Cappella Sansevero – Immagine d’insieme – Wikipedia – Foto di David Sivyer rilasciata con licenza CC BY-SA 2.0

Giovan Francesco di Sangro, ristabilitosi da una malattia quasi mortale, decide di erigere “una picciola cappella” dedicata alla Vergine come adempimento di un voto fatto durante la malattia

Disinganno, Cappella Sansevero – Wikipedia – Foto di David Sivyer rilasciata con licenza CC BY-SA 2.0

Più di centocinquanta anni dopo, Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, inizia grandi lavori di restauro e di ampliamento della Cappella. Raimondo era al tempo stesso Gentiluomo di Camera di Carlo di Borbone, Membro dell’Ordine dei Cavalieri di San Gennaro, Accademico della Crusca e Gran Maestro della Loggia Massonica. Inoltre giravano voci di sue propensioni per l’alchimia e l’esoterismo. Ed entra in scena Antonio Corradini, scultore veneto ultraottantenne, molto apprezzato in Italia e fuori, amico di Raimondo e massone pure lui. Attorno al 1750, nel poco tempo che gli resta, Corradini realizza i modelli in terracotta delle statue e degli apparati, tutto il progetto insomma, d’accordo con Raimondo. E qui c’è una cosa singolare: Raimondo vuole dedicare le prime sculture ai suoi genitori, che per ragioni diverse praticamente non aveva conosciuto. La madre, perchè morta giovanissima, ed il padre perché era partito per lunghi viaggi affidando il bambino ai familiari, ne aveva combinato tante, e si era poi ritirato in un monastero negli ultimi anni.

Così sono nate la Pudicizia, eseguita dal Corradini, ed il Disinganno, eseguito dal genovese Queirolo, su idea del Corradini. La Pudicizia ed il Disinganno sono opere straordinarie; l’una per come è reso nel marmo il velo che svela, l’altra per la rete degli inganni che avvolge il personaggio e da cui un genio alato lo sta liberando. Le due statue sono affiancate da lapidi: una, quella della madre, è volutamente spezzata. Ma la statua in assoluto più esaltata è quella del Cristo disteso e velato, eseguito da uno scultore napoletano: Giuseppe Sanmartino. Raimondo preferiva rivolgersi a scultori estranei a Napoli, e ciò dava fastidio all’ambiente artistico locale, sempre molto geloso: già nel ‘600 Guido Reni ed il Domenichino dovettero scappare da Napoli per le minacce ricevute per la commissione degli affreschi della cappella di San Gennaro. Ma in quegli anni, a Palazzo Sangro lavorava anche un medico palerminato: le due Macchine Anatomiche complete di vasi sanguigni e di dettagli di cui tacere è bello, sono conservate in una stanza non lontana: il popolo diceva che erano i corpi di due servitori trucidati da Raimondo. Viene in mente il delitto iniziale, quello del 1590. Dopo il 1766, in cui la Cappella fu aperta ai visitatori, qui capitò il Marchese de Sade, curioso di tutto ciò che avesse in sè qualcosa di diabolico.

Pudicizia, Cappella Sansevero – Wikipedia – Foto di David Sivyer rilasciata con licenza CC BY-SA 2.0

Torniamo alla Pudicizia ed al Disinganno
La statua di Cecilia, madre di Raimondo, rappresenta la Pudicizia ma proprio grazie al marmoreo velo umido che la ricopre tutta e rende trasparente la florida nudità, è un trionfo di torbido e carnale erotismo.

Al di là del valore degli artisti, specie del Corradini, è Raimondo che fa un monumento a sè stesso, devoto di San Gennaro e massone, appassionato di scienza, ma anche di alchimia, illuminista ed oscurantista. Il contratto stipulato col Queirolo è una specie di plagio, in cui l’artista non ha nessun diritto: “a tutto piacimento, genio e gusto d’esso Signor Principe, di non poter lavorare per nessun’altra persona, e collo stretto ligame di non potersi licenziare…”. Una schiavitù, praticamente.

