(revisione giugno 2025)
Origini e fonti
Sulle origini dei popoli scandinavi, prima dello scoppio dell’era vichinga, le certezze sono assai rare: le uniche testimonianze dirette create dagli stessi Nordici praticamente non esistono, se non qualche scritto sporadico o manufatto archeologico. Per capire chi fossero davvero, dobbiamo affidarci principalmente alle cronache straniere, anglosassoni, irlandesi, franchi e persino arabi, e alle saghe islandesi, redatte però oltre due secoli dopo gli eventi che descrivono. Questi racconti tardivi, insieme ai ritrovamenti materiali, ci offrono comunque scorci vividi sulla vita dei Vichinghi, la cui cultura rimase sostanzialmente immutata fino al XIV–XV secolo, quando i contatti con il continente ne stravolsero usi e costumi tradizionali.
Chi erano i “vichinghi”?
È importante sottolineare che gli stessi Scandinavi non si consideravano “vichinghi” in senso etnico o nazionale: il termine, dal significato pressoché “pirata”, ha origini oscure. Per alcuni deriva da Viken, una regione norvegese, per altri dal norreno vikr, “baia”. In entrambi i casi indicava chi si lanciava in avventure marittime, spesso tra razzie e commerci, ma mai come una vera e propria identità collettiva.

Una mappa di tutte le città vichinghe in Scandinavia – Wikipedia – Autore Sven Rosborn, opera propria rilasciata con licenza CC BY-SA 3.0
“Vichingo” potrebbe significare letteralmente “colui che sta nella baia”, forse perché queste coste insidiose offrivano rifugio ideale per agguati improvvisi. Nelle saghe, i Vichinghi sono descritti come uomini di mare in cerca di avventure, ricchezze e prestigio: spesso erano figli cadetti di famiglie terriere, esclusi dall’eredità che spettava per intero al primogenito, oppure persone comuni assetate di fortuna o semplicemente desiderose di lasciare la propria casa. Eppure, si stima che non oltre il 5–7 % della popolazione scandinava partecipasse a queste spedizioni.
Va inoltre ricordato che le crociere nordiche non si limitarono a razzie e saccheggi: molti Vichinghi solcavano i mari esclusivamente per il commercio, scambiando merci lungo rotte interne ed esterne.
Sebbene noi oggi parliamo di “popolo vichingo”, gli Scandinavi di allora non avevano una simile autocoscienza collettiva. Non si definivano “svedesi”, “danesi” o “norvegesi”: piuttosto si identificavano come figli di questo o quel capofamiglia, residenti in una certa regione.
Solo dopo l’anno Mille, con l’affermarsi delle monarchie, emergono i primi concetti di “Stato” e di “popolo”, mentre la vera sentimento nazionale si farà strada solo nel tardo Medioevo.
Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 d.C. inizia convenzionalmente il Medioevo. Tra i secoli V e VIII, l’Europa continentale vede migrazioni di popolazioni germaniche che, insediatesi nei territori un tempo romani, fondano regni “romano-barbarici”: amministrazione romana, dominazione germanica. In Scandinavia, lo stesso periodo coincide con un rapido sviluppo politico e culturale, che fa uscire dal buio dell’anonimato le genti nordiche.
Età di Vendel (VI–VIII secolo)
Già nel VI secolo nascono, in Svezia e Norvegia, poteri locali intorno alla figura di un re “primus inter pares”, un capo onorario, più che un sovrano assoluto. Il vero controllo era affidato ai jarlar, signorotti guerrieri che dominavano territori variabili grazie al loro esercito personale di fedeli. Questi sovrani locali erano costantemente impegnati in lotte di potere con i vicini, mentre i re ufficiali spesso avevano un ruolo più cerimoniale che politico.

