Capita a Roma il 28 luglio 1525, sul Lungotevere, un tragico fatto di sangue: il poeta e letterato Pietro Aretino viene accoltellato da un uomo mascherato, atto finale della nota vicenda dei “modi” e dei connessi “sonetti lussuriosi”.

Medaglia di pietro aretino, verso con testa di falli – Wikipedia – User: I, Sailko, opera rilasciata con licenza CC BY-SA 3.0

Subito soccorso, il “flagello dei principi” viene trasportato in casa di amici e curato. Le ferite al petto, in numero di due, appaiono gravi, una considerata addirittura mortale come afferma Girolamo da Schio, vescovo di Vaison, al Marchese di Mantova in data 30 luglio 1525 (“[…] haverà inteso […] el strano caso accaduto l’altra notte al nostro M. P. Arretino, che fu, su le due hore, sendo lui a cavallo, ferito da uno a piedi de due pugnalate nel petto, l’una de quali è mortale; tamen, con l’aiuto de Dio, spero che lo salveremo […]“. Secondo altri “cronisti” le ferite potrebbero essere state in numero superiore, dalle quattro alle cinque interessando, oltre al petto, anche le mani ed il volto.
Ovviamente è caccia all’uomo per trovare il colpevole: nella sua lettera Girolamo da Schio aggiunge che “de già sono 9 persone in prigione per tal caso, et credo che tutto se saperà“. Le indagini non tardano a scoprire che l’attentatore è stato Achille della Volta, servo del datario pontificio, monsignor Giovan Matteo Giberti, vescovo di Verona. Cosa che pure Francesco Berni conferma nella sua celebre composizione poetica “Contra Pietro Aretino“, databile attorno al 1527: “[…] al fin si troverà pur un pugnale meglior di quel d’Achille e più calzante“. In ogni caso la conferma ufficiale arriverà soltanto nel 1542 quando lo stesso della Volta, autoaccusandosi del misfatto romano nel corso di un processo intentatogli a Bologna per omicidio in complicità con il fratello Marcantonio, affermerà di avergli inferto solo due pugnalate al petto. E’ particolare non trascurabile nella vicenda che lo stesso sicario, cosa confermata anche nel processo bolognese, sia accorso subito dopo l’attentato al capezzale dell’Aretino: a dimostrazione della proditorietà dell’accaduto sta il fatto che i due si conoscessero molto bene. Di contro alla ricchezza delle notizie sull’attentato, i documenti sono molto più scarni attorno alla figura ed alla vita di Achille della Volta.

Tiziano – Ritratto di Pietro Aretino – Frick Collection, New York – Wikipedia, pubblico dominio

Certamente lo studioso che più si sofferma ad illustrarcene le tappe salienti è  Carlo Bertani che nel 1901 pubblica presso Quadrio a Sondrio “Pietro Aretino e le sue opere secondo nuove indagini“, così come cita Angelo  Romano in “Periegesi aretiniane” (Salerno Editrice, Roma, 1991) e Paul Larivaille in “Pietro Aretino” (Salerno Editrice, Roma, 1997), il quale probabilmente riprende tout court la citazione del Romano, senza peraltro meglio esplicitarla, anzi togliendo qualche particolare significativo (quali, ad esempio,  il luogo della nunziatura). Sulle protezioni politiche e sulla carriera del della Volta ci sono dati inconfutabili quali i mancati provvedimenti presi nei suoi confronti dopo l’attentato romano, neppure a distanza di tempo (prescrizione?!) e la presumibile assoluzione nel processo di Bologna del 1542. A Roma, sappiamo che faceva parte dell’entourage del datario mons. Giberti (a detta di tutti gli studiosi aretiniani il mandante dell’attentato, anche se lui stesso lo smentisce recisamente in una corrispondenza con il duca di Mantova), tramite il qual datario l’Achille raggiunge alti gradi ecclesiastici come la nunziatura apostolica a Piacenza. Pure interessanti parrebbero i rapporti  con Giovan Maria Ciocchi dal Monte che tra il 1550 ed il 1555 sarà Papa Giulio III. Cosa molto significativa nei rapporti futuri con Pietro Aretino appare la riappacificazione che lo stesso poeta testimonia in una lettera a Bartolomeo Sala, nel 1550, asserendo che: “[…] ho riconciliato col mio animo messer Achille […]“, riappacificazione che (e da parte di chi)  per lui, reo confesso, ne sottolinea ulteriormente la innegabile potenza. Per quanto riguarda il cognome è possibile che l’ufficiale “Della Volta” oppure “della Volta”, ritrovato nelle citazioni, soprattutto di estrazione romana, venga riportato da altri documenti, bolognesi o veneziani, semplicemente come “Volta”. Lo stesso Aretino, in due lettere, una del 1550, quella stessa citata della riappacificazione ed in un’altra del 1552, entrambe indirizzate a Bartolomeo Sala lo cita soltanto con la seconda parte del cognome, ovverossia “Volta”. Nella prima, mentre con gli amici gode del dono di frutti afferma: “Questi da Bologna mi vengono, ed hammigli il Volta mandati“. Nella seconda quasi si giustifica di non poter ricambiare un dono di olive con un quadro desiderato dal medesimo: “[…] l’olive che mi manda il da bene Achille onorando son bastanti a gratificare non che la mia, ma la mensa di un re. Quel che mo mi sa male è che non tengo nessuno dei quadri che il Volta,  come uomo che se ne diletta, desidera“. E pure occorre tener presente che diversamente dai recenti studiosi Romano e Larivaille che usano la lezione “Della Volta”, il Luzio nell’Ottocento usa “della Volta”.

Stralcio testo tratto dalla pagina: cortedeirossi.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…     

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