Dante – Ritratto di Gustave Doré – Wikipedia, pubblico dominio

I misteri legati alla figura del sommo poeta sono molteplici, tanto che la Divina Commedia può essere considerata un “condensato” di concetti sibillini e di saperi ancestrali ancora completamente ignorati nel medioevo. Dante dimostrava una conoscenza dettagliata di materie come astronomia, matematica e scienze in generale. Non solo, alcune sue descrizioni hanno portato alcuni studiosi a credere che egli sia stato uno dei pochi visitatori privilegiati del regno sotterraneo di Agharta (Agartha), la città di smeraldo, dimora del re del mondo e prova dell’esistenza della leggendaria terra cava.
Ma procediamo con ordine.

Dante Alighieri conosceva il moto precessionale degli equinozi, scoperto  da Ipparco di Nicea nel II secolo a.C., ma nella Divina Commedia la fonte di tale grande astronomo non è mai espressa direttamente. Un uomo di grande ingegno, quale fu l’Alighieri, non poteva non aver letto, o se non altro venire a conoscenza, dell’“Almagesto” di Tolomeo.

L’astronomo alessandrino non aveva fatto altro che raccogliere tutte le informazioni degli scienziati dell’antichità, per fonderle e creare la teoria geocentrica, sulla quale si basò tutto il mondo medievale, fino alle scoperte copernicane. Una teoria che poneva la Terra al centro dell’Universo era più che gradita da una cultura cristiana, che vedeva in Dio l’unica scienza e ordine del mondo, e l’uomo soggetto direttamente a Lui, al centro dell’assetto universale e cosmico con il nostro pianeta Terra.

Ipparco di Nicea con la teoria precessionale e la teoria eliocentrica  non venne preso in considerazione dagli amanuensi che lasciarono che andasse perduto l’intero patrimonio scientifico, matematico, trigonometrico e naturalmente astronomico, trascritto in 14 libri da Ipparco.

Quel poco che si conosce di questo grande studioso è direttamente fruibile dagli scritti di Tolomeo. A questo punto il mistero si infittisce perché, nella prima parte del primo canto del «Purgatorio», egli sembra descrivere la costellazione della Croce del Sud, nelle due famose terzine (versi 22-27):

«I’ mi volsi a man destra, e puosi mente
a l’altro polo, e vidi quattro stelle
non viste mai fuor ch’a la prima gente.

Goder pareva ‘l ciel di lor fiammelle:
oh settentrional vedovo sito,
poi che privato se’ di mirar quelle!
»

La costellazione della Croce del Sud – Wikipedia, pubblico dominio

Il problema è che le prime rappresentazioni cartografiche della costellazione chiamata Croce del Sud, alla quale Dante sembra qui riferirsi, sono quelle rispettivamente di Petrus Plancius del 1598 e di Jodocus Hondius del 1600: vale a dire, circa tre secoli dopo l’epoca nella quale venne composta la seconda cantica della «Divina Commedia»; e che quelle stelle sono interamente visibili, nel nostro emisfero, solamente a partire dal 27° parallelo di latitudine Nord, ossia dalle isole Canarie o, sul lato opposto dell’Africa, dall’estremità meridionale della Penisola del Sinai. E allora? Come faceva Dante ad essere a conoscenza di una costellazione invisibile dalle latitudini dell’Europa, Italia compresa?
La curiosità circa l’identificazione delle quattro stelle vedute da Dante sulla spiaggia del Purgatorio – dunque, in pieno emisfero antartico – non ha mai smosso eccessivamente i dantisti, paghi del significato simbolico di esse, ossia le quattro virtù cardinali: giustizia, fortezza, prudenza e temperanza. Alcuni addirittura negano l’identificazione delle quattro stelle con la Croce del Sud, tipico atteggiamento dello studioso che davanti all’inesplicabile preferisce negare l’evidenza.
Senza dubbio Dante usa queste stelle come immagini delle quattro virtù teologali (Prudenza, Giustizia, Fortezza, Temperanza), ma è molto probabile che l’idea gli sia venuta da una conoscenza, perlomeno approssimativa, delle principali stelle dell’emisfero sud. Questa idea – oggi, ma forse è inutile dirlo, ferocemente negata dai più – venne di fatto già ad Amerigo Vespucci che, dopo aver visto per la prima volta le stelle della Croce, in una lettera datata 18 luglio 1500 e diretta a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, scrisse:

“Mi pare che il Poeta in questi versi voglia descrivere per le quattro stelle” del polo dello altro firmamento, e non mi diffido fino a qui che quello che dice non salga verità: perché io notai quattro stelle figurate come una mandorla, che tenevano poco movimento.”

