Pluto era figlio di Demetra e Iasione (o Giasone), nipote di Dardano fondatore di Troia.
La sua figura, dapprima legata alla prosperità dei campi, si estese ad ogni forma di benessere, accrescendo il suo valore augurale.
Quale Dio agrario, era legato alle ricchezze minerarie e al sottosuolo in generale, quindi spesso confuso e identificato con Plutone (divinità degli inferi corrispondente ad Ade), in particolar modo col diffondersi dei Misteri Eleusini.
Già presso i romani si trovano ben pochi riferimenti diretti a Pluto, perlopiù identificandolo con Dite, anch’esso poi confluito in Plutone.

Figura femminile [Sencathea?] che nutre Pluto dal corno dell’abbondanza – Bassorilievo, Roma. Brooklyn Museum. – Wikipedia, pubblico dominio

Pluto, quale Dio dell’abbondanza, appare nella teogonia di Esiodo come figlio di Demetra e Giasione:
«Dèmetra, generò, somma Dea, con l’eroe Gïasone, nel pingue suol di Creta, nel solco tre volte scassato, il buon Pluto, che sopra la Terra ed il Pelago immenso, va dappertutto; e chi trova, chi può su lui metter le mani, subito fa che ricco divenga, e gli accorda fortuna.»

All’inizio Pluto distribuiva la ricchezza solo ai meritevoli ma poi, reso cieco da Zeus divenne geloso delle persone oneste e cominciò a distribuirla senza nessun discernimento. Secondo Luciano era anche zoppo e quindi costretto a camminare lentamente e a portare troppo tardi la ricchezza a chi la desiderava.

Stralcio testo tratto dalla pagina: prof.accarino.altervista.org sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

(Traggo da Wikipedia)

Nella Divina Commedia, Dante lo pone come guardiano del IV cerchio dell’Inferno (Canto VII), in cui vengono puniti avari e prodighi.
La sua descrizione è molto vaga (non si sa nemmeno se il poeta si confondesse con Plutone), ma gli fa recitare uno dei versi più famosi dell’intero poema: “Pape Satàn, pape Satàn aleppe”

Pluto, illustrazione di Gustave Doré. – Wikipedia, pubblico dominio

«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!», 
cominciò Pluto con la voce chioccia;
e quel savio gentil, che tutto seppe, 
disse per confortarmi: «Non ti noccia 
la tua paura; ché, poder ch’elli abbia, 
non ci torrà lo scender questa roccia».  

(Inferno, inizio canto VII)

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