Lucrezia è una leggendaria figura della storia della Repubblica Romana.

Jörg Breu il Vecchio – Il suicidio di Lucrezia – Wikipedia, pubblico dominio

Secondo la storia, raccontata in particolare dallo storico romano Tito Livio e dallo storico greco Dionigi di Alicarnasso (che visse a Roma al tempo dell’imperatore romano Cesare Augusto), lo stupro subito da Lucrezia per opera del figlio del re di Roma e il suicidio conseguente furono la causa immediata della rivoluzione che rovesciò la monarchia e stabilì la Repubblica Romana.
L’incidente diede corpo alle fiamme d’insoddisfazione che i romani avevano verso i metodi tirannici dell’ultimo re di Roma, Lucio Tarquinio il Superbo. Come risultato, le famiglie “importanti” diedero inizio ad una repubblica, guidata dalla grande famiglia di Tarquinio da Roma, e la difesero con successo dagli attacchi subiti dalla gente etrusca e latina. 
L’inizio della Repubblica fu segnato dalla prima apparizione di due consoli eletti su base annua; uno dei primi due consoli fu Lucio Tarquinio Collatino, marito di Lucrezia. La storia di Lucrezia e la caduta della monarchia non può quindi essere considerata un mito o un falso elaborato letterario per ingannare e intrattenere il popolo romano su una storia precoce che non può essere conosciuta. L’evidenza indica l’esistenza storica di una donna di nome Lucrezia e di un evento storico che ha giocato un ruolo fondamentale nella caduta reale di una vera e propria monarchia, anche se molti dei dettagli specifici poptrebbero essere discutibili. La data dell’incidente è probabilmente il 508/507 a.C. Lucrezia quindi morì nel 508 a.C. 
Altre fonti storiche tendono a sostenere questa data, anche se l’anno è discutibile e collocabile con uno scarto di circa cinque anni.


IL FATTO

Lucio Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, essendo impegnato nell’assedio di Ardea, mandò suo figlio, Sesto Tarquinio, in una commissione militare per Collazia. Sesto fu accolto con grande ospitalità presso la residenza del governatore Lucio Tarquinio Collatino, figlio del nipote del re, Egerius Tarquinio Collatino, ex governatore di Collazia e prima del Collatini Tarquinia. La moglie di Lucio, Lucrezia, figlia di Spurio Lucrezio, prefetto di Roma, fece in modo che il figlio del re fosse trattato come si addiceva al suo rango, anche se il marito era assente durante l’assedio.

Tiziano Vecellio – Tarquinio e Lucrezia – Fitzwilliam Museum, Cambridge – Wikipedia, pubblico dominio

Ma dopo cena, quando la casa era addormentata, Sesto Tarquinio s’introdusse nella stanza da letto di Lucrezia che, svegliatasi di soprassalto, si trovò aggredita dall’uomo, armato di spada. Provò a respingerlo ma Sesto la minacciò: se lei non avesse acconsentito a soddisfare le sue voglie, l’avrebbe uccisa e accanto le avrebbe messo il corpo mutilato di uno schiavo, e avrebbe poi sostenuto di averla colta in flagrante adulterio.
Sesto ritornò al campo. Il giorno dopo Lucrezia, vestita di nero, andò a casa del padre a Roma e si gettò ai suoi piedi, nella posizione del supplice, piangendo. Alla richiesta di lumi, spiegò l’accaduto e si trafisse il petto con un pugnale che nascondeva sotto la veste. Morì tra le braccia di suo padre, e tra le strida e lamenti delle donne presenti. 
“Questa scena terribile colpì i romani che erano presenti suscitando tanto orrore e compassione che tutti gridarono con una sola voce che avrebbero preferito morire mille volte in difesa della libertà che non subire insulti commessi da tiranni.” 
Collatino, vedendo sua moglie morta, la strinse, la baciò, chiamò il suo nome e le parlò. Vedendo la mano del Destino in questi eventi, il suo amico Bruto decise di vendicarla. Afferrando il pugnale insanguinato, giurò per Marte e tutti gli altri dèi che avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per rovesciare il dominio dei Tarquini. Passò il pugnale in giro e tutti i presenti giurarono.
Il marito Collatino, il padre e l’amico Lucio Giunio Bruto provocarono e guidarono una sommossa popolare che cacciò via i Tarquini da Roma costringendoli a rifugiarsi in Etruria.

fonte

Sandro Botticelli – The Story of Lucretia (Il suicidio di Lucrezia) – Isabella Stewart Gardner Museum, Boston – Wikipedia, pubblico dominio

 

Tito Livio, Ab Urbe condita I, 58  (originale)

