Il 19 settembre del 1877 Antonino Salinas ringraziava l’avvocato Ferdinando Gaudiano per il dono fatto al Museo nazionale di Palermo di “un bel pezzo di basalto con geroglifici egiziani”. “di monumenti di tale genere difetta in qualche modo questo museo stante la difficoltà di ritrovarne in Sicilia, perciò il suo dono è stato più gradito”.

Museo archeologico regionale Antonino Salinas – Pietra di Palermo – Wikipedia, pubblico dominio

La sua provenienza è alquanto misteriosa: alcuni sostengono la stele sia stata acquistata sul mercato antiquario, altri ritengono che Ferdinando Gaudiano l’abbia ereditata dal padre. Molti indizi fanno pensare come questa possa provenire da Alessandria d’Egitto, in cui la famiglia Gaudiano aveva numerosi interessi commerciali.

Pietra che all’epoca non era un inedito: qualche anno prima il celebre orientalista palermitano Michele Amari aveva ottenuto alcune copie dei testi e le aveva inviate all’egittologo francese Emmanuel de Rougé che le aveva utilizzate per un suo studio. A lui si deve la definizione di “Pietra di Palermo” con la quale è ancor oggi noto il monumento.
Però a dire il vero, chi capì veramente l’importanza del reperto non fu né Salinas, né de Rougé, ma l’egittologo H. Scäfer, in collaborazione con L. Borchardt e K. Sethe, che formulò le prime ipotesi sull’origine.

Parte della Pietra di Palermo con i nomi dei faraoni – Wikipedia, pubblico dominio

Nel 1903 furono scoperti tre frammenti più piccoli: uno era stato usato come fermaporta e gran parte del suo testo fu così cancellato; il terzo fu rinvenuto in un sito archeologico a Menfi.
Nel 1914 Flinders Petrie ne acquistò un quarto frammento sul mercato antiquario; il pezzo è esposto al Petrie Museum of Egyptian Archaeology di Londra, e contiene informazioni sui sovrani Khasekhemui (II dinastia) e Nebmaat (IV dinastia).
Nel 1963 un quinto frammento fu acquistato sul mercato antiquario, e si trova ora al Museo Egizio del Cairo.

Ma cos’era in origine la Pietra di Palermo? Come dicevo, una sorta di annale reale, con valore sia sacrale, sia politico.

Sacrale, perché il faraone che l’aveva commissionata, fissando gli eventi su pietra, imponeva con la cronologia, un ordine nel caos degli eventi, rendendo il suo regno il fine ultimo del Tempo. Politico, perché, da una parte, selezionando una successione dinastica, evidenziava il suo diritto a regnare, in continuità con i re del passato; dall’altra, identificando gli eventi salienti dei precedenti regni a testimonianza della benevolenza divina, mostrava come la sua azione fosse degna del mandato concesso dagli Dei.

Ciò è in linea con le complesse e ancora poco chiare vicende della V dinastia, caratterizzata da numerosi passaggi di potere e successioni al trono poco chiare. Il suo fondatore, Userkaf, non sembra aver alcun legame con la dinastia precedente; altri sovrani pure sembrano ascesi al trono in condizioni poco chiare. Fra questi sicuramente vi era caratterizzata da numerosi passaggi di potere e successioni al trono poco chiare. Il fondatore della dinastia, Userkaf, non sembra aver alcun legame colla dinastia precedente; altri sovrani pure sembrano ascesi al trono in condizioni poco chiare. Fra questi sicuramente vi era Niuserra, sesto sovrano della V dinastia, che doveva essere poco più che un bambino quando salì al trono, dopo un periodo turbolento.

La sua ascesa al potere è probabilmente legata alla figura della madre, la regina Khentkaus II, la cui piramide affianca, nella parte centrale della necropoli di Abusir, quella del re Neferirkara, padre di Niuserra e ultimo sovrano menzionato nella Pietra di Palermo. Non è dunque da escludere che, ad un certo punto del suo regno, Niuserra abbia voluto consolidare le sue pretese dinastiche con un’operazione di legittimazione storico-politica, ossia facendo mettere per iscritto la storia delle dinastie precedenti, di cui lui, in ultima istanza, si considerava l’unico legittimo erede agli occhi degli dei.

Il Cairo, Museo Egizio – Frammento della Pietra di Palermo, basalto, Antico Regno d’Egitto, V dinastia, ca. 2350 a.C. – Wikipedia – Foto di: Djehouty, opera propria rilasciata con licenza CC BY-SA 4.0

Per coprire settecento anni, la stele era articolata in registri o fasce orizzontali a loro volta suddivise verticalmente in scomparti, ciascuno contenente un’iscrizione in caratteri geroglifici. La fascia superiore del recto conteneva un semplice elenco di nomi di sovrani predinastici dei quali è da presumere si ignorassero le imprese e la durata del regno. Molti di questi sono immaginari, tuttavia, gli archeologici sono riusciti ad associare alcuni dei nomi presenti con i re do almeno due dinastie predinastiche, la 00, corrispondente al periodo Naqada III a1 e a2 esteso dal dal 3500 a.C. al 3300 a.C., la 0, corrispondente al Naqada III b1 e b2, esteso tra 3300 a.C. al 3150 a.C., entrambi seppelliti nelle necropoli nei pressi di Adibo.

In tutti gli altri registri ogni scomparto era separato da quello alla sua sinistra non da una semplice linea verticale, ma dal segno geroglifico (simile a una f ma in questo caso rovesciata visto che il documento è scritto da destra a sinistra come si può facilmente vedere dall’orientamento dei geroglifici) che significa «anno». Tra fila e fila una banda orizzontale reca sempre il nome del re cui si riferiscono gli scomparti inferiori, di solito accompagnato dal nome della madre; e sotto ogni scomparto è indicato il livello raggiunto dalla piena del Nilo in quel dato anno.

I geroglifici all’interno degli scomparti citano sempre uno o più fatti salienti di quel dato anno, qualcosa che serva a caratterizzarlo e a facilitarne il ricordo. Mentre dalla seconda alla quinta fila del recto ogni scomparto contiene una sola fitta colonna di scrittura, nella sesta gli scomparti sono abbastanza larghi da ospitare tre o quattro colonne. Nel verso le dimensioni degli scomparti aumentano ancora, cosicché gli avvenimenti registrati sono anche più numerosi…

Stralcio testo tratto dalla pagina: ilcantooscuro.wordpress.com sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

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