Tiziano Vecellio – Sisifo – Museo del Prado, Madrid – Wikipedia, pubblico dominio

Sisifo (in greco: Σίσυφος; in latino: Sisyphus) è un personaggio della mitologia greca, figlio di Eolo e di Enarete. È, almeno nella versione più comune, il fondatore e il primo re di Corinto, che al tempo della sua nascita aveva assunto il nome di Efira.

Era fratello di Deioneo, Salmoneo, Macareo, Creteo e Canace, ovvero gli Eoliani, e apparteneva, attraverso i genitori, alla stirpe di Deucalione, nato da Prometeo e dalla moglie Celeno.
Era sposo di Merope dalla quale aveva avuto due figli, Glauco e Almo. Per mezzo di tali progenie, Sisifo era anche il nonno di Bellerofonte.

In tutti i miti che lo riguardano, Sisifo appare come il più scaltro dei mortali e il meno scrupoloso. La sua leggenda infatti comprende numerosissimi episodi, ognuno dei quali è la storia di una sua astuzia.

Stralcio testo tratto dalla pagina: unmondoaccanto.blogfree sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

Sisifo ingannò ripetutamente pure le divinità, peccando gravemente di empietà. Infatti, mentre la scarsità d’acqua a Corinto gravava pesantemente sui cittadini, Sisifo scoprì che Zeus aveva rapito Egina, figlia del dio fluviale Asopo, per farla sua amante. Pertanto lo scaltro re barattò con Asopo delle informazioni su sua figlia, ritenuta scomparsa, con una fonte d’acqua per Corinto, che gli venne concessa.
Zeus, avendo scoperto che Sisifo aveva rivelato tutto ad Asopo, decise di vendicarsi e chiese al fratello Ade di mandare Thanatos, dio della morte, a prendere Sisifo per portarlo poi nel Tartaro.
Ancora una volta Sisifo si dimostrò estremamente sagace e astuto, infatti fece ubriacare Thanatos e lo ingannò, riuscendo ad incatenarlo e ciò scatenò un forte turbamento nel mondo, in quanto essendo  il dio della morte incatenato, nessuno moriva più.
Zeus, incendiato d’ira, mandò un messo a liberare Thanatos riportando tutto alla normalità.
Sisifo trascorse il resto della sua vita dimostrando la propria astuzia, ingannando ripetutamente gli dei. Quando morì impose a sua moglie di non seppellirlo e di non compiere le onoranze funebri necessarie. Pertanto, quando si trovò davanti a Persefone, sposa di Ade, la implorò di farlo tornare sulla terra, sfruttando il pretesto delle mancate onoranze da parte della moglie.
La regina del Tartaro gli permise di tornare in vita per tre giorni, il tempo necessario per imporre alla moglie i riti funebri necessari. Nuovamente il re decise di ingannare le divinità e non rispettò il patto fatto con Persefone. Infine gli dei decisero di inviare Ermes per catturare Sisifo e vincolarlo una volta per tutte negli inferi.

Persefone controlla Sisifo che spinge un enorme masso. Lato A di un’anfora attica a figure nere, ca. 530 a.C. Da Vulci. – Staatliche Antikensammlungen museum, Monaco di Baviera – Wikipedia, pubblico dominio

La punizione che Ade scelse per Sisifo fu singolare ed esemplare: venne infatti costretto a spingere fino alla cima di un monte un pesantissimo masso, che tuttavia, come spinto da una forza sovrumana, rotolava nuovamente alle pendici una volta arrivato in cima, costringendo Sisifo a ricominciare la gravosa fatica. Così per tutta l’eternità.
L’espressione “fatica di Sisifo” viene spesso utilizzata per indicare una fatica estenuante e faticosa che non porterà a nulla di utile.

Stralcio testo tratto da un articolo di Francesca Felici pubblicato nella pagina di cogitamusergosumus.wordpress.com sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

Ecco cosa scrive, con la sua piacevole prosa rimata, l’amico Sandro Boccia:

Sisifo, il figliolo d’Eolo, re dei venti, nell’antichità fu famoso
perché il suo nome spesso è legato per indicare una cosa vana,
una fatica inutile, un lavoro inconcludente e laborioso.
Ladro imbroglione era riuscito addirittura alla Morte a darle tana
avendola incatenata e di conseguenza non moriva più nessuno:
potete immaginare la preoccupazione d’Ade che rischiava il fallimento,
allora Marte la liberò e a darle Sisifo prigioniero in un sol momento;
lui però, con la scusa di punire la moglie, riuscì a riprendersi la libertà,
(lei non gli aveva fatto il funerale), salì in terra ma non si spostò da là
fino a la vecchiaia, dopo di chè finalmente morto, fu condannato eternamente
a spinger un masso fino alla cima di una collina che sistematicamente
ritornava a valle; lui ricominciava con questa fatica che non serviva a niente.
Morale: è inutile sfuggir alla morte, ci rimetti tu, e sempre, inevitabilmente!

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