 

traduzione

[58] Paucis interiectis diebus Sex. Tarquinius inscio Collatino cum comite uno Collatiam venit. Vbi exceptus benigne ab ignaris consilii cum post cenam in hospitale cubiculum deductus esset, amore ardens, postquam satis tuta circa sopitique omnes videbantur, stricto gladio ad dormientem Lucretiam venit sinistraque manu mulieris pectore oppresso “Tace, Lucretia” inquit; “Sex. Tarquinius sum; ferrum in manu est; moriere, si emiseris vocem.” Cum pavida ex somno mulier nullam opem, prope mortem imminentem videret, tum Tarquinius fateri amorem, orare, miscere precibus minas, versare in omnes partes muliebrem animum. Vbi obstinatam videbat et ne mortis quidem metu inclinari, addit ad metum dedecus: cum mortua iugulatum seruum nudum positurum ait, ut in sordido adulterio necata dicatur. Quo terrore cum vicisset obstinatam pudicitiam velut vi victrix libido, profectusque inde Tarquinius ferox expugnato decore muliebri esset, Lucretia maesta tanto malo nuntium Romam eundem ad patrem Ardeamque ad virum mittit, ut cum singulis fidelibus amicis veniant; ita facto maturatoque opus esse; rem atrocem incidisse. Sp. Lucretius cum P. Valerio Volesi filio, Collatinus cum L. Iunio Bruto venit, cum quo forte Romam rediens ab nuntio uxoris erat conuentus. Lucretiam sedentem maestam in cubiculo inveniunt. Aduentu suorum lacrimae obortae, quaerentique viro “Satin salue?” “Minime” inquit; “quid enim salui est mulieri amissa pudicitia? Vestigia viri alieni, Collatine, in lecto sunt tuo; ceterum corpus est tantum violatum, animus insons; mors testis erit. Sed date dexteras fidemque haud impune adultero fore. Sex. est Tarquinius qui hostis pro hospite priore nocte vi armatus mihi sibique, si vos viri estis, pestiferum hinc abstulit gaudium.” Dant ordine omnes fidem; consolantur aegram animi avertendo noxam ab coacta in auctorem delicti: mentem peccare, non corpus, et unde consilium afuerit culpam abesse. “Vos” inquit “uideritis quid illi debeatur: ego me etsi peccato absoluo, supplicio non libero; nec ulla deinde impudica Lucretiae exemplo uiuet.” Cultrum, quem sub ueste abditum habebat, eum in corde defigit, prolapsaque in volnus moribunda cecidit. Conclamat vir paterque.

 

[58] Qualche giorno dopo, Sesto Tarquinio, all’insaputa di Collatino, andò a Collazia con un solo compare. Lì fu accolto ospitalmente perché nessuno era al corrente dei suoi progetti. Finita la cena, si andò a coricare nella camera degli ospiti. Invasato dalla passione, quando capì che c’era via libera e tutti erano nel primo sonno, sguainata la spada andò nella stanza di Lucrezia che stava dormendo: la immobilizzò con la mano puntata sul petto e disse: «Lucrezia, chiudi la bocca! Sono Sesto Tarquinio e sono armato. Una sola parola e sei morta!» La povera donna, svegliata dallo spavento, capì di essere a un passo dalla morte. Tarquinio cominciò allora a dichiarare il suo amore, ad alternare suppliche a minacce e a tentarle tutte per far cedere il suo animo di donna. Ma vedendo che Lucrezia era irremovibile e non cedeva nemmeno di fronte all’ipotesi della morte, allora aggiunse il disonore all’intimidazione e le disse che, una volta morta, avrebbe sgozzato un servo e glielo avrebbe messo nudo accanto, in modo che si dicesse che era stata uccisa nel degrado più basso dell’adulterio. Con questa spaventosa minaccia, la libidine di Tarquinio ebbe, per così dire, la meglio sull’ostinata castità di Lucrezia. Quindi, fiero di aver violato l’onore di una donna, ripartì. Lucrezia, affranta dalla grossa disavventura capitatale, manda un messaggero al padre a Roma e uno al marito ad Ardea pregandoli di venire da lei, ciascuno con un amico fidato, e di non perdere tempo perché era successa una cosa spaventosa. Arrivarono così Spurio Lucrezio con Publio Valerio, figlio di Voleso, e Collatino con Lucio Giunio Bruto (questi ultimi stavano per caso rientrando a Roma quando si erano imbattuti nel messaggero inviato da Lucrezia). La trovano seduta nella sua stanza e immersa in una profonda tristezza. Alla vista dei congiunti, scoppia a piangere. Il marito allora le chiede: «Tutto bene?» Lei gli risponde: «Come fa ad andare tutto bene a una donna che ha perduto l’onore? Nel tuo letto, Collatino, ci son le tracce di un altro uomo: solo il mio corpo è stato violato, il mio cuore è puro e te lo proverò con la mia morte. Ma giuratemi che l’adutero non rimarrà impunito. Si tratta di Sesto Tarquinio: è lui che ieri notte è venuto qui e, restituendo ostilità in cambio di ospitalità, armato e con la forza ha abusato di me. Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me ma anche a lui.» Uno dopo l’altro giurano tutti. Cercano quindi di consolarla con questi argomenti: in primo luogo la colpa ricadeva solo sull’autore di quell’azione abominevole e non su di lei che ne era stata la vittima; poi non è il corpo che pecca ma la mente e quindi, se manca l’intenzione, non si può parlare di colpa. Ma lei replica: «Sta a voi stabilire quel che si merita. Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l’esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!» Afferrato il coltello che teneva nascosto sotto la veste, se lo piantò nel cuore e, piegandosi sulla ferita, cadde a terra esanime tra le urla del marito e del padre.

(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. I, capoverso 58- Tratto da Wikipedia)