Se esiste una leggenda che ancor oggi suscita incantevole fascino, senza dubbio, è quella del mitico Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. L’origine del racconto, come lo conosciamo oggi, si perde nei secoli. I bardi britannici, a partire dal VII secolo d.C., cantavano alla corte dei loro signori le gesta del grande re Artù.

Ma questo impavido e nobile condottiero è davvero esistito?

Da tempo noti studiosi si sono messi sulle tracce del mito e alcuni di essi sono certi di aver individuato la verità storica dietro re Artù. Andiamo con ordine.

Re Artù come uno dei Nove Degni, particolare del ‘Christian Heroes Tapestry’ in The Cloisters, New York – Wikipedia, pubblico dominio

Innanzitutto, il motivo che spinge a rifiutare la storicità di re Artù è il suo magico mondo; conosciamo bene la leggenda che difatti è intrisa di racconti e figure incredibili, ovvero non reali, (Mago Merlino, la spada magica, la Dea del Lago, per citarne qualcuno). Ma dove finisce la leggenda e, eventualmente, dove partirebbe la “storia” di re Artù? Le fonti consultate dagli studiosi iniziano proprio dai canti dei bardi britannici.

Questi racconti orali, a partire dal XII secolo hanno iniziato ad avere il loro supporto scritto; diversi autori ne hanno trattato l’argomento fino al XV secolo. Di volta in volta questi racconti acquisivano dettagli in più, diventando veri e propri romanzi. I romanzi arturiani (il cosiddetto ciclo bretone) dal XII secolo al XV secolo denotano però un sovrano medievale, non più il sovrano dell’età tardo romana.

Évrard d’Espinques – I cavalieri di Re Artù, riuniti alla Tavola Rotonda per celebrare la Pentecoste, vedono una visione del Santo Graal. – Wikipedia, pubblico dominio

Questo vale anche nelle raffigurazioni: Re Artù si veste e combatte in modo medievale, ma la leggenda parla chiaro: l’eroe unificò la Britannia nei suoi secoli bui. L’Artù della leggenda opera quindi negli anni della caduta dell’Impero romano e lotta contro le invasioni dei barbari angli, pitti e sassoni che, da ogni parte, minacciavano la delicata stabilità della Britannia. Il condottiero doveva aver quindi operato negli anni tra la fine del V e l’inizio del VI secolo.

È probabile che un uomo, magari di stirpe nobile, abbia sentito il dovere e l’esigenza di agire contro i barbari e le loro razzie? Cosa ci dicono le fonti?

Gli annali degli Anglosassoni (ormai riuniti in un solo popolo) parlano (ovviamente) delle loro vittorie e gli stessi tacciono in merito a una loro potente arretrata in seguito a una vittoria dei Britanni. Questo vuoto nella cronaca è però raccontato dal monaco Gildas il Saggio, del VI secolo: nel suo De Excidio et conquistu Britanniae racconta che da ogni parte la Britannia è sotto minaccia barbara a causa dei signori incapaci di agire contro gli invasori.

Gildas a un certo punto parla dell’importante e fondamentale vittoria dei britanni contro gli anglosassoni: la battaglia di Badon Hill. È questa la battaglia assente nella Cronaca Anglosassone

Da questa battaglia nascerebbe il mito di re Artù. Gildas scrive della battaglia di Badon Hill in un tempo in cui era viva la memoria dei fatti: furono tre giorni di combattimento in cui la cavalleria britannica, educata alla romana, ebbe la meglio. Questa frenata agli anglosassoni è documentata da ritrovi archeologici che attestano un lungo periodo di pace. Fu Artù il condottiero di Badon Hill? Ammesso che non esista la storicità di re Artù, senza dubbio è esistito un condottiero capace di unire la Britannia e dare una frenata agli invasori esteri.