Una pagina tratta dalla “Storia delle Nazioni del Nord” del 1557, autori Beller, Jean; Grapheus, Cornelius Scribonius.; Olaus – Wikipedia, pubblico dominio
Questo periodo è noto come “età di Vendel”, dal sito archeologico omonimo in Svezia, da cui proviene gran parte dei reperti di quei secoli. Proprio qui si gettarono le basi culturali e sociali che avrebbero portato, pochi decenni dopo, alla celebre epoca vichinga.
Tra il VI e l’VIII secolo, nella fascia centro‑orientale della Svezia, si affermò un potere locale di grande rilievo, con strette connessioni commerciali e diplomatiche verso il continente, i paesi baltici, il mondo arabo e i regni anglosassoni. Al cuore di questa coorte di signori guerrieri sorse Uppsala, centro religioso di primaria importanza, dove il “re” teneva la propria sala: un’ampia longhouse, a volte lunga fino a ottanta metri, che non si distingueva dalle altre abitazioni se non per le dimensioni e il numero di edifici annessi, necessari ad alloggiare servitori e guerrieri.
All’interno, un trono collocato al centro o sul fondo, panche intorno alle pareti, un grande focolare e una lunga tavola per i banchetti, momento in cui il sovrano consolidava la fedeltà dei suoi uomini distribuendo anelli e doni preziosi.
Questa pratica di “dono come strumento di potere” era comune a molti popoli germanici (se ne ritrovano tracce perfino nel Beowulf anglosassone) ed è considerata un probabile precursore del feudalesimo medievale. Il lusso dei signori di Uppsala emerge in modo impressionante dai corredi funebri rinvenuti nei tumuli di Gamla Uppsala: armi cesellate, manufatti d’oro e scudi finemente intarsiati testimoniano un’élite già dotata di ricchezza e influenza, che nei decenni successivi avrebbe trasformato Uppsala nel centro più potente della regione e uno dei nodi principali dell’intera Scandinavia.

Sacrificio. Illustrazione di “Historia de gentibus septentrionalibus”, di Olao Magno, pubblicata nel 1555 – Wikipedia, pubblico dominio
Resta però incerto se sotto quei tumuli giacessero “re” nel senso pieno del termine o jarlar, ovvero nobili locali che univano funzioni guerriere e sacerdotali.
La tradizione racconta di tre tumuli dedicati ai mitici Aun, Egil e Adils. Attorno alla figura di Aun, Snorri Sturluson narra una curiosa leggenda: per allungarsi la vita egli sacrificava ogni anno un figlio a Odino, finché, divenuto decrepito e incapace di alzarsi, fu ucciso dagli Svear stanchi del suo potere ormai vuoto. Analogamente, altre morti “accidentali”, cadute da cavallo, annegamenti nell’idromele, e il sacrificio del re Domalde per placare una carestia fanno pensare che il popolo nordico, nel momento del bisogno estremo, offrisse rituali il sovrano come favore agli dèi.
Così si chiude l’epoca di Vendel: un periodo di grandi progressi politici e culturali, ma anche colmo di enigmi e di pagine ancora oscure.

