiscono risultati significativi, anche per effetto della resistenza efficacemente posta da apostoli dell’unità della Chiesa e del ruolo del papato, fra i quali il venerabile Pio Bruno Lanteri (1759-1830), fondatore degli Oblati di Maria Vergine.

I rapporti fra Stato e Chiesa cattolica in Italia sono passati, come è noto, attraverso diverse fasi, particolarmente conflittuali dopo il Risorgimento e la presa di Roma del 1870. In seguito alla “Breccia di Porta Pia” del 20 settembre 1870 e all’invasione di Roma e del territorio pontificio da parte delle truppe del Regno d’Italia, la Chiesa perde, dopo circa mille anni, il proprio potere temporale. Da quel momento, il Papa rimarrà rinchiuso nei palazzi apostolici, non affacciandosi più su Piazza San Pietro fino alla ripresa dei rapporti diplomatici con lo Stato unitario.
Con la legge delle Guarentigie, nel 1871, il Governo italiano tenta di risolvere la “questione romana” garantendo l’indipendenza del Pontefice e la sua immunità, oltre che il riconoscimento alla sua persona dei privilegi, ma soltanto onorifici, della sovranità. Quest’ultima, tuttavia, non può essere esercitata su un territorio e perciò la Santa Sede non accetta il provvedimento. Altre disposizioni inserite nel testo aboliscono l’exequatur e il placet regio sugli atti ecclesiastici e sulle nomine dei vescovi.

Il mancato riconoscimento della legittimità del nuovo Stato unitario da parte della Santa Sede trova un’altra clamorosa manifestazione nel non expedit, ovvero nel provvedimento con cui si vieta ai cattolici la partecipazione attiva alla vita politico-parlamentare della nazione. Questa forma di auto-esclusione dalla scena politica si accompagna al grande sviluppo della presenza organizzata dei cattolici a livello sociale, associativo, sindacale, cooperativo, presenza che trova il proprio massimo organismo di aggregazione nell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici fondata a Venezia nel 1874 e approvata dal beato Papa Pio IX (1792-1878).
Il nodo si scioglierà soltanto l’11 febbraio 1929, con la firma dei Patti Lateranensi, costituiti da un Trattato e da un Concordato. Con il primo si costituisce lo Stato di Città del Vaticano e sono restituiti alla Santa Sede alcuni palazzi che, pur in territorio italiano, beneficiano dell’extraterritorialità. La legge delle Guarentigie è abolita contestualmente in quanto superata riguardo alla tutela del Pontefice, dei religiosi e del personale diplomatico. Tramite il Concordato sono regolati i rapporti fra Stato e Chiesa, riconoscendo a quest’ultima un particolare favore, anche giuridico.

Nel 1984 il Concordato è rivisto bilateralmente con l’Accordo di Villa Madama. Nel nuovo testo, Stato e Chiesa cattolica sono dichiarati ognuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani, ma si considera “non più in vigore il principio della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”. Anche l’organizzazione della Chiesa cattolica – articolata territorialmente in parrocchie e diocesi, e centralmente nella Santa Sede, con l’importante aspetto collaterale dell’autonomia degli ordini religiosi – è troppo nota per dovere essere ulteriormente illustrata. Si deve però almeno segnalare, nei secoli più recenti, l’importanza per la Chiesa cattolica dei due Concili Ecumenici Vaticani svoltisi entrambi a Roma – il primo nel periodo 1869-1870 e il secondo dal 1962 al 1965 – e carichi di conseguenze dottrinali (Vaticano I) e pastorali (Vaticano II).

Quanto alla dottrina – che ha trovato una nuova sintesi nel Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1992 – vale la pena, in questa sede, di sottolineare soprattutto quanto divide i cattolici da altri cristiani: il primato del Papa di Roma (non solo di onore, ma di giurisdizione); la venerazione della Vergine Maria e la credenza nella sua immacolata concezione e assunzione in Cielo; il culto dei santi; le preghiere per i defunti e la credenza nel Purgatorio come luogo di espiazione distinto sia dal Paradiso sia dall’Inferno; la presenza di sette sacramenti e il valore sacrificale della Messa che rinnova – non soltanto in senso simbolico – il sacrificio di Cristo, così che nell’eucarestia è veramente presente Gesù Cristo in corpo, sangue, anima e divinità; l’indissolubilità del matrimonio; l’accesso al sacerdozio ministeriale delle sole persone di sesso maschile (mentre il celibato dei sacerdoti, che caratterizza il rito latino, tollera però eccezioni in Chiese cattoliche di rito orientale, che rimangono unite a Roma e sono parte integrante della Chiesa cattolica).

Molti protestanti affermano che – al di là di tutti questi aspetti, pure importanti – l’unione con Roma è soprattutto impedita dal fatto che per i padri della Riforma la salvezza viene dalla sola fede, mentre Roma insegnerebbe che ci si salva attraverso le buone opere. Il dialogo ecumenico e una serie di dichiarazioni comuni sottoscritte dalla Chiesa cattolica e da comunità protestanti negli ultimi anni (da ultimo, quella firmata dalla Chiesa di Roma e dalla Federazione Luterana Mondiale il 31 ottobre 1999) mostrano, tuttavia, che le distanze su questo punto, una volta chiariti problemi di tradizione e di linguaggio, sono forse meno radicali di quanto comunemente si creda.

La Chiesa cattolica considera un suo dovere imprescindibile l’impegno nel dialogo ecumenico, i cui confini si vanno allargando. Dal dialogo con gli ortodossi, i vetero-cattolici dell’Unione di Utrecht, gli anglicani e le Chiese protestanti storiche riunite nel Consiglio Mondiale (o Ecumenico) delle Chiese di Ginevra, soprattutto negli Stati Uniti (ma con qualche interessante sviluppo in Europa e in Italia) il dialogo si è esteso a comunità evangelical (la cui teologia conservatrice impedisce l’adesione al Consiglio Ecumenico delle Chiese, ritenuto troppo “progressista”) e ad alcuni settori del vastissimo mondo pentecostale.

Anche se in maniera succinta, è opportuno fare un richiamo ai principali riti orientali cattolici presenti nel nostro Paese, che nella quasi totalità fa riferimento al rito romano, senza tuttavia dimenticare l’importante e plurisecolare presenza del rito ambrosiano, nell’Arcidiocesi di Milano. Il rito bizantino è praticato nelle due eparchie italo-albanesi di Piana degli Albanesi, in Sicilia, e Lungro, in Calabria, oltre che nel monastero esarchico di Grottaferrata. Nel monastero dei Padri Mechitaristi di San Lazzaro a Venezia si pratica il rito armeno, e ulteriori presenze – oltre alle varie rappresentanze presso la Santa Sede – sono quelle dei collegi orientali a Roma: armeno, romeno, greco, russo, Istituto San Giovanni Damasceno per gli orientali indiani, Collegio San Benedetto per gli studenti arabi, e due collegi ucraini di rito bizantino-ucraino.

 

Stralcio testo tratto dalla pagina: cesnur.com sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

 

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