Semplice mappa della civiltà dell’Indo (o civiltà Harappa) con alcuni dei più importanti siti archeologici. Wikipedia lic. CC BY-SA 3.0

Cinquemila anni fa una civiltà evoluta occupava la grande Valle dell’Indo, ai piedi della catena dell’Himalaya, e le zone circostanti. Gli archeologi la chiamano cultura di Harappa, dal nome della prima città della regione a essere stata scoperta. La città di Harappa, nella valle dell’Indo, risale all’età del Bronzo ed è edificata su una serie di tumuli artificiali lungo la riva del fiume Ravi, nell’attuale Pakistan.
I resti archeologici attestano che quella cultura era assai avanzata, confrontabile per molti aspetti con le massime civiltà della stessa epoca: l’Antico Regno egizio e i regni mesopotamici.
Gli archeologi ignorano quasi tutto sull’organizzazione sociale, le pratiche religiose e la scrittura di questa civiltà. Sanno però che la pesca e il commercio del pesce avevano un ruolo importante nella vita e nella cultura di Harappa. Fonte di proteine, sovente rappresentato su oggetti comuni e sigilli, il pesce pare avesse un ruolo di rilievo nell’economia del bacino dell’Indo all’epoca di Harappa.
La pesca veniva praticata anche in mare, catturando anche molluschi, e le conchiglie servivano da materia prima per l’artigianato. Il pesce pescato in mare veniva conservato con tecniche semplici ed efficaci, in uso ancora oggi, e trasportato a grandi distanze.

Il popolo di Harappa doveva essere pacifico, dato che gli scavi evidenziano poche tracce di conflitti. Le testimonianze della vita quotidiana – ceramiche, utensili, gioielli, oggetti di uso comune, rilievi con banchetti – attestano una vita domestica e un’attività artigianale di grande raffinatezza. Le strutture dello Stato sono viceversa poco conosciute.
Mentre gli Egizi e i Mesopotamici ci hanno lasciato sculture, bassorilievi e pitture murali, degli Harappani non rimangono che siti urbani relativamente modesti: resti di case in mattoni d’argilla che compongono ordinati impianti a scacchiera. Oltre ad Harappa, importanti città erano Mohenjo-Daro, in Pakistan, e Dholavira, nello Stato indiano del Gujarat. In tutti questi centri si rinvengono testimonianze dell’esistenza di uno Stato, ma le domande sono molte.

Rovine di Harappa – Foto di Hassan Nasir, licenza CC BY-SA 3.0

Chi creò la perfezionata rete urbana di distribuzione dell’acqua? Chi organizzò l’approvvigionamento dei mercati? Si trattava dei membri di una casta superiore, nobiliare o religiosa? Lo ignoriamo, ma solo uno Stato autorevole poteva imporre un sistema di pesi e misure elaborato come quello harappano: in assenza di norme imposte dall’alto, perché gli artigiani avrebbero dovuto uniformare gli oggetti che producevano?

Il commercio fra i bacini dell’Indo e dell’Eufrate è ricordato in testi mesopotamici, nei quali la zona dell’Indo è chiamata «Meluhha».
Un testo cuneiforme su una tavoletta d’argilla indica in particolare che re Sargon I (2300 a.C. circa) aveva decretato che le navi di Meluhha avessero il diritto di trasportare il loro carico fino ad Akkad, la capitale.

Le relazioni commerciali fra la Valle dell’Indo e la Mesopotamia si interruppero alla caduta del regno di Akkad, verso il 2125 a.C.

In seguito, il commercio passò attraverso scali intermedi, come quelli di Dilmun sull’isola di Bahrein, e di Magan (Oman). È possibile che sia perdurato fin verso il 1700 a.C., allorché la cultura di Harappa scomparve, per ragioni ancora sconosciute.

Uno studio statistico sulle iscrizioni dell’antichissima civiltà di Harappa potrebbe rappresentare la prima tappa di una nuova “stele di Rosetta” per decifrarne il significato, finora rimasto inesorabilmente celato.
“Le iscrizioni dell’Indo sono note da almeno 130 anni, ma nonostante centinaia di tentativi non sono mai state decifrate. Nella presunzione che esse codifichino comunque un linguaggio”, ha osservato Rajesh Rao, dell’Università di Washington (UW), che ha coordinato lo studio, ora pubblicato su “Science”.
Una presunzione che era stata messa in dubbio nel 2004 da tre studiosi americani – Steve Farmer, Richard Sproat e Michael Witzel – secondo i quali si trattava solo di brevi pittogrammi privi di contenuto linguistico.
Ora il gruppo di matematici e informatici dell’UW è riuscito a dimostrare che quelle iscrizioni codificano effettivamente un linguaggio.
La civiltà di Harappa era formata da popoli della valle dell’Indo che fra il 2600 e il 1900 a.C. abitavano la regione corrispondente all’odierno Pakistan orientale e all’India nordoccidentale. Contemporanea a quelle egizie e mesopotamiche, anche la civiltà della Valle dell’Indo era altamente urbanizzata e ha lasciato numerose iscrizioni simboliche su amuleti, ceramiche e tavolette.
Lo studio attuale ha confrontato una nota compilazione di testi di Harappa con campioni linguistici e non linguistici. I ricercatori hanno in particolare eseguito calcoli per valutare la casualità condizionale nell’ordine dei simboli su testi in inglese contemporaneo, sulla lingua sumera parlata in Mesopotamia all’epoca della civiltà dell’Indo, testi in antico Tamil, una lingua dravidica che alcuni avevano ipotizzato essere correlata alle iscrizioni dell’Indo, e l’antico sanscrito.

Successivamente hanno ripetuto i calcoli per campioni di simboli che non appartengono a linguaggi parlati, in uno dei quali la disposizione dei simboli era del tutto casuale, mentre in altri seguivano ora una disposizione rigidamente gerarchica, ora mimavano la sequenza delle basi sul DNA, ora seguivano l’ordine di un linguaggio artificiale come il Fortran, e così via.
I risultati del confronto hanno mostrato che le iscrizioni dell’Indo ricadono nella media di quelle tipiche dei linguaggi parlati e differiscono sensibilmente dai sistemi non linguistici.
“Vogliamo proseguire su questa strada maestra e ci piacerebbe riuscire a crackare il codice. Ora intendiamo analizzare la struttura e la sintassi delle iscrizioni per inferirne delle regole grammaticali”, ha concluso Rao.

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Stralcio testo tratto dalla pagina: piramidiinitalia.myblog.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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