Dionisiaco: il rifugio dalla follia dell’ordinario

Michelangelo – Bacco, Museo nazionale del Bargello – Wikipedia, pubblico dominio

Dioniso, dio greco del vino e dell’ebbrezza e di duplice natura, sessualmente maschile ma di indole femminile, artisticamente viene rappresentato con una corona di pampini ed edera al contrario della corona d’alloro posta sul capo del dio della poesia Apollo ed è conosciuto come colui che si insinua nel corpo degli uomini come sangue di vino e li pervade con il ritmo della musica.

Il poeta egizio Apollonio Rodio farebbe risalire etimologicamente il nome del dio al latino di-genes, ovvero il nato due volte perché, secondo la tradizione orfica, Dioniso sembrerebbe essere la resurrezione di Zagreo, figlio di Zeus.
Inoltre negli Inni Orfici il dio ebbro venne sbranato dai titani e successivamente ricomposto da Apollo: da questo evento si può constatare come le due divinità, così apparentemente distanti, in realtà siano connesse tra loro.

E’ possibile ricondurre il motivo della vita del febbrile e irrefrenabile Dioniso alla sua infanzia travagliata e perseguitata, esclusa dal resto del mondo e limitata a un bucolico isolamento. Il suo rapporto con la natura e con le figure mitologiche che ne fanno parte è stato tutto ciò di più vicino a un sentimento d’affetto che abbia mai potuto ricevere.

Questo stato allucinatorio e di presunta follia connessa alla contemplazione e al dialogo con la natura dovuto a un incolmabile dolore e ad un vuoto affettivo rispecchia a pieno l’infelice esistenza del poeta novecentesco Dino Campana, espressa soprattutto dall’atmosfera onirica e decadente dei Canti Orfici e riscattata dal dialogo con la natura e dalla rinnovata comprensione di sé in essa.
Così come Dioniso, che riuscì a colmare quello stato di vuoto a cui era stato confinato edificando intorno a sé una comunità universale ed egualitaria di uomini e donne liberi da convenzioni sociali, liberi di essere se stessi e di comprendersi come parte della stessa natura in cui risiedono.

Con l’intenzione di fuggire dall’oppressione della realtà, presero vita le Dionisie, feste in onore del dio dell’euforia, presidiate soprattutto da Menadi o Baccanti.

Dioniso infatti è anche il dio che riscatta la figura femminile liberata dalla spola e dal telaio e affidata alla guida del tiaso. Famoso è il corteo affrescato da Annibale Carracci Il trionfo di Bacco e Arianna in cui ricorrono tutti i simboli connessi alla divinità come i fauni, l’amico Sileno, i leopardi e gli amorini.

Annibale Carracci – Il trionfo di Bacco e Arianna, Palazzo Farnese, Roma – Wikipedia, pubblico dominio

Proprio a questi riti evocativi, di cui la danza e la musica erano parte integrante, si fa risalire la nascita della tragedia greca. Aristotele la ricollega al ditirambo, un canto corale intonato da un corteo di satiri danzanti che deriva etimologicamente da trágos, capro e ōdē, canto, ovvero il canto dei capri.

Il motivo della tragedia attica è stato poi ripreso da Friedrich Nietzsche ne La nascita della tragedia, in cui afferma che la grandiosità delle opere di Eschilo, Sofocle e Euripide era dovuta alla perfetta commistione tra l’arte scultorea, equilibrata e armonica dell’Apollineo con la musicalità dello squilibrato e folle Dionisiaco che mette in scena la complessità della realtà cedendo ad essa. Il filosofo tedesco vide in Dioniso la perfetta metafora dell’esistenza come riconciliatore dell’uomo con la natura. Oltre a lui anche Hegel nella Fenomenologia dello spirito, scelse di definire la conoscenza del vero come il vacillare della baccante, in cui non v’è membro che non sia ebbro.

Stralcio testo tratto da un articolo di Erica Bossari pubblicato nella pagina di cogitamusergosumus.wordpress.com sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…