La figura della donna sapiente capace di predire il futuro attraversa i miti di molti popoli, ma nessuna profetessa fu mai celebrata come la Sibilla Cumana, la più famosa tra le interpreti del volere divino nel mondo antico.
Già in tempi remoti, tra le popolazioni dell’Asia occidentale, circolavano versi profetici attribuiti a donne ispirate dagli dèi, chiamate Sibyllai.

Jacques Granthomme: Sibilla Cuma (da una serie di otto Sibyllae) – Wikipedia, pubblico dominio
L’origine del nome “sibilla” rimane incerta. Una leggenda vuole che esso derivi da un’antica indovina di Marpesso, presso Troia, che tracciava i propri oracoli su foglie di piante, lasciandole poi disperdere dal vento. Col tempo, però, il termine divenne un titolo universale, applicato a molte profetesse sparse nel mondo greco e romano.
Lo storico Varrone ne contò dieci, ma la più celebre restò quella di Cuma, città della Campania, dove si credeva che la sua voce risuonasse ancora nelle viscere della terra.
Le Sibille erano consacrate al dio Apollo, signore della luce e della profezia.
In Grecia, la più nota era la Pizia di Delfi, che, prima di pronunciare i suoi oracoli, masticava foglie di alloro, l’albero sacro del dio, o respirava i vapori che sgorgavano dalle fenditure del suolo, entrando in uno stato di trance divina.
A Cuma, nei Campi Flegrei, terra di vulcani e acque sulfuree, la Sibilla era legata allo stesso culto. La leggenda racconta che Apollo, innamorato di lei, le offrì di esaudire qualsiasi desiderio pur di ottenerne l’amore.
La profetessa chiese di vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva contenere una manciata di polvere. Ma dimenticò di chiedere la giovinezza eterna.
Così, mentre gli anni passavano, divenne sempre più fragile e raggrinzita, finché, secondo il mito, il suo corpo minuscolo fu rinchiuso in un’ampolla appesa nel tempio di Cuma. Ai bambini che le domandavano cosa desiderasse ancora, rispondeva con voce flebile: “Voglio morire.”

William Turner – Il lago Averno: Enea e la Sibilla Cumana – Wikipedia, pubblico dominio
Nel sesto libro dell’Eneide, Virgilio la presenta come la guida dell’eroe troiano Enea nel regno dei morti.
Dal suo oscuro antro sotto il tempio di Apollo, la Sibilla indica all’eroe la via dell’Averno, lo specchio d’acqua sulfurea che nascondeva l’ingresso degli Inferi.
Prima del viaggio, tuttavia, gli impone una prova: trovare il Ramo d’Oro, dono divino che gli avrebbe consentito di entrare e, soprattutto, di tornare.
Il Lago d’Averno, circondato un tempo da fitte selve e vapori tossici, prende il nome dal greco a-ornos, “senza uccelli”, perché le sue esalazioni, si diceva, erano tanto mortali da impedirne il volo. Ancora oggi, nonostante i mutamenti del paesaggio, quel luogo conserva un fascino misterioso che sembra trattenere l’eco della voce della Sibilla.
Sull’acropoli di Cuma, un’antica galleria scavata nella roccia è nota da secoli come antro della Sibilla.
Gli scavi del Novecento ne hanno rivelato le dimensioni imponenti: un corridoio lungo più di cento metri, illuminato da aperture laterali e terminante in una camera a volta, forse il santuario in cui la profetessa pronunciava i suoi oracoli, invisibile dietro una porta di pietra.
Le luci filtrate dai pozzi creavano un gioco di ombre e bagliori che doveva suggestionare i visitatori, mentre voci e suoni provenienti dall’interno risuonavano come messaggi del dio Apollo.
Virgilio stesso descrive l’effetto di quel luogo in versi indimenticabili:
“L’immenso fianco della rupe euboica s’apre in un antro:
vi conducono cento ampi passaggi, cento porte;
di lì erompono altrettante voci, i responsi della Sibilla.”

Antro della Sibilla – Wikipedia – Foto di Bobbylamouche rilasciata con licenza FAL
Molti credettero che la caverna riscoperta nel 1932 fosse proprio quella descritta dal poeta, ma il mistero resta. Nessun reperto ha confermato in modo definitivo l’identificazione del sito, e forse è giusto così: le dimore della profezia amano restare nascoste.
Concludendo possiamo dire che la Sibilla Cumana incarna il confine tra umano e divino, tra la parola e il silenzio del destino. È simbolo della conoscenza che consuma, del dono profetico che illumina ma toglie pace.
Nella sua lunga vita senza giovinezza, nella voce che guida Enea agli Inferi, vive il paradosso eterno della sapienza: conoscere tutto, ma non poter sfuggire alla propria sorte.
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