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traggo quanto postato Da: “Sy” 
Data: Lun 24 Lu 2006 9:35pm
Oggetto: Colapesce

 

La gente Cola pisci lu chiamava,
che comi un pisci sempri a mari stava,
d’unni vinia nuddu lu sapia
forsi era figghiu di Nettunnu diu.Un ghiornu a Cola “u rre” u fici chiamari
e Cola di lu mari dda vos’iri
– O Cola lu me regnu a scandagliari
supra cchi pidimenti si susteniCola pisci curri e va’
– vaiu e tornu maista’
“ccussi’ si ietta a mari Cola pisci
e sutta l’unni subutu spariscima dopu un pocu a sta’ nuvita’
a lu rignanti Cola pisci da’
– ….maista’ li terri vostri
stannu supra a tri pilastrie lu fattu assai trimennu
una gia’ si sta’ rumpennu
– … O distinu chi “nfilici
cchi svintura mi pridicichianci u re comu aia ffari
sulu tu mi poi salvari.
Cola pisci curri e va’
vaiu e tornu maista’.E passaru tanti iorna
cola pisci non ritorna
e l’aspettunu a marina
lu so’ rre ccu la rigina.Poi si senti la so vuci
di lu mari superfici….
– maista’… sugnu cca….
sugnu cca o maista’nta stu funnu di lu mari,
ma non pozzu cchiu’ turnari
vui prigati a la Madonna,
staiu riggennu la culonnaca s’idda si spezzera’
‘a Sicilia sparira’
maista’ o maista’,,,
maista’ iu restu cca.
La gente lo chiamava Colapesce,
perchè stava in mare come un pesce
da dove veniva non sapeva nessuno
forse era figlio del dio Nettuno.Un giorno il re Cola fece chiamare
e Cola da mare corre e viene
“O Cola il mio regno a fondo devi scandagliare
sopra quale fondamento si sostiene”Colapesce corre e và,
– “vado e torno maestà”
Così si getta a mare Colapesce
e sotto le onde subito sparisce
ma dopo un pò questa novità
al regnante Colapesce dà
– “maestà, le nostre terre
stanno sopra tre pilatri,ma il fatto assai tremendo,
uno già si sta rompendo”
– …”Oh destino mio infelice,
che sventura mi predici”piange il re “come devo fare,
solo tu mi puoi salvare”
Colapesce corre e và,
“vado e torno maestà”Son passati tanti giorni,
Colapesce non ritorna
e l’aspettano alla marina
il regnante e la regina.Poi si sente la sua voce,
dal mare, in superfice…
– “maestà… sono qui…
sono qui o maestà,in fondo al mare,
non posso più tornare.
Voi pregate la Madonna,
sto reggendo la colonnaaltrimenti si spezzerà,
e la Sicilia sparirà
maestà, maestà…
maestà io resto qua.”

Otello Profazio (Wikipedia – Pubblico dominio)

Così Otello Profazio canta di Colapesce, di questo uomo eroe di cui noi tutti conosciamo fin da bambini perché le favole che ci raccontavano i nonni parlavano anche di lui, di questo uomo non completamente essere umano, mezzo uomo e mezzo pesce, capace di vivere sul fondo del mare e in grado di conoscerne i pericoli, come le correnti, il forte vento di scirocco, i terremoti sempre in agguato nella zona dello Stretto.

Egli è, sicuramente, come vorremmo essere noi nei confronti della nostra città, cioè colui che pur essere umano e con tutti i difetti di tale condizione, riesce, nell’immaginario collettivo ad essere eroe così da arrivare al sacrificio della propria vita per proteggere la sua Terra.

La leggenda di Colapesce, o Nicola o Cola detto Pesce per la sua abilità nel nuotare in quel mare mitologico che è quello antistante la zona di Capo Peloro o Punta Faro.

La fiaba popolare messinese, è stata narrata anche dal Pitrè (il più importante studioso di tradizioni popolari siciliane), è stata ripresa fin da Benedetto Croce, è conosciuta anche in Francia.

Nel tempo, la semplice storia iniziale ha avuto diverse scritture, in vernacolo siciliano, in lingua, anche in latino, e con vari titoli (a Napoli, ad esempio, è nota come “Niccolò Pesce”), è una favola cantata per ricordare il pericolo sempre insito sotto le acque minacciose della zona e per suggerire il rispetto e la protezione, e non la stupida sfida della natura.