Rhead, George Wooliscroft e Louis. ‘Artù guida la carica al Monte Badon’ – Wikipedia, pubblico dominio

Gildas e Beda il Venerabile, l’altra fonte in cui compare la battaglia di Badon Hill, non nominano il condottiero; a farlo è un’altra fonte di cui si dispone: lo storico Nennio nella sua Historia Brittonum parla della battaglia e del suo condottiero e lo nomina, senza indugio, come Artù. Nennio è ritenuto dagli storici una fonte poco credibile per l’inserimento nella sua opera di molti temi mitologici, ma è lo stesso Nennio ad avvertire il lettore: sente l’esigenza di mettere per iscritto fatti che potrebbero essere dimenticati ma lascia a noi il compito di scremare la verità dalla fantasia.

Beda il venerabile dalle cronache di Norimberga del 1493 – Wikipedia, pubblico dominio

Quando parla di re Artù lo fa con gli occhi di uno storico e il racconto non è mai stravolto dall’intrusione di elementi fantastici, anzi racconta semplicemente che il condottiero Artù guidò la battaglia e la vittoria dei Britanni contro gli anglosassoni. Niente altro. Oltre a Nennio, vi è un’altra fonte storica che cita il condottiero come Artù: gli Annali del Galles. Per molti la risposta alla storicità del condottiero Artù sta nel nome stesso del mitico re. In celtico la parola arth significa orso e la dea della caccia Artio, spesso veniva rappresentata nelle sembianze di un orso.

Forse il condottiero di Badon Hill aveva sul suo stendardo l’immagine di un orso?

Ammesso questo, non si andrebbe ad identificare un uomo ben preciso, sebbene alcuni lo individuerebbero nel condottiero Aureliano Ambrosio e altri nel comandante Lucio Artorio Casto. Ciò che allontanerebbe l’ipotetica storicità del re di Camelot dai due candidati è il periodo storico in cui essi vissero: Lucio Artorio Casto opera nel II secolo quindi lontano dai fatti che interesserebbero re Artù. Ambrosio Aureliano, visse intorno al 475 e, sebbene avesse riunito i popoli britanni contro i barbari invasori, ebbe una vittoria effimera perché già nel 477 (e nel 485 e ancora nel 495) la Cronaca anglosassone registra una nuova ondata di sassoni, quindi una sconfitta di Aureliano.

Grazie al condottiero di Badon Hill (516 d.C.) si ha invece un periodo di pace durato più o meno una generazione, non soltanto un paio di anni. Ritornando a Gildas, questi nel suo libro, a un tratto, si scaglia contro il sovrano Cuneglasus (suo contemporaneo) chiamandolo orso, e nella sua invettiva, sotto metafora, gli dice di non comportarsi come si addice a una persona del suo rango al comando com’è di un qualcosa di molto importante, quasi sacro, che un tempo era appartenuto all’orso.  È questa la chiave secondo lo storico Graham Philips per svelare il mistero: Cuneglasus era chiamato orso da Gildas perché aveva ereditato quell’appellativo dal suo predecessore nonché padre: Re Owain Ddantgwyn

Usanza celtica, infatti, era quella di dare alle personalità più importanti nomi di animali che ne denotassero tratti del carattere e della personalità. Questi nomi venivano poi tramandati nelle generazioni. È probabile che Gildas si fosse rivolto a Cuneglasus chiamandolo con l’appellativo che aveva ereditato dal padre: Artù quindi sarebbe stato l’appellativo di Owain Ddantgwyn, re del Powys.

Piastra della stufa con la figura di Re Artù – Germanisches Nationalmuseum – Norimberga, Germania – Wikipedia, pubblico dominio

Per alcuni studiosi non ci sarebbero più dubbi: re Artù è la figura storica realmente esistita del re Owain. Per molti altri accademici, invece, l’individuazione di un unico personaggio dietro re Artù resta confusa… .

Stralcio testo tratto da un articolo di Miriam De Vita pubblicato nella pagina di vanillamagazine.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

 

vedi anche:

 

Torna a: Storia – Medioevo