Traggo da un mio archivio il testo di un vecchio post che vi ripropongo:

Gesù Cristo dovrebbe essere stato crocifisso venerdì 7 aprile dell’anno 30, all’età di 37 anni. Questo secondo i calcoli degli storici moderni, più precisi di quelli del monaco Dionigi il Piccolo (Dionysius Exiguus) che, nel VI secolo, stabiliva la nascita di Cristo nell’anno 753 “ab Urbe condita”, cioè cinque anni dopo. D’altronde gli Evangelisti ci dicono che Egli sia morto nel venerdì di Parasceve, cioè di preparazione della Pasqua giudea, il 14 del mese di Nissan del calendario ebraico. Sovrapposti i due elementi coincidono, appunto, con venerdì 7 aprile dell’anno 30 dell’era cristiana.

Annibale Carracci – Cristo morto – Wikipedia, pubblico dominio

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Oggi è una giornata triste, nel significato che diamo noi cristiani, ma la speranza del trionfo è già in noi, perchè la Resurrezione è l’atto finale di un sacrificio esclusivo…
Vi auguro una giornata serena e che sia di riflessione per un mondo che sta andando volontariamente, alla rovina totale…

Gaetano, Venerdì Santo 2007.

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Carl Heinrich Bloch – Il consolatore. – Wikipedia, pubblico dominio

Il Venerdì Santo è, come ci rammenta Gaetano, un giorno di tristezza per i cristiani. Mi viene alla mente un’obiezione che ci viene rivolta da chi cattolico non è: “Adorate un Dio che rappresentate, morto, su una croce”.

A ben pensarci, se volessimo ragionare con la mentalità pratica di oggi, non è il massimo simbolo che si potrebbe usare in una campagna promozionale.
La risposta non è facile senza cadere in una sorta di automatismo retorico: “la croce di Cristo rappresenta il suo gesto d’amore per noi”. Io ci credo, sia ben chiaro, ma vorrei quasi poter rispondere senza trincerami dietro frasi fatte e stereotipate.

Vorrei rispondere dicendo che, croce a parte, non esiste parte che io conosca dei Vangeli in cui la parola del Signore non sia di amore, pace, fratellanza. Non un Dio che esalta se stesso ma si sforza di dare agli uomini una via. Poi siamo noi che scegliamo di percorrerla, deviarne parzialmente o abbandonarla.

Chi ci considera troppo blandi nel nostro percorso cristiano, nei nostri comportamenti, non ha torto; ma questo non dipende da Dio, ma da noi, dalle nostre libere scelte.
Ecco quindi che il Venerdì Santo, più che come momento triste, dovrebbe essere preludio di speranza perchè (resurrezione dei morti o meno, non entro in argomento) secondo me è la metafora del “cadere e rialzarsi”.
E una delle cose più grandi della nostra vita (guai se ci mancasse) è la consapevolezza che se si cade si può rialzarsi, “risorgere”, e di un Dio sempre pronto ad accoglierci. Lo so, un po’ di retorica mi è scappata…

Pegaso

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Caro Pegaso, in appendice ai tuoi bei concetti, desidero inoltrarti un passo inerente la storicità della Resurrezione di Cristo. Ovviamente, non è farina del mio sacco ma della grande forza spirituale di Padre Raniero Cantalamessa che scrive:

Piero della Francesca – La risurrezione di Gesù Cristo, 1463. – Wikipedia, pubblico dominio

“Quello che si offre alla considerazione dello storico e gli permette di parlare della risurrezione, sono due fatti: primo, l’improvvisa e inspiegabile fede dei discepoli, una fede così tenace da resistere perfino alla prova del martirio; secondo, la spiegazione che di tale fede gli interessati, cioè i discepoli, ci hanno lasciato. Nel momento decisivo, quando Gesù fu catturato e giustiziato, i discepoli non nutrivano alcuna attesa di una risurrezione. Essi fuggirono e dettero per finito il caso di Gesù. 

Dovette quindi intervenire qualcosa che in poco tempo non solo provocò il cambiamento radicale del loro stato d’animo, ma li portò anche a un’attività del tutto nuova e alla fondazione della Chiesa. Questo “qualcosa” è il nucleo storico della fede di Pasqua. 
La più antica testimonianza della risurrezione è quella di Paolo ed essa dice così: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto” (1 Cor 15, 3-8). La data in cui furono scritte queste parole è il 56, o il 57 d.C.. Il nucleo centrale del testo, tuttavia, è costituito da un credo anteriore che san Paolo dice di avere egli stesso ricevuto da altri. Tenendo conto che Paolo apprese tali formule subito dopo la sua conversione, possiamo farle risalire a circa il 35 d.C., cioè a cinque, sei anni dopo la morte di Cristo. Testimonianza dunque di raro valore storico. ” (stralcio testo da: liturgiadomenicale.blogspot)

Gaetano

 

Preghiamo, riflettiamo sul Redentore dall’ingresso trionfale in Gerusalemme fino all’abbandono sul Golgota, apriamo gli occhi e il cuore sul grande dramma della nostra redenzione, meditando sull’ineffabile mistero del suo amore redentivo. Solo se siamo disposti ad accettare questo divino messaggio si muoverà la volontà e l’intelligenza alla decisione finale di risorgere con Cristo Gesù.

Cettina

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