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Ed ecco la storia:

Frederico II di Svevia (Wikipedia – Pubblico dominio)

Si era dunque verso l’anno 1230, nel giorno di San Nicola, e Federico II, re poeta era l’illuminato Re della Sicilia , poiché alcuni cortigiani gli avevano parlato di Cola e delle sue straordinarie capacità di  nuotatore aggiunte ad  immersioni senza tempo, volle vederlo all’opera e perciò lo convocò a bordo della sua nave, ancorata al porto.
Egli, a quel tempo, viaggiava per cercare uno sposo degno della propria figlia che, come da lei  richiesto, alla bellezza della persona unisse anche la gentilezza del costume e il coraggio dei prodi, ma, sino ad allora, nonostante avesse ricevuto principi e nobili da molte parti del regno, nessuno aveva soddisfatto e accontentato le esigenti pretese della principessina.

– Io mi darò – diceva  – solo a chi mai niente potrà negarmi, solo a chi per me oserà affrontare i pericoli più terribili e, se occorre, anche la morte, per farmi felice!…

Quando Cola fu davanti al Re e alla sua Corte, e s’inchinò devoto e timido, un mormorio di sorpresa si alzò dagli astanti che rimasero meravigliati della sua bellezza e della sua prestanza. Il viso di Cola, chiaro e ancora giovanile, non recava traccia alcuna della salsedine e, anzi, pareva che l’acqua del mare, lungi dal solcargli la pelle, gliel’avesse levigata e resa ancora più liscia e morbida.
– Mi hanno detto – disse il re Federico – che nuoti come un pesce, che parli con le ninfe dell’Oceano e che nuoti con le sirene del mare; è vero? –
– O Re! – rispose Cola – Io sto in mare come tu stai nel tuo letto… Io passeggio sul fondo del mare, come tu e la tua Corte passeggiate nei giardini dei tuoi palazzi… Io parlo con le oceanine come fa la Principessa con le sue dame… Ti hanno detto il vero!

Un mormorio di lieta impressione si alzò dalla Corte, tutta schierata alle spalle del Re. Solo la Principessina se ne restava muta e pensierosa a contemplare quel volto dolce ed ispirato che le dava sensazioni nuove e misteriose.

– Orbene! – disse affine il Re – Voglio metterti alla prova… Ora io getterò in mare questa coppa d’oro massiccio tempestata di pietre preziose, in cui ho bevuto… Se tu la troverai e me la riconsegnerai… se farai questo,  allora io ti farò ricco!

E la Principessina, aggiunse:
– O Cola! Anch’io voglio metterti alla prova… Getterò in mare questa cintura e se me la riporterai… io ti darò la mia mano da baciare! E, detto ciò, il Re buttò in mare la coppa e la Principessina la cintura.

Cola non rispose. Con lo sguardo seguì il volo dei due oggetti, e com’essi scomparvero in mare, egli si tuffò. Sulla spiaggia non molto lontana si era intanto adunata una gran folla e tutti stavano in ansia e in silenzio, aspettando il suo riemergere. Poco dopo, nel punto in cui Cola era sparito, l’acqua tornò ad incresparsi e Cola riapparve con nella destra la coppa del Re e nella sinistra la cintura della Principessina.
Un urlo si levò allora dalla folla ed anche la Corte ne fu contagiata ed applaudì.  La Principessina, pallida e scossa, raccolse la coppa dalle mani di Cola e la porse al Re, suo padre, poi dalle mani di Cola prese la cintura e la rimise attorno al suo corpo. Per un attimo i due giovani rimasero a fissarsi negli occhi, in silenzio, e la folla tornò ad applaudire di gioia. Ma Federico non si appagò. Egli voleva vedere fino a che punto il prodigioso nuotatore potesse immergersi, perciò  ordinò al nocchiero di condurre la nave più a largo, dove le acque erano più profonde. Giunti in quel punto,  il Re tornò a dire:
– O Cola! Mi hanno detto che il giorno gareggi con i delfini e che quando giochi con i tritoni ti nascondi tra i coralli. Io ora getterò qui la mia coppa e, se tu me la riporterai,  ti farò cavaliere!… E il Re gettò in mare la sua coppa.