Non è facile stabilire da dove Dante abbia attinto queste informazioni, visto che le stelle della Croce non compaiono come costellazione a sé stante nell'”Almagesto”.

È interessante notare che Dante sembra sapere anche che queste stelle un tempo erano visibili nel Mediterraneo, quando dice “non viste mai fuor ch’a la prima gente”. Forse, gli antichi popoli stabiliti lungo le coste e nelle isole del Mediterraneo avevano elaborato una religione astrale, di cui parte fondamentale era la convinzione che, dalle stelle, venissero all’uomo dei poteri che facevano parte di un ampio collegamento tra sfera celeste, mondo terrestre e mondo sotterraneo (una parte dei misteriosi edifici sacri delle antiche civiltà megalitiche sono, infatti, ipogei) e che, per assicurare la fecondità della natura, fosse necessario che gli uomini riproducessero, nella loro architettura sacra, gli schemi dei gruppi stellari dotati di maggiori poteri (un’idea che si è conservata fino a tutto il Medioevo, ad esempio nell’orientamento delle cattedrali gotiche verso la direzione del sole che sorge).
Le stelle che formano l’attuale costellazione della Croce del Sud dovevano svolgere un ruolo particolarmente importante in questo tipo di religione astrale. Ciò spiegherebbe la sopravvivenza della loro memoria anche dopo che, per il fenomeno della precessione degli equinozi, esse erano divenute invisibili alla latitudine dell’Italia centrale e della Sardegna, il che divenne un fatto compiuto all’inizio dell’era volgare (mentre verso il V secolo dopo Cristo la Croce del Sud era diventata ormai completamente invisibile alla latitudine di Roma).
Può essere, pertanto, che quella memoria si sia conservata in maniera tale, che Dante ne venne a conoscenza, attraverso antichi testi di astronomia; così come può essere che egli abbia ricevuto informazioni più recenti in seguito a qualche viaggio di navigatori europei. Fatto è che nella vita di Dante resta un mistero rimasto ancora senza risposta: che cosa fece il sommo poeta dal 1300 al 1302 quando venne espulso da Firenze in quanto guelfo? Di sicuro viaggiò, ma dove? Nella sua grande opera, descrisse con accuratezza i tre mondi dell’Oltretomba: l’Inferno, il Purgatorio ed il Paradiso, situando l’ingresso dell’Inferno nei pressi di un monte a Gerusalemme. Da una cavità nella roccia, scese giù all’Inferno e lì, si trovò di fronte ad un mondo sconosciuto e misterioso. Più volte, all’interno della “Commedia”, Dante dichiara la veridicità del suo viaggio. Egli è convinto di averlo compiuto veramente. Se fosse vero, non avrebbe potuto compierlo proprio dal 1300 al 1302? Magari, Dante scese davvero attraverso una grotta nel sottosuolo e quello che vide era un altro mondo descritto poi nella Divina Commedia in modo del tutto simbolico.

Michael Dahl – Ritratto nel 1736 di Edmund Halley con in mano un diagramma dei gusci concentrici della sua teoria della Terra cava – Wikipedia, pubblico dominio

Probabilmente Dante scoprì, magari davvero nei pressi di Gerusalemme, uno degli ingressi alla mitica città sotterranea di Agharta, che secondo certi aspetti potrebbe essere considerata l’Inferno, in quanto lì dovrebbe risiedervi il re del mondo (secondo la tradizione induista), un essere associabile al più conosciuto Lucifero. Fu davvero così che Dante ebbe l’ispirazione per comporre la Divina Commedia? In effetti, certi punti dell’opera sono ancora un mistero, come quella parte in cui Dante sembra descrivere l’energia elettrica! Come fece a descriverla, se essa fu inventata solo cinquecento anni più tardi? La vide forse ad Agharta. Magari furono gli stessi abitanti della città sotterranea a costringerlo a non rivelare a nessuno quel che aveva visto esattamente, infatti è risaputo che nessuno torna vivo da Agharta, o chi vi torna (casi rari), torna senza lingua, perchè non è concesso rivelare i segreti della mitica città agli uomini di superficie. Questo spiegherebbe anche l’impronta fortemente simbolica data all’opera. Dunque, Dante potrebbe essere riuscito a fuggire da essa o scese a patti con quegli uomini… Sta di fatto che ritornò a Firenze per iniziare l’opera che l’avrebbe reso il più famoso dei poeti medievali. Ma dove fu Dante e cosa vide in quei due anni, forse non lo sapremo mai.

