Pandòra fu una donna mortale creata da Efesto (Vulcano) per ordine di Zeus (Giove), che voleva punire l’umanità per il dono del fuoco fattole da Prometeo. A lei tutte le divinità dell’Olimpo donarono ogni sorta di pregi e virtù; da qui il nome: Pandora, tutta un dono. Dal maligno Mercurio, però, le fu donata anche la curiosità, quell’invincibile forza che la spinse ad aprire lo scrigno (il vaso di Pandòra) che le aveva donato Giove, e dal quale scaturirono poi sulla Terra tutti i mali da cui venne afflitto il genere umano.

John William Waterhouse, “Pandora”, 1896 – Wikipedia, pubblico dominio

Gente, se vi vengono a raccontare che tutti i mali esistenti a questo mondo ci sono capitati fra capo e collo per quel peccatuccio commesso dalla venerabile madre Eva in quel negozietto di frutta e verdura che era il Paradiso Terrestre, non dategli retta; le cose non sono andate così.
C’è sempre di mezzo una donna, ma in realtà si è venuto a scoprire che si chiamava Pandora, una bella mortale piena di tante buone qualità donatele dai Vip dell’Olimpo ma che, come Eva, si dimostrò altrettanto svampita da far cadere il mondo in quel po’ po’ di casino di cui tutti siamo beneficiari: il dolore, l’infelicità, la morte. Bel guaio, eh?.

Vi racconto com’è andata, cominciando dall’antefatto.

A uno stretto parente di Zeus, un certo Prometeo, imparentato un po’ con tutta la jet-society dell’Olimpo, un giorno venne un’idea rivoluzionaria, direi quasi “comunisteggiante”: far partecipare anche la derelitta umanità almeno a uno di quei benefici di cui sino allora avevano goduto in esclusiva solo gli dèi. E pensò, per esempio, di rubare agli Olimpici il fuoco, facendone un bene di tutti. “Perché  – deve essersi chiesto –  gli uomini devono mangiare carne cruda, non possono accendere il termosifone e devono fare la doccia con l’acqua fredda?”.
Gran benefattore, non c’è che dire. Grazie a lui e a quell’altro benemerito di Bacco che ci ha fatto il regalo del vino, oggi l’uomo mangia cibi cotti, si abbuffa, si sbronza… e digerisce meglio.
Ma  – chissà perché –  quei bricconcelli degli dèi (e tutti quelli che nella vita manovrano la stanza dei bottoni) sono sempre stati gelosi dei loro privilegi, contrariati dal fatto che il meschino subalterno uomo riuscisse a godere in qualche modo di quello che era “loro” in esclusiva.
E mal gliene incolse, quindi, al povero Prometeo (vai a fare del bene alla gente), reo di aver commesso in sostanza un reato di spionaggio industriale. Il burbero Giove, che, fra un amorazzo e l’altro, trovava anche il tempo di consultare i sondaggi demoscopici, si accorse con vivo disappunto che, col dono di Prometeo, l’umanità era diventata più felice e baldanzosa, perché aveva anch’essa un bene “in comune” con gli dèi.
E fulminea, è il caso di dirlo, è la reazione di Giove contro il nostro anti-G-8 dell’epoca: lo sbatte su un’alta rupe di un monte sperduto, ce lo incatena per bene e lo fa sollazzare ogni santo giorno dalla rapacità di un’aquila che gli divora il fegato; il fegato ricresce durante la notte, e l’indomani il rapace riprende il suo pasto. Niente male in quanto a inventiva, questi dèi.
E non è finita qui.
Il padre Giove si spinge anche oltre nel rimettere le cose a posto, come erano… ai bei tempi dell’Ancient Régime: l’uomo comincia a essere più felice e più sicuro di sé? Niente paura, ci penso io. E, pensa che ti ripensa, ne inventa un’altra; escogitare qualche altro malanno per la vita dell’uomo, per un dio è uno scherzetto da ridere. E decide di farcene dono.
Il fantasioso Padre degli dèi aveva alle sue dipendenze un certo Efesto, il Vulcano dei latini, il defraudato dio del fuoco che si occupava di acciaierie, altiforni, industria pesante. A lui, che sapeva far uscire dalle sue fabbriche anche mirabili oggetti d’arte (come fu poi lo scudo di Achille, di omerica memoria), Giove dà un incarico di alta creatività: “Creami una donna – gli dice – , falla con terra impastata con l’acqua, ma deve venir fuori un capolavoro, una donna bellissima. Voglio punire l’alterigia degli uomini, e lei sarà la mia vendetta”.