E la Principessina aggiunse:
– O Cola! Dal mio collo io sciolgo questa collana che è fatta d’oro e di diamanti, e la getterò in mare. Se tu me la riporterai, io mi farò da te abbracciare…

E la Principessina gettò in mare la sua collana. Cola ancora una volta non rispose. Salì sul bordo della murata e spiccò un gran salto, entrando a capofitto nel mare. La folla, dopo un urlo d’incoraggiamento, ristette in silenzio, in attesa e in ansia, pregando per la riuscita di quella prova quasi impossibile. 

I secondi trascorrevano lunghi, interminabili… finalmente, in quel punto, le acque tornarono ad agitarsi e Cola riapparve tra il bianco spumeggiare delle onde increspate, tenendo in una mano la coppa del Re e nell’altra la collana della Principessina.

La folla, a quella vista, esplose in un hurrà di gioia, e tutti gli occhi si volsero al Re e alla smarrita Principessina che, secondo loro, si divertivano a far rischiare la vita al giovane Cola. Ma il re Federico non si appagò e ordinò che la nave si spostasse ancora verso il centro dello Stretto, dove c’è una fossa profonda, quasi una valle, che giunge fino a Capo Peloro.

– O Cola! – tornò a dire solenne e imperioso per la terza volta – Va’!… Corri nell’abisso che ti è più familiare d’ogni cosa… Ora io getterò qui la mia coppa, e se tu me la riporterai io ti farò barone e ti innalzerò al mio fianco!…

E la Principessina aggiunse:
– O Cola! Anch’io getterò qui il mio anello di zaffiri e brillanti, e se tu me lo riporterai – e la sua faccia arrossì di pudore – io sarò tua sposa!…

Un urlo di terrore si levò dalla folla.

– O temerario! – si udì gridare ad una sola voce – Non cercare la morte!… Tu non puoi superare le forti correnti dello Stretto! Non puoi superare questa prova che è al di sopra di ogni possibilità umana… Rinuncia, rinuncia! La Principessina è perfida e il Re è crudele…

Ma la coppa e l’anello, intanto, erano già volati via, verso il profondo mare. Cola guardò intensamente il luogo in cui erano affondati e poi, con un gran salto, si tuffò risoluto e in meno che non si dica disparve tra le onde andando in fondo dritto come piombo. Il silenzio sulla nave e sulla vicina spiaggia si fece fitto. Anche il Re e la Principessina divennero muti ed ansiosi, scrutando la superficie del mare appena increspata dal tuffo di Cola. Tutta la Corte venne ad affacciarsi alla murata della nave.
L’acqua, nel punto in cui era sparito Cola, già da qualche tempo era tornata liscia come prima e trasparente come vetro azzurrino.

L’ansia e il timore, allora, cominciarono a dipingersi sul volto di tutti gli astanti. Il tempo passò in fretta e subito si fece sera. Cola, detto Colapesce, non tornò più a galla: questa volta il mare volle tenerlo per sé, per non dividerlo mai più.

La leggenda ci ha tramandato che Colapesce, giunto in fondo al mare, vide la colonna Peloro, quella sulla quale poggia la cuspide settentrionale della Sicilia, quasi sul punto di crollare. Allora, temendo che la sua Messina potesse sprofondare da un momento all’altro, volle sostituirsi ad essa e corse a sorreggerla, per non farla spezzare del tutto.

Ed ancora è lì che sorregge quella colonna e protegge Messina dai terremoti. Quando Cola è un po’ stanco Messina ondeggia e vacilla, ma mai potrà succedere nulla di grave perché Cola ama la sua città più di se stesso e la sorreggerà in eterno.

 

Italo Calvino (Wikipedia – Pubblico dominio)

Anche Italo Calvino raccolse nelle sue Fiabe Italiane la leggenda di Cola Pesce e così scrisse:

Una volta a Messina c’era una madre che aveva un figlio a nome Cola, che se ne stava a bagno nel mare mattina e sera. La madre a chiamarlo dalla riva:
– Cola! Cola! Vieni a terra, che fai? Non sei mica un pesce?

E lui, a nuotare sempre più lontano. Alla povera madre veniva il torcibudella, a furia di gridare. Un giorno, la fece gridare tanto che la poveretta, quando non ne poté più di gridare, gli mandò una maledizione:
– Cola! Che tu possa diventare un pesce!

