Roma, 9 Settembre 1598

Presunto ritratto di Beatrice attribuito a Guido Reni, 1599 – Wikipedia, pubblico dominio

L’intera città è sconvolta. Una giovane nobile, bella e coraggiosa, viene trascinata al patibolo davanti agli occhi impietriti della folla. La sua morte, come la sua vita, scuote Roma nel profondo. È la fine della famiglia Cenci, una delle casate più antiche e illustri della nobiltà romana, travolta da un dramma familiare che si intreccia con il potere della Chiesa, la ferocia della giustizia e il peso dell’onore.

All’apice della sua fortuna, la famiglia Cenci vive isolata nei suoi fasti, disinteressata ai giochi di potere che animano la Roma della Controriforma.
Francesco Cenci, il patriarca, uomo arrogante e violento, si illude che il solo blasone basti a proteggerlo. Ma in un’epoca in cui sopravvive solo chi trama, quest’illusione gli sarà fatale.

Insofferente, scontroso, odiato da molti, Francesco viene accusato di delitti infamanti: omicidio, sodomia, abusi. Riesce a evitare condanne solo grazie alle sue ricchezze, ma le sanzioni economiche iniziano a logorare il patrimonio familiare. Le rendite si riducono, i figli si ribellano, i beni vengono svenduti. L’impero dei Cenci comincia a sgretolarsi.

Per sfuggire agli scandali, Francesco si ritira nel Regno di Napoli con la seconda moglie, Lucrezia Petroni, e la giovane figlia Beatrice.
Ma invece di pace, nella Rocca di Petrella si consuma l’orrore. Francesco, malato e rovinato, si accanisce sulla famiglia con una ferocia crescente. Beatrice è segregata, picchiata, e, come rivelerà più tardi, abusata ripetutamente, anche davanti alla madre. Il clima diventa insostenibile.

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Statua di Beatrice Cenci di Harriet Goodhue Hosmer, 1857 – Wikipedia, pubblico dominio

Nel silenzio forzato di quella prigione dorata, Beatrice e Lucrezia maturano un’idea estrema: uccidere Francesco. Con l’aiuto del castellano Olimpio Calvetti e del servo Marzio Catalano, pianificano l’omicidio. Dopo tentativi falliti, una notte gli somministrano oppio e lo uccidono nel sonno, cercando goffamente di simulare un incidente.
Il corpo viene ritrovato ai piedi della rocca, con il cranio spaccato e una canna di sambuco conficcata nel petto. È la stessa Beatrice a denunciare la scoperta, con voce tremante e volto innocente.

Le donne tornano a Roma, convinte che il delitto resterà impunito. Ma qualcosa non torna. I sospetti si moltiplicano. Olimpio viene arrestato e confessa tutto sotto tortura. Beatrice è indicata come l’ideatrice del complotto. Lei nega, con ostinazione e fierezza. Ma l’atteggiamento sicuro, quasi provocatorio, le si ritorce contro. Inizia così una lenta e implacabile macchina del fango.

I testimoni parlano. Una lavandaia dichiara di aver ricevuto lenzuola insanguinate. Altri raccontano di voci, sguardi, incontri sospetti. L’opinione pubblica si divide. Qualcuno simpatizza per la giovane vittima di un padre mostruoso. Altri vedono nella famiglia Cenci solo decadenza e corruzione.

Nel frattempo, all’interno della casata tutto crolla: i fratelli si accusano a vicenda, i servitori parlano. Il Papa stesso interviene, revoca i privilegi nobiliari e autorizza la tortura. Sotto supplizio, Giacomo confessa. Lucrezia scarica le colpe su Beatrice. Lei sola continua a difendere tutti, ostinata, decisa a salvare almeno l’onore della famiglia.

Beatrice Cenci in prigione. Quadro di Achille Leonardi, XIX secolo – Wikipedia, pubblico dominio

Le sue parole sconvolgono i giudici:

“Quando mi rifiutavo, lui mi colpiva.
Diceva che i santi più grandi sono nati così,
che quando un padre conosce carnalmente la figlia,
i figli sono santi…”

“A volte mi costringeva
nel letto di mia madre,
perché lei vedesse cosa mi faceva.”

Racconti orribili, inimmaginabili. Ma non bastano a salvarla. Nessuna prova scritta, se non una lettera inviata al Papa e misteriosamente scomparsa. Nessun testimone disposto a confermare. L’accusa di parricidio diventa inconfutabile. E con essa, la condanna.

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‘Esecuzione di Beatrice Cenci’: carnefice mascherato che alza la testa di fronte alla folla. – Wikipedia, pubblico dominio

L’11 settembre 1599, Giacomo, Lucrezia e Beatrice vengono condotti al patibolo. Bernardo, il più giovane, viene risparmiato. La folla si accalca. Roma trattiene il fiato.

Beatrice, appena sedicenne, si presenta in una veste semplice, turchina. Si sistema con pudore le vesti, inginocchiandosi con grazia e dignità. Il suo sguardo, sereno e rassegnato, conquista per sempre il cuore del popolo romano.
Giacomo viene torturato e squartato come un comune criminale. Lucrezia muore in silenzio. Beatrice affronta il boia con il volto rivolto al cielo, senza pianto.

Il sangue dei Cenci scorre sulla piazza, ma la loro storia non viene dimenticata. L’atrocità della giustizia papale, la violenza domestica, la forza di una ragazza diventata simbolo di ribellione, trasformano Beatrice in una figura leggendaria.

Col tempo, il popolo romano inizia a considerarla non una parricida, ma una vittima. Una martire. Il volto sereno nel momento della morte, la sua giovinezza spezzata, le sue ultime parole, restano impresse nella memoria collettiva.

Per molti, il suo vero crimine fu solo quello di aver desiderato libertà e giustizia. In un mondo che le negava entrambe.

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