John Dickson Batten – Pandora – Wikipedia, pubblico dominio

Efesto, che aveva un atélier ben attrezzato dove pare avesse reclutato i migliori art-designers reperibili sulla piazza, non se lo fece dire due volte, e gli modellò con la creta un pezzo di ragazza che era di una bellezza da capogiro, alla quale Giove, a sua volta, infuse la vita col suo divino alito, forse un po’ appesantito da una cena troppo abbondante la sera prima.

Ma torniamo alla nostra donzella, ormai in carne e ossa, e con nel sangue la linfa vitale infùsale da un dio; e a questa donzella il padre Giove dà un nome: la chiama Pandòra, che in greco vuol dire “tutta un dono”.
Racchiudeva in sé, in effetti, ogni ben di dio, questa novella nata; tutti gli dèi le avevano fatto un regalo mentre si accingeva a lasciare l’Olimpo per scendere fra i mortali: da Venere aveva avuto il fascino, da Minerva la vivacità d’intelletto, da Giunone le doti di buona moglie, e da Giove tutte le caratteristiche di una gran…. buona donna.

Lawrence Alma-Tadema – Pandora – Wikipedia, pubblico dominio

Perché in effetti una gran buona donna si rivelò ben presto, combinando quel po’ po’ di guai in cui da allora noi tapini mortali ci dibattiamo: i mali della vita. Giove infatti, quel bricconcello, le aveva fatto dono anche di un vaso ben sigillato, con l’ordine perentorio di non aprirlo mai: un po’ come la proibizione di mangiare una certa mela, fatta ad un’altra svampitella, una certa Eva, in un’altra pagina delle umane credenze religiose… ( Curiosi, però, questi dèi: ci mettono davanti a un bel melo ma ci vietano di mangiare i suoi frutti; ci fanno un regalo ma ci dicono di non aprirlo…. Ma c’è un perché: dovevano insegnare all’uomo chi era il “capobranco”, imporgli dei paletti nel comportamento, e dettargli delle leggi morali: è lo scopo benefico di tutte le religioni; e di tutti i grandi uomini di cui è piena la storia delle religioni. Mosè disse che i dieci Comandamenti glieli aveva dettati Dio: in effetti fu lui un grande legislatore, che creò regole per rimettere in riga e sotto controllo quelle ingovernabili tribù che erano allora il popolo d’Israele ).

Ma concludiamo con la nostra Pandora. Sapete cosa diciamo noi uomini di fronte a un divieto? “Lo faccio perché è proibito”. E’ più forte di noi: se in un ufficio pubblico scrivessero che è permesso fumare, saremmo capaci di smettere; (poi, adesso che hanno messo quegli annunci mortuari sui pacchetti di sigarette, fumiamo ancora di più). E anche Pandòra si comportò nello stesso modo, nemmeno lei seppe resistere alla tentazione di trasgredire per sapere cosa ci fosse dentro quel vaso. E, per dirla con gli Americani, fu come mettere dello sterco nel ventilatore. In quel vaso c’erano tutti i mali del mondo, che come un turbine nero si sprigionarono in un baleno, e  – fu la punizione del domeneddìo dell’epoca –  invasero la terra e la vita degli uomini.
Non si salvò nemmeno un angolo sperduto nel deserto o su un picco di montagna; regge e stamberghe ne furono ammorbati in uguale misura. Nel mondo era arrivato il dolore.
Sul fondo del vaso ormai svuotato era rimasta, però, ancora qualcosa: forse un rimorso o un ripensamento di Giove che, nell’intimo, sapeva anche essere misericordioso. Un qualcosa che il dio lasciava agli uomini affinché, pur fra i travagli, riuscissero a sopportare la vita. Era la speranza.

 

Stralcio testo tratto dalla pagina: freeforumzone.com sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…