Tuttavia, a suffragare l’ipotesi che Dante abbia potuto avere il privilegio di visitare e poi descrivere simbolicamente mondi sotterranei e regni ipogei è Plinio, che nel descrivere le città e i popoli dell’Etruria al tempo di Augusto, parla di VESENTINI, antichi abitanti della città Etrusca di VESENTUM, situata sulla sponda meridionale del Lago di Bolsena, sul colle che da essa ha ereditato il nome MONTE BISENZIO. Il centro sacrale di questa terra si troverebbe sul Monte Labbro, non molto lontano da S.Fiora, sul versante sud-ovest del Monte Amiata. Santa Fiora è citata da Dante Alighieri nel VI canto del Purgatorio della Divina Commedia:

Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura
d’i tuoi gentili, e cura lor magagne;
e vedrai Santafior com’è oscura!

Le vie cave sarebbero, dunque, cammini sacri, passaggi rituali che conducevano dalle città dei vivi a quelle dei morti. La loro profondità sarebbe servita a renderli più vicini al sottosuolo, a contatto con quella che gli Etruschi consideravano la fonte diretta del potere sacro.

  • In che modo questa ipotesi sarebbe allora legata alla scomparsa degli Etruschi?
  • Lo studio delle vie cave solleva interrogativi inquietanti: a cosa potevano servire queste opere colossali?
  • Perché ogni via cava passa per una necropoli?
  • Perché dalle alte pareti si affacciano continuamente aperture di tombe antiche?
  • Perché chiese templari e romitori come questo sono sorti nelle loro vicinanze?
  • E come mai alcuni credono che, ancora oggi, questi luoghi abbiano un “potere” particolare, tanto da celebrare al loro interno riti di iniziazione spirituale?

La mappa delle vie sacre finora rinvenute mostra come la loro distribuzione sembri obbedire ad un grande disegno geometrico. E’ come se tutte le vie cave convergessero verso un preciso centro geografico: il lago di Bolsena. Velzna era l’antico nome dell’attuale Bolsena, il più grande lago vulcanico d’Europa.

Lago di Bolsena visto da Montefiascone – Wikipedia, foto: Geobia – Opera propria rilasciata con licenza CC BY-SA 3.0

Intorno al lago sorgeva il Fanum Voltumnae, il più importante bosco sacro dell’Etruria, dedicato alla dea dell’acqua. Il lago fu scelto dai sacerdoti come omphalos, cioè ombelico sacro di tutta la civiltà etrusca.

Qui, una volta l’anno, i dodici Lucumoni si riunivano per celebrare l’unità spirituale del popolo etrusco. Al centro del lago sorgono due isole: la Martana e la Bisentina. Quest’ultima era considerata dagli Etruschi un’isola sacra, il vero cuore geografico e spirituale di tutta la “nazione” etrusca. Il maggiore tempio sacro, però, non è mai stato ritrovato e testi antichi fanno pensare che fu probabilmente occultato dagli stessi sacerdoti, insieme alle sue torri d’oro e ai suoi tesori segreti.

Il lago di Bolsena ha però una somiglianza impressionante con l’andino Titikaka, lago sacro e centro spirituale della civiltà Inca. Anche sul Titikaka affiorano due isole, e anche lì, gli Inca ne scelsero una come loro ombelico sacro. Sembra che il lago Titikaka figurerebbe proprio come una delle uscite secondarie dal regno di Agharta, tra le più attive insieme al Triangolo delle Bermude. Mentre le principali uscite, le più comunemente utilizzate dai suoi abitanti per le loro missioni, sono i due Poli.

Sotto le acque del lago di Bolsena i sacerdoti ritenevano infatti che abitasse lo spirito di Washarinka. Per entrambe le civiltà Inca ed Etrusca dunque, l’isola sul lago rappresentava la porta di comunicazione con l’oscuro e sacro mondo dell’aldilà. Proprio come per gli Inca, alcuni pensano che una parte del popolo etrusco possa allora aver deciso di scomparire inabissandosi nel sottosuolo. In quest’ipotesi fantasiosa, l’Isola Sacra Bisentina rappresenterebbe uno degli accessi alla mitica e favolosa Agartha. Furono gli Etruschi e gli Inca la prima gente che Dante cita nel verso 24 della Divina Commedia a vedere per primi le quattro stelle della Croce del Sud?