Si vede che quel giorno le porte del Cielo erano aperte, e la maledizione della madre andò a segno: in un momento, Cola diventò mezzo uomo mezzo pesce, con le dita palmate come un’anatra e la gola da rana. In terra Cola non ci tornò più e la madre se ne disperò tanto che dopo poco tempo morì.
La voce che nel mare di Messina c’era uno mezzo uomo e mezzo pesce arrivò fino al Re (Federico II); e il Re ordinò a tutti i marinai che chi vedeva Cola Pesce gli dicesse che il Re gli voleva parlare.
Un giorno, un marinaio, andando in barca al largo, se lo vide passare vicino nuotando
– Cola! – gli disse. – C’è il Re di Messina che ti vuole parlare!
E Cola Pesce subito nuotò verso il palazzo del Re. Il Re,al vederlo, gli fece buon viso.
– Cola Pesce, – gli disse, – tu che sei così bravo nuotatore, dovresti fare un giro tutt’intorno alla Sicilia, e sapermi dire dov’è il mare più fondo e cosa ci si vede!

Cola Pesce ubbidì e si mise a nuotare tutt’intorno alla Sicilia. Dopo un poco di tempo fu di ritorno. Raccontò che in fondo al mare aveva visto montagne, valli, caverne e pesci di tutte le specie, ma aveva avuto paura solo passando dal Faro, perché lì non era riuscito a trovare il fondo.

– E allora Messina su cos’è fabbricata? – chiese il Re. –Devi scendere giù a vedere dove poggia. 

Cola si tuffò e stette sott’acqua un giorno intero. Poi ritornò   a galla e disse al Re:
– Messina è fabbricata su uno scoglio,e questo scoglio poggia su tre colonne: una sana, una scheggiata e una rotta.
 

O Messina, Messina,
Un dì sarai meschina!

Il Re restò assai stupito, e volle portarsi Cola Pesce a Napoli per vedere il fondo dei vulcani. Cola scese giù e poi raccontò che aveva trovato prima l’acqua fredda, poi l’acqua calda e in certi punti c’erano anche sorgenti d’acqua dolce. Il Re non ci voleva credere e allora Cola si fece dare due bottiglie e gliene andò a riempire una d’acqua calda e una d’acqua dolce.

Ma il Re aveva quel pensiero che non gli dava pace, che al Capo del Faro il mare era senza fondo. Riportò Cola Pesce a Messina e gli disse:
– Cola, devi dirmi quant’è profondo il mare qui al Faro, più o meno.

Cola calò giù e ci stette due giorni, e quando tornò sù disse che il fondo non l’aveva visto, perché c’era una colonna di fumo che usciva da sotto uno scoglio e intorbidava l’acqua.

Il Re, che non ne poteva più dalla curiosità, disse:
– Gettati dalla cima della Torre del Faro

La Torre era proprio sulla punta del capo e nei tempi andati ci stava uno di guardia, e quando c’era la corrente che tirava suonava una tromba e issava una bandiera per avvisare i bastimenti che passassero al largo. Cola Pesce si tuffò da lassù in cima.
Il Re ne aspettò due, ne aspettò tre,ma Cola non si rivedeva. Finalmente venne fuori, ma era pallido.

– Che c’è, Cola? – chiese il Re.-

C’è che sono morto di spavento, – disse Cola. – Ho visto un pesce, che solo nella bocca poteva entrarci intero un bastimento! Per non farmi inghiottire mi son dovuto nascondere dietro una delle tre colonne che reggono Messina!

Il Re stette a sentire a bocca aperta; ma quella maledetta curiosità di sapere quant’era profondo il Faro non gli era passata.

– Cola:
– No, Maestà, non mi tuffo più, ho paura.

Visto che non riusciva a convincerlo, il Re si levò la corona dal capo, tutta piena di pietre preziose, che abbagliavano lo sguardo,e la buttò in mare

– Va’ a prenderla, Cola!

– Cos’avete fatto, Maestà? La corona del Regno! – Una corona che non ce n’è altra al mondo, – disse il Re.– Cola, devi andarla a prendere! – Se voi così volete, Maestà, – disse Cola – scenderò. Ma il cuore mi dice che non tornerò più su. Datemi una manciata di lenticchie. Se scampo, tornerò su io; ma se vedete venire a galla le lenticchie, è segno che io non torno più.

Gli diedero le lenticchie, e Cola scese in mare. Aspetta, aspetta; dopo tanto aspettare, vennero a galla le lenticchie.

Cola Pesce s’aspetta che ancora torni.

Italo Calvino

 

stralcio testo presente sul web alla pagina: granmirci.it

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