C’è un angolo sperduto della Libia, nel cuore del Sahara, dove il tempo sembra essersi fermato. Takarkori, oggi distesa di sabbia e roccia bruciata dal sole, un tempo era un luogo di vita. Qui, dove ora regna il silenzio assoluto del deserto, migliaia di anni fa scorrevano acque dolci, pascolavano animali selvatici e gli uomini lasciavano le loro tracce.

Un’immagine satellitare del Sahara della NASA – Wikipedia, pubblico dominio
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Takarkori è un altopiano roccioso del Fezzan, nel sud-ovest libico. Ma sotto quella superficie dura e asciutta si nasconde una memoria profonda. Gli archeologi, guidati negli ultimi anni dall’italiano Savino di Lernia, hanno riportato alla luce un incredibile archivio naturale: strati su strati di storia che raccontano una trasformazione radicale. Dove oggi non cresce nulla, un tempo c’erano laghi, savane e insediamenti umani.

È difficile immaginarlo, ma tra 10.000 e 5.000 anni fa il Sahara era verde. Letteralmente. Un clima umido alimentava fiumi stagionali, le piante crescevano rigogliose e il paesaggio assomigliava più al Sahel attuale che all’inferno arido che conosciamo. A Takarkori, le testimonianze sono straordinarie: ceramiche decorate, utensili in pietra, ossa di pesci e persino resti di ippopotami e coccodrilli. Ma anche segni più umani, più intimi: resti di pasti condivisi, tracce di pastori, le prime prove di addomesticamento del bestiame.

E poi ci sono loro, le orme. Decine, centinaia, scolpite nel fango divenuto pietra. Piedi di adulti, ma anche quelli più piccoli dei bambini. Camminavano, correvano, giocavano, attraversavano quella terra che oggi sembra aliena, ma che per millenni fu casa.

Un mistero nel codice genetico
Tra le scoperte più intriganti emerse dallo studio dei resti organici recuperati a Takarkori, vi è un’anomalia genetica che ancora oggi fa discutere: sequenze di DNA “non umano”, o meglio, segmenti genetici che non corrispondono a nessuna popolazione umana conosciuta.

L’ematite è uno dei pigmenti più comuni a Takarkori ed è composta da ossido di ferro. – Wikipedia, pubblico dominio

Alcuni genetisti, analizzando campioni di materiale biologico conservato in modo eccezionale dal clima secco, hanno individuato tratti non classificabili, assenti nei database del genoma umano antico. Le ipotesi sono diverse: contaminazioni, antichi incroci con linee estinte, o forse interazioni con gruppi migratori ancora sconosciuti.
C’è anche chi, spingendosi oltre, suggerisce la possibilità di presenze “altre”, non spiegabili secondo la storia ufficiale. Nessuna certezza, solo indizi. Ma in un luogo così remoto e così antico, il dubbio resta aperto.

Takarkori ci parla con la voce del tempo. Non solo racconta un passato dimenticato, ma ci mette davanti a una grande verità: il clima cambia, le terre si trasformano, le civiltà si adattano o spariscono. Guardare indietro, in questo caso, è come guardare avanti.

Nel silenzio di Takarkori, il Sahara ci ricorda che anche i deserti hanno avuto una memoria verde. E forse, un giorno, la riavranno.

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