Ma in quali luoghi del mondo sarebbero stati individuati i diversi ingressi al regno di Agharta? Eccone l’elenco:

  • Kentucky Mommoth Cave, USA.
  • Mount Shasta, California, USA. La città sotterranea di Telos si troverebbe sotto questa montagna.
  • Manaus, Brasile.
  • Mato Grosso, Brasile. La città sotterranea di Posid si troverebbe sotto questa pianura.
  • Cascate di Iguazù, sul confine tra Brasile e Argentina.
  • Montagne himalayane, Tibet. L’ingresso alla città sotterranea di Shonshe sarebbe custodito dai monaci indù.
  • Mongolia. La città sotterranea di Shingwa si troverebbe sotto il confine tra Mongolia e Cina.
  • Rama, India. Sotto questa città indiana vi sarebbe una città sotterranea chiamata anch’essa Rama.
  • Piramide di Giza, Egitto.
  • Miniere di Re Salomone.
  • Polo Nord e Polo Sud.
  • Monte Epomeo, (isola d’Ischia), monte Bisenzio in Italia. 

Per quanto riguarda l’ingresso per il regno di Agartha in territorio italiano, secondo quanto asserì il vescovo Corrado di Querfurt cancelliere di Arrigo VI nel 1196 in una serie di epistole, tra due monti riuscì a penetrare in una misteriosa città sotterranea e venne costretto alla fuga perchè essa era protetta da immagini fatte di aria armate di spada e frecce! Un ologramma?
Il Querfurt asserì che questa città era ubicata in Ischia anche se, sempre in Ischia, collocò le famose anime penitenti, leggenda questa per tradizione associata ai Campi Flegrei.
Possibile che ci fu uno sbaglio? Se così fosse allora il monte in questione sarebbe il già famoso Monte Barbaro (Mons Barbarus) in Pozzuoli dove già Virgilio Mago si recò in compagnia del suo discepolo Philomeno. All’interno di questa città, sotto la testa del centauro Chironte, Virgilio trovò un misterioso libro che lo rese sapiente in tutte le cose e grazie al quale operò i molteplici miracoli che le leggende napoletane ci hanno tramandato. Lo trovò veramente o questo libro era già in suo possesso? Possibile che Virgilio stesso già conoscesse l’esistenza di una città sotterranea in territorio napoletano? Lo stesso Eugenio Siragusa, il contattista siciliano ed esperto di fenomeni UFO, definiva Virgilio una sorta di “mutante” con compiti molto particolari uno dei quali fu proprio quello di accompagnare Dante nel suo viaggio il cui resoconto, in maniera allegorica, è la ben nota Divina Commedia.

E’ molto probabile dunque, che al di sotto dell’intera area napoletana, siano ubicati più centri sotterranei collegati a mezzo di gallerie che a loro volta collegherebbero il tutto alla rete sotterranea di Agartha.

Busto di Virgilio, parco Vergiliano (Napoli) – Wikipedia, pubblico dominio

Ma approfondiamo la conoscenza del poeta dell’Eneide. Publius Virgilius Maro nacque ad Andes, oggi Pietole, un paesino in provincia di Mantova. Il poeta visse a Cremona fino all’età di diciassette anni, dopodichè si trasferì a Milano e poi a Roma dove studiò nella scuola del maestro Epidio. Nel 30 a.C. Virgilio si trasferì a Napoli, e fu proprio in questa città, sulla tranquilla e verde collina di Posillipo, che decise di stabilirsi per il resto della sua vita, preferendola alla sfarzosa Roma. Virgilio era un essere gracile e per le sue peculiari caratteristiche fisiche, forse ermafrodita, data la sua malcelata inclinazione naturale verso il sesso maschile.

Il culto di Virgilio, poeta, oratore, mago e taumaturgo eroe e protettore della città partenopea è arrivato fino ai tempi recenti fortemente radicato nella tradizione napoletana anche attraverso una delle feste più conosciute della città: la Festa di Piedigrotta. Solo da pochi anni non è più in voga, folle di pellegrini si recavano al luogo sacro dove oggi si trova santuario della Madonna di Piedigrotta e la Madonna di Montevergine.
Con l’avvento del Cristianesimo non riuscendo a sradicare il culto pagano che resisteva negli anni si decise di inglobarlo nei riti cattolici, come anche la figura di Virgilio e dei suoi prodigi. Virgilio così divenne un profeta cristiano che anticipò nell’Eneide la nascita di Gesù, travisando le parole e i versi scritti in onore dell’imperatore Ottaviano Augusto. La sua fama, mista a quella di mago, lo fece diventare una figura di riferimento in tutto il Medioevo, fino all’apoteosi della Divina Commedia, quando fu scelto da Dante Alighieri come accompagnatore e mentore del poeta fiorentino nel suo viaggio negli inferi. E il mistero sta proprio in questo viaggio. Virgilio e Dante sono entrambi grandi poeti vissuti però in periodi storici molto lontani tra loro, ma dalle conoscenze approfondite che Dante nella Divina Commedia dimostra di possedere a proposito di materie quali astronomia, matematica, e scienze in generale, è possibile che Dante abbia scoperto che Virgilio dopo tanti secoli era sopravvissuto all’interno della mitica Agharta? Virgilio fece da mentore a Dante “personalmente” nel “mitico” viaggio ipogeo. Del resto sappiamo quanto Virgilio fosse un personaggio assai singolare, dunque un ancestrale abitante di Agartha “salito in superficie” per indottrinare gli uomini?

