Statua con allegoria della città di Messina (Wikipedia – Pubblico dominio)

Cola o Nicola è di Messina ed è figlio di un pescatore di Punta Faro. Cola ha la grande passione per il mare. Amante anche dei pesci, ributta in mare tutti quelli che il padre pesca in modo da permettere loro di vivere.
Maledetto dalla madre esasperata dal suo comportamento, Cola si trasforma in pesce. Il ragazzo, che cambia il suo nome in Colapesce, vive sempre di più in mare e le rare volte che ritorna in terra racconta le meraviglie che vede. Diventa un bravo informatore per i marinai che gli chiedono notizie per evitare le burrasche ed anche un buon corriere visto che riesce a nuotare molto bene. Fu nominato palombaro dal capitano di Messina. 

La sua fama aumenta di giorno in giorno ed anche il Re di Sicilia Federico II lo vuole conoscere e sperimentarne le capacità. Al loro incontro, il Re getta una coppa d’oro in mare e chiede al ragazzo di riportargliela. Al ritorno Colapesce gli racconta il paesaggio marino che ha visto ed il Re gli regala la coppa. 
Il Re decide di buttare in mare la sua corona ed il ragazzo impiega due giorni e due notti per trovarla. Al suo ritorno egli racconta al Re d’aver visto che la Sicilia poggia su tre colonne, una solidissima, la seconda danneggiata e la terza scricchiolante a causa di un fuoco magico che non si spegneva. 
La curiosità del Re aumenta ancora e decide di buttare in acqua un anello per poi chiedere al ragazzo di riportarglielo. Colapesce è titubante, ma decide ugualmente di buttarsi in acqua dicendo alle persone che avessero visto risalire a galla delle lenticchie e l’anello, lui non sarebbe più risalito. Dopo diversi giorni le lenticchie e l’anello che bruciava risalirono a galla ma non il ragazzo, ed il Re capì che il fuoco magico esisteva davvero e che Colapesce era rimasto in fondo al mare per sostenere la colonna corrosa.

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stralcio testo da: balbruno.altervista.org

 

 

Reggio Calabria e Messina in un’antica incisione (Wikipedia – Pubblico dominio)

Satiricamente parlando di Colapesce

Narra una famosa leggenda che l’isola di Sicilia, una volta detta Trinacria, sarebbe retta sui fondali marini da tre enormi colonne. Un brutto giorno una di queste colonne, quella posta sotto la punta di Messina, diede segni di cedimento per cui un certo re dell’epoca, non sapendo a che santo votarsi, invocò l’aiuto di un pescatore di nome Colapesce. Costui, dotato di forza possente e di polmoni capientissimi, con spirito di abnegazione e totale sacrificio si tuffò in mare sostituendosi alla colonna incrinata, cosicché da allora sorregge quel lato della Sicilia impedendo che sprofondi nelle acque.
Ebbene, la commissione scientifico-filologica dell’Isola dei Cani, studiando i vari testi di questa leggenda è oggi in grado di fornire una diversa interpretazione della storia di Colapesce. Intanto c’è da precisare che la colonna a rischio non è mai stata quella peloritana bensì quella collocata nella zona sud orientale della Sicilia, nel mare che bagna la città di Siracusa, esattamente nel tratto che collega l’isolotto di Ortigia alla terraferma. Per essere ancor più precisi, ai giorni nostri la colonna sta al di sotto di quell’indegno manufatto umano chiamato Ponte Umbertino.
Riepilogando, la colonna preesisteva dalla notte dei tempi e il successivo intervento di Colapesce ha finora impedito l’inabissamento della Sicilia, nessuno però aveva previsto che nella medesima zona, circa un secolo addietro, venisse costruito inopportunamente un ponte di pietra gravando così ulteriormente sui poderosi muscoli dell’eroico pescatore in perenne apnea. Colapesce ha comunque continuato nella sua eterna opera di sostegno aiutandosi con le dita delle mani e dei piedi. Chiaramente, nel tempo lo sforzo è aumentato con l’incremento della circolazione automobilistica, col transito quotidiano di migliaia di macchine, camion, autobus, cui si è aggiunto il non indifferente peso di centinaia di basole laviche poste nell’ultimo decennio. E lui, Colapesce, sempre la sotto, ha sopportato ogni sovraccarico. Ma evidentemente c’è un limite a tutto, come viene da pensare dinanzi a quello che, nella cronaca dei giorni nostri, è stato definito “rischio di cedimento strutturale” cui sarebbe soggetto il ponte. Tutte minchiati comu e trona! La nostra commissione scientifico-geologica di fama internazionale è infatti nelle condizioni di spiegare quello che effettivamente è successo sotto il vecchio ponte di accesso all’isola di Ortigia, avanzando due ipotesi, entrambe plausibili. La prima ipotesi è che anche un personaggio soprannaturale come il nostro Colapesce, ogni tanto può subire improvvisi attacchi ri manciaciume (per gli incolti “prurito”), per cui è ipotizzabile che egli abbia sentito il bisogno di grattarsi in qualche parte del corpo. Oppure, seconda ipotesi, stando da millenni a moddu a bagnomaria, Colapesce è stato colto da crampi alle dita a sostegno delle strutture del ponte. Nell’uno o nell’altro caso, egli ha dovuto abbandonare per qualche attimo la presa, provocando u scunsuntimentu del ponte. Va ovviamente spiegato che “qualche attimo” nella logica dei tempi di Colapesce può significare anni e persino decenni. Alla fine dei quali il prode riprenderà la sua abituale posizione, rimettendo in sicurezza la staticità del ponte Umbertino. Siamo pertanto nelle mani di Colapesce (della serie: “Gigante pensaci tu“). Il resto, sono soltanto e come sempre chiacchiere e tempo perso.
Blues Brothers

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stralcio parziale testo tratto da milazzooggi.blogspot.com sul quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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