Parlare di mitologia romana è quasi un’impresa disperata, poiché non si conoscono miti teogonici, cosmogonici o antropogonici «romani», qualsiasi cosa s’intenda con quest’aggettivo che riassume vari apporti, indoeuropei (illirici, ellenici…) ma anche etruschi e asiatici.
È vero che conosciamo molti nomi di divinità e molti riti, ma è come se questi riti fossero la forma di una religione a più livelli (politico, familiare, privato), e le divinità depositari personificati di potenti funzioni, numinose, cui bisogna obbedire secondo regole ben precise.
In altri termini, sembra che, molto presto, lo spirito «romano» si è sia bene o male, plasmato in una struttura amministrativa e politico-religiosa in cui l’importanza non era dell’ordine della conoscenza, e quindi del racconto che la introduce, ma dell’ordine della pratica, e quindi delle regole che la costituiscono.
Perciò, se è vero che i Romani vengono descritti e si descrivono anch’essi come pietosi, religiosi, ciò deve intendersi nel senso di uomini che adempievano scrupolosamente alle numerose prescrizioni rituali, decise dalle autorità religiose e politiche, nella speranza di influenzare favorevolmente la benevolenza degli dei, più che nel senso di uomini con legame di fedeltà al dio.
Comunque, quando l’influenza culturale greca cominciò a diventare preponderante (III sec. a.C.), il pantheon romano riprodusse in qualche modo quello greco, anche se l’uno o l’altro dio romano importante non ha un vero e proprio corrispondente greco, come del resto molte divinità minori.
La tavola che segue (già inserita nella pagina indice) riassume in modo schematico e frammentario la corrispondenza dei due pantheon.
GRECHE | ROMANE | ATTRIBUZIONI |
Ade | Plutone | Dio degli inferi |
Afrodite | Venere | Dea dell’amore |
Apollo | Apollo | Dio della luce, della medicina e della poesia |
Ares | Marte | Dio della guerra |
Artemide | Diana | Dea della caccia e del parto |
Asclepio | Esculapio | Dio della medicina |
Atena | Minerva | Dea delle arti, della guerra e della saggezza |
Borea | Aquilone | Dio dei venti |
Crono | Saturno | Per i greci, padre di Zeus . Nella mitologia romana, anche dio dell’agricoltura |
Demetra | Cerere | Dea delle messi |
Dike | Astrea | Dea della giustizia |
Dionisio | Bacco | Dio del vino, della fertilità e della sfrenatezza |
Efesto | Vulcano | Fabbro degli dei e dio del fuoco e della lavorazione dei metalli |
Elios | Sole | Dio del sole, della luce e del calore |
Eos | Aurora | Dea dell’aurora |
Era | Giunone | Prot. del matrim.- (greci) sorella e moglie di Zeus , (romani) moglie di Giove |
Eracle | Ercole | Eroe delle dodici fatiche |
Erinni | Furie | Dee dell’ordine morale e della vendetta |
Eris | Discordia | Dea della discordia |
Ermes (Ermete) | Mercurio | Dio della scienza; protettore dei viaggiatori, dei ladri e dei vagabondi |
Eros | Amore Cupido | Dio dell’amore |
Estia | Vesta | Dea del focolare domestico |
Gea Gaia | Tellus | Simbolo della terra e madre e moglie (Terra) di Urano |
Ipno (Hypnos) | Sonno | Dio del sonno |
Leto | Latona | Possedeva i poteri del progresso tecnologico e vegliava sulla tecnologia e sui fabbri. |
Nike | Vittoria | Personifica la Vittoria |
Persefone | Proserpina | Dea della terra feconda |
Poseidone | Nettuno | Dio del mare. Nella mitologia anche dio dei terremoti e dei cavalli |
Rea | Opi Cibele | Sposa e sorella di Crono |
Tanato (Thanatos) | Mors | La morte |
Tiche | Fortuna | Dea della fortuna e del caso |
Urano | Urano | Figlio e sposo di Gea e padre dei Titani |
Zefiro | Favonio | Il vento di ponente |
Zeus | Giove | Sovrano degli dei |
DIVINITÀ DEL CULTO PRIVATO:
Fede (buona fede, parola data), Fortuna (la fortuna), Virtù (la «virtù»), Concordia (la concordia), Fato (il Destino, la Moia per i Greci)…
«ASTRAZIONI» DIVINIZZATE ROMANE:
Lari e/o Penati (protettori del focolare domestico), Mani (anime dei morti «di valore», divenuti divinità tutelari).
Il tutto, naturalmente, è molto più complesso di quanto non riportiamo qui; ciò non toglie che, in rapporto alla mitologia greca, la mitologia romana sia un po’ il parente povero che ha molto ereditato e poco aggiunto, senza del resto interessarsi alla parte profondamente mitologica della propria eredità.
Così mi limiterò, in mancanza di miti propriamente detti, a rimandare il lettore alla pagina che rievocare Enea, principe troiano, ed il suo approdo nel Lazio (vedi) il suo del Lazio, e, a seguire, la fondazione di Roma da parte di Romolo.