Ma il mistero di Agharta è troppo affascinante per non meritare un approfondimento. Agharta, descritta nelle opere dello scrittore Willis George Emerson, sarebbe stata popolata molte migliaia di anni fa, quando il male invase la Terra, costringendo la parte più illuminata dell’umanità a scegliere di abbandonare la superficie terrestre per nascondersi nel sottosuolo. Da lì, ancora oggi, i grandi saggi osserverebbero le vicende del genere umano e in qualche modo ne ridurrebbero e conterrebbero i danni.

Stando alla leggenda, anche i grandi sacerdoti etruschi (i lucumoni), per sfuggire alla conquista dei romani, scelsero di andare a vivere nel regno di Agharta. La dea creatrice per gli Etruschi è Uni, la Madre Terra. Il suo potere sacrale ispira tutta l’arte etrusca, terrena e ultraterrena. Secondo la leggenda è il primo re-sacerdote Tarkun a ricevere gli insegnamenti sacri direttamente da un essere soprannaturale: Tages, fanciullo con voce da anziano, che sorge dal solco di un aratro nella Terra. Tages, prima di inabissarsi nel sottosuolo, detta a Tarkun e ai dodici sacerdoti etruschi (i Lucumoni) i Libri Acherontici: testi sacri sul viaggio delle anime oltre il fiume dell’Aldilà, verso il regno sotterraneo di Ade e Persefone. E’ il libro dei morti etrusco, la via d’accesso agli inferi. Per gli Etruschi esisteva dunque nel sottosuolo una divinità dispensatrice di forza e conoscenza. Tutto il loro culto della Terra è la penetrazione fisica e rituale del mondo sotterraneo, alla ricerca di sapere e di potere sacro.

Mappa del “mondo interiore”, da “La dea di Atvatabar” di William Bradshaw – Wikipedia, pubblico dominio

Secondo alcuni, gli stessi UFO che vengono visti da sempre sfrecciare nei cieli non sarebbero altro che manifestazioni di una civiltà superiore che non viene dallo spazio, ma piuttosto dal sottosuolo terrestre. Accedere a questo regno sotterraneo si dice sia impossibile.

Il promontorio di Bisenzio – Wikipedia, pubblico dominio

D’altra parte, la parola Agharta in sanscrito significa proprio l’inaccessibile. Eppure, come abbiamo visto, esisterebbero diversi ingressi attraverso i quali si potrebbe entrare, tra i quali uno ad Ischia e l’altro nell’Isola Bisentina nel bel mezzo del Lago di Bolsena.

Lasciando da parte per un attimo suggestioni e leggende, quello che si può certamente dire è che l’Isola Bisentina è sempre stata tenuta in grande considerazione in ogni epoca. E per quel che concerne il Lago di Bolsena, è reale l’esistenza di una ricca casistica di fatti eccezionali che lo riguarda. Globi di luci sono stati visti volteggiare sulle acque del Lago o, in taluni casi, immergersi nelle sue profondità. Questi fenomeni vengono visti ancora oggi con una certa frequenza e il Gruppo Prisma ha raccolto, nel tempo, una discreta quantità di testimonianze.

Indagini e approfondimenti sono tuttora in corso. C’è poi il promontorio di Bisenzio, proprio di fronte all’isola Bisentina, che racchiude non pochi misteri di tipo non solo archeologico. Chi è dotato di maggiore sensibilità percepisce facilmente la forte energia che ancora pervade il monte. In cima, quello che viene chiamato il colombario, sembra essere il punto in cui si concentra maggiormente l’energia del luogo.

Stando a diversi così detti sensitivi, è proprio tra il colombario del Monte Bisenzio e l’Isola Bisentina che si aprirebbe il magico ingresso al mitico mondo di Agharta.

Stralcio testo tratto dalla pagina: ilfarodeisogni.forumfree sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

vedi anche: 

 

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