Va aggiunto, riguardo al Cristo velato, che fin da quando le opere furono esposte per la prima volta si diffuse la dicerìa che l’effetto velo che svela fosse stato ottenuto non con una finissima lavorazione del marmo, ma mediante procedimenti alchemici (in realtà chimici) che avevanomarmorizzato della stoffa precedentemente disposta in modo appropriato sulla statua sottostante. Ed in alcuni siti sono riportate le intese fra Raimondo e lo scultore Sanmartino, comprese precise disposizioni tecniche, ritrovate da Clara Miccinelli in un documento dell’Archivio Notarile di Napoli, rogato in data 25 novembre 1752 dal notaro Liborio Scala, e confermate in altri documenti di collezioni private.
Riporto qui la ricetta:
Calcina viva nuova 10 libbre, acqua barilli 4, carbone di frassino. Covri la grata della fornace co’ carboni accesi a fiamma di brace; con ausilio di mantici a basso vento. Cala il Modello da covrire in una vasca ammattonata; indi covrilo con velo sottilissimo di spezial tessuto bagnato con acqua e Calcina. Modella le forme e gitta lentamente l’acqua e la Calcina Misturate. Per l’esecuzione: soffia leve co’ mantici i vapori esalati dalla brace nella vasca sotto il liquido composito. Per quattro dì ripeti l’Opera rinnovando l’acqua e la Calcina. Con Macchina preparata alla bisogna Leva il Modello e deponilo sul piano di lavoro, acciocché il rifinitore Lavori d’acconcia Arte. Sarà il velo come di marmo divenuto al Naturale e il Sembiante del modello Trasparire“.
Il Sanmartino, inoltre, si impegnava a non rivelare il procedimento, e Raimondo, bontà sua, gli concedeva di attribuirsi l’esecuzione dell’intera opera. Se così fosse, presumibilmente il procedimento sarebbe stato usato anche per la Pudicizia ed il Disinganno.
Che dire? Sembra impossibile, ma da Raimondo di Sangro ci si poteva aspettare anche questo.
Forse una analisi chimica approfondita (ma non distruttiva…) dei materiali potrebbe dirci una parola quasi definitiva su ciò che è realmente accaduto. Ma anche senza appoggiarsi ad ipotesi e ad illazioni più o meno fondate, è certo che nella Napoli del ‘700 era possibile giungere ad una sintesi improbabile ma definitiva: quella della Pudicizia, del Disinganno e del Cristo velato.

Stralcio testo tratto da un articolo di Primo Casalini pubblicato nella pagina di habanera-nonblog.blogspot sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

Il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino – Wikipedia – Foto di David Sivyer rilasciata con licenza CC BY-SA 2.0

Il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino è veramente un’opera mirabile, poco conosciuta, ma che rientra a pieno titolo fra i più grandi capolavori della scultura mondiale.
Realizzata nel 1753 da Giuseppe Sanmartino (Napoli 1720-1793), sulla committenza di Raimondo di Sangro Principe di San Severo, nobile napoletano, ma anche alchimista, inventore e scienziato (ma anche massone!), ha dato adito nel corso dei secoli a molte discussioni in merito alla sua realizzazione. Infatti l’opera, si dice, fu realizzata dietro dettami ben precisi del Principe e sembra che non siano stati usati metodi tradizionali di scultura.

Cristo Velato Volto – Wikipedia – Foto di David Sivyer rilasciata con licenza CC BY-SA 2.0

Sorprende la sofisticatezza di esecuzione, che a dir la verità, non si rivede in altre opere del Sanmartino, ne’ precedenti ne’ seguenti al Cristo velato. Giuseppe Sanmartino fu sì scultore eccelso, ma non seppe più eguagliare l’eccellenza di quest’opera….
E a questo punto le ipotesi sul principe alchimista prendono piede e alcuni studiosi ipotizzano che siano stati adottati dei procedimenti chimico fisici stupefacenti per l’epoca. Effettivamente osservando la scultura da vicino,si ha proprio l’impressione che il velo circondi una statua già scolpita e non esserne parte integrante.
Ma come si è potuto realizzare un velo di marmo?

Gli estimatori del Principe sostengono, grazie ad alcuni documenti ritrovati nella dimora dei San Severo, che i veli sono stati ottenuti cristallizzando una soluzione basica di idrato di calcio o calce spenta.
Si sarebbe proceduto in questo modo: la statua veniva posta in una vasca e ricoperta da un velo bagnato; su questi veniva versato latte di calce diluito e sul liquido veniva versato ossido di carbonio proveniente da un forno a carbone. In questo modo si otterrebbe una precipitazione di carbonato di calcio e cioè marmo che andrebbe ad integrarsi alla statua.
Ma tutto questo non è mai stato dimostrato….

Di sicuro si sa che il Principe in data 16 dicembre 1752 firmò una ricevuta di pagamento per il Sanmartino, conservata presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli dove si legge: “..E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagherete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo..”.

Tutta l’impostazione scenica della cappella è un chiaro riferimento alla simbologia massonica , società a cui il principe apparteneva e di cui ne fu Gran Maestro. La statua del Cristo è situata al centro della Cavea sotterranea, una specie di cripta, illuminata da “lampade eterne” inventate proprio da Raimondo di Sangro e studiando questo tipo di illuminazione, lo scultore esaltò le pieghe del velo che ricopre la figura del Cristo morto per accentuarne la drammaticità

Stralcio testo tratto dalla pagina: isolafelice.forumcommunity sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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