Ricordiamo che scomparso Enea (abbastanza misteriosamente), il figlio Ascanio fondò Albalonga, che divenne la capitale di una lunga dinastia di re, discendenti di Enea, fino a giungere a Amulio e Numitore, figli del quindicesimo re di Albalonga.
Amulio, il minore, volendo regnare da solo, scacciò Numitore, ne uccise il figlio e costrinse la figlia, Rea Silva, a diventare vestale, sacerdotessa consacrata al culto di Vesta e di conseguenza al celibato. Però Marte sedusse la giovane vestale e, unitosi a lei in un bosco sacro, ne ebbe due gemelli: Romolo e Remo.
Saputo della cosa, Amulio ordinò di annegare la madre, di mettere i gemelli in una cesta e di deporla sulle onde del Tevere in modo che il fiume la trasportasse fino al mare, dove sarebbe scomparsa.
Per fortuna, la cesta s’incagliò sulle radici di un fico dove una lupa, inviata da Marte, si era appena accovacciata. Questa si mise ad allattare i due neonati.
Scoperti da un pastore, Faustolo, vicino alla loro «nutrice», furono da lui raccolti e affidati alla moglie, già madre di dodici figli.,
Romolo sul Palatino, Remo sull’Aventino
Diventati grandi, i due fratelli studiavano, ma passavano il «tempo libero» razziando il bestiame di Amulio. Un giorno i pastori del re catturarono Remo mentre stava rubando e lo condussero da Amulio, che lo fece imprigionare nel suo palazzo.
Romolo, messo al corrente delle proprie origini da Faustolo, il pastore, s’impadronì, con l’aiuto dei compagni, del palazzo di Amulio, lo uccise, liberò il fratello Remo e restituì il trono al nonno Numitore. Questi donò ai nipoti due colline: il Palatino a Romolo e l’Aventino a Remo. I due gemelli decisero di fare una scommessa: chi dei due, dalla propria collina, avrebbe contato il maggior numero di uccelli, vi avrebbe costruito una città.
Romolo contò dodici avvoltoi, mentre Remo solo sei.
La città fu quindi fondata sul Palatino. Ma mentre Romolo, per delimitare la sacra cinta, ne tracciava con l’aratro i contorni, Remo, per schernirlo, superò con un balzo il solco. Per scongiurare il sacrilegio, Romolo immolò il fratello con un colpo di spada e lo sotterrò nella «sua» collina, l’Aventino, che fu per questo a lungo tenuta fuori dalla cerchia sacra di Roma, e riservata alla plebe.
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Romolo, fondatore di Roma
Fondata la propria città (753 a. C.), e volendola popolare, Romolo non esitò a farne il luogo d’asilo per i fuorilegge. A questi poveri e celibi briganti diede l’occasione di procurarsi una sposa nel modo più rozzo e più semplice: il ratto. Dopo aver invitato i propri vicini, i Sabini, a partecipare ai giochi da loro indetti, i Romani ne approfittarono per fare man bassa delle ragazze che gli ospiti avevano condotto con sé, impadronendosene.
Ne seguì una guerra fra Tito Tazio, re dei Sabini, e Roma. Nonostante i successi iniziali, i Sabini furono alla fine fermati dall’intervento di Giove, invocato da Romolo, e dalle stesse giovani sabine, che s’intromisero fra i mariti e i parenti per scongiurarli di fare la pace.
E la fecero.
Romolo e Tazio regnarono allora insieme e, alla morte di quest’ultimo, Romolo restò da solo al trono per trentatré anni. Un giorno, passando in rivista le truppe sul Campo di Marte, mentre scoppiava un violento temporale, Romolo scomparve agli occhi dei soldati, rapito da una fitta nube.
Così il «Padre della Patria» fu, più tardi, assimilato al dio Quirino e ai cittadini romani fu attribuito il nome di Quiriti.
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Conclusione
Il lettore penserà che sia un po’ superficiale trattare con tanta parsimonia la mitologia romana, quando Roma ha tanta parte nel nostro patrimonio culturale. Ma ne conosce le ragioni: poca o nessuna mitologia, interesse per il lato «serio» (gravitas) delle cose e degli esseri.
Comunque sia, questa pietà (pietas) tutta romana, questa preoccupazione di non intraprendere niente senza l’accordo degli dei e delle virtù che astrattamente incarnano le loro direttive (Fides, Fortuna, Virtus), produce un tipo d’uomo responsabile della propria storia e delle proprie azioni, misurate con il metro della propria obbedienza «pietosa» (ma anche superstiziosa quanto alla giusta interpretazione delle direttive divine) e della grandezza della Città (Urbe). È come se, armato di leggi il cui imperativo non gli pone problemi ma messo a confronto con la delicata questione degli auspici di cui bisogna tener conto, l’uomo romano tracciasse il cammino della propria volontà con un comportamento retto (ortoprassi) dettato dalla legge al di là di ogni immaginario o misticismo.
Questo rigore e quest’aridità amministrativo-religiosa, questa volontà di fondare tutto sulla storia e la legge, hanno, forse, reso la Chiesa romana l’erede di Roma, della Città (Urbs) dalle dimensioni mondiali.
Tanogabo
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