Antonio Corradini – Particolare della Vestale Tuccia che evidenzia l’illusione di un tessuto diafano aderente alla carne – Wikipedia – Foto di I, Sailko rilasciata con licenza CC BY-SA 3.0

Molto sentito nell’antichità, il culto della Dea Vesta era esercitato prevalentemente da sacerdotesse che – per onorare degnamente la divinità – avevano l’obbligo di mantenere intatta la loro verginità.
La pena riservata a chi osava contravvenire a questa unica ma rigida regola era severissima e di una crudeltà estrema.

Giovanni Battista Moroni – La Vestale Tuccia – National Gallery (Londra) – Wikipedia, pubblico dominio

Corse questo rischio Tuccia (o Tuzia), una sacerdotessa Vestale vissuta intorno al 230 a.C. che, nonostante la stima di cui godeva all’interno del tempio, venne ingiustamente accusata di aver violato il voto di castità e la pena che era stata decisa per lei e per quante avessero seguito l’indegno esempio della giovane consisteva nell’essere sepolta viva.

Così, mentre lo scandalo cominciò a trapelare all’infuori delle mura del tempio e la notabile famiglia di Tuccia ne veniva travolta in pieno con un marchio indelebile di onta, la sacerdotessa non poté fare altro che rivolgere le proprie preghiere alla dea che tanto venerava, sperando che questa riuscisse in qualche modo a scagionarla.

La storia, narrata nelle pagine di Livio, Valerio Massimo, Dionigi di Alicarnasso e Plinio il Vecchio, si conclude con l’implorazione da parte di Tuccia nei confronti della dea Vesta e dell’accoglimento di quest’ultima delle suppliche della giovane.
Perché Tuccia fosse scagionata del tutto infatti, la dea permise che la sacerdotessa, sottoponendosi a una ordalia,  dimostrasse di portare dell’acqua dentro un colino senza che da questo si perdesse neanche una goccia.
Tuccia in tal modo si salvò e la dea divenne il simbolo di come sia possibile scagionarsi da un’accusa infondata..

Stralcio testo tratto dalla pagina: questopiccolograndemondo.blogspot sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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