Viaggi vichinghi nel Nord Atlantico – Francobollo faroese del 2002 – Wikipedia, pubblico dominio
Raid e conquiste in Occidente (793–1066)
Nel giugno dell’anno 793, navi provenienti probabilmente dalle coste sud‑occidentali della Norvegia approdarono a Lindisfarne, isolotto al largo della Northumbria, e ne saccheggiarono il monastero: è il primo raid vichingo attestato dalle cronache europee. Quella violenta puntata inaugurò un’era di terrore per i monasteri e le coste inglesi, dove fino alla fine dell’VIII secolo gli “uomini del Nord” comparivano come predoni impetuosi. Di fronte a questi attacchi, l’Impero carolingio innalzò torri di vedetta e palizzate lungo il litorale, ma ben presto le scorrerie si organizzarono in piccole flotte in grado di assediare città: nel 845 Parigi capitolò solo dopo il pagamento di un ingente tributo.
Negli ultimi decenni del IX secolo la campagna danese divenne una vera conquista dei regni anglosassoni: caddero uno dopo l’altro Northumbria, Mercia, East Anglia, Essex e Sussex, mentre il Wessex resistette sotto la guida di Alfredo il Grande.
Dopo anni di battaglie, un accordo segnò la spartizione del regno: i Danesi mantennero la “legge danese” (Danelaw) al nord, mentre Alfredo conservò il Wessex e i territori meridionali. Quel fragile equilibrio durò fino al 1013, quando Sven “Barbaforcuta” di Danimarca invase nuovamente l’Inghilterra e si fece incoronare re; suo figlio Canuto il Grande consolidò il dominio, sposò una nobile sassone, si convertì al cristianesimo e governò con una combinazione di fermezza e giustizia. I suoi eredi però non seppero mantenere il potere, e gli anglosassoni riconquistarono il paese prima dell’arrivo dei Normanni nel 1066.
Proprio dai Vichinghi ebbero origine i Normanni: nel 932 il capo Rolf, noto più tardi come duca Rollo, ottenne in feudo la regione che diventò la Normandia (“terra degli uomini del Nord”) dopo aver deposto i saccheggi. In poche generazioni i suoi discendenti si francizzarono del tutto: lingua, costumi e fede si fusero con il cristianesimo e il volgare d’oïl, finché, sotto Guglielmo il Conquistatore, conquistarono l’Inghilterra.
Anche l’Irlanda subì il fascino delle scorrerie: i Vichinghi vi fondarono insediamenti finché nel 1014 il re Brian Boru li scacciò; nell’Atlantico settentrionale, Norvegesi e Danesi occuparono le Orcadi, le Shetland e le Ebridi, isole rimaste sotto l’egemonia norvegese fino al XV secolo. Le rotte migratorie portarono colonizzatori verso le Fær Øer e, soprattutto, in Islanda: intorno al 870 esuli in fuga dal rigore feudale imposto da Harald “Bellachioma” fondarono comunità sull’isola quasi deserta, dove nel 930 nacque l’Allþing, assemblea generale che fungeva da parlamento, tribunale e luogo di incontro. Il potere era in mano ai böndir (proprietari terrieri liberi), mentre i goðar, inizialmente sacerdoti, divennero giudici e legislatori effettivi, dando vita a una sorta di repubblica rurale.

Erik il Rosso, frontespizio da Gronlandia, di Arngrímur Jónsson, 1688 – Wikipedia, pubblico dominio
Dall’Islanda, nella seconda metà dell’XI secolo, partì Erik il Rosso per fondare insediamenti in Groenlandia, dove la colonia prosperò fino al XV secolo, quando il progressivo deteriorarsi del clima e l’interruzione dei commerci segnarono la sua scomparsa. Suo figlio Leif Erikson spingendosi ancora più a ovest toccò le coste del Nord America intorno al 1000, in un’esperienza che però non diede continuità a insediamenti stabili. Attraverso questi viaggi e insediamenti, i popoli scandinavi plasmarono un mondo in profondo movimento, lasciando tracce indelebili nella storia europea.
Rotte verso Oriente
In direzione opposta, verso l’Oriente, i contatti erano invece più antichi e già dal VII secolo mercanti dalle coste centro‑orientali svedesi scambiavano merci con i popoli baltici. Nel pieno dell’era vichinga questi stessi mercanti, detti Rus, risalivano i grandi fiumi russi per raggiungere i mercanti arabi: grazie a loro sorsero i principati di Rus’, con centri a Novgorod, Kiev e Staraja Ladoga. In quelle terre, ben presto, i guerrieri nordici si fusero con la popolazione slava, perdendo molte delle loro antiche usanze e adottando lingua e costumi locali.
Non mancarono poi le spedizioni verso sud, dove le navi vichinghe minacciarono più volte le coste bizantine. All’inizio i Bizantini respinsero i raid, ma in seguito preferirono stipulare patti e pagare tributi pur di evitare saccheggi. L’imperatore prese l’abitudine di arruolare come guardie del corpo i Variaghi, termine che richiama il norreno var, “giuramento”, che godevano di privilegi, potevano restare stranieri pagani e portare sempre con sé la celebre ascia da guerra.

Affresco di XV secolo di Sant’Olaf nella chiesa di Överselö, Svezia – Wikipedia, pubblico dominio
Tra loro spiccò anche il futuro santo Olaf di Norvegia, che servì alla corte bizantina prima di tornare a portare la fede cristiana nella sua terra natale.
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