Durante il tumultuoso periodo dei Vespri Siciliani, le città di Messina e Palermo riuscirono a liberarsi dal giogo angioino.
In seguito alla rivolta, la popolazione siciliana chiamò al trono Pietro III d’Aragona, seguito da suo figlio Giacomo e poi da Federico II d’Aragona. Tuttavia, la riconquista angioina non si fece attendere. Prima della pace di Caltabellotta, gli Angioini tentarono con insistenza di riprendere le città perdute, concentrando i loro sforzi su Messina.

Simone Martini – San Ludovico di Tolosa che incorona il fratello Roberto d’Angiò – Wikipedia, pubblico dominio
Nel tentativo di riconquistare la città, Roberto d’Angiò inviò il proprio esercito a Catona e pose sotto assedio Reggio Calabria, bloccando così ogni possibile aiuto diretto a Messina, che in quel momento si trovava in una grave crisi alimentare. Governata da Federico II d’Aragona, la città era ormai allo stremo.

Sant’Alberto di Trapani, pittura anonima – Wikipedia, pubblico dominio
Fu in quel contesto che Nicolò Palizzi suggerì di rivolgersi a un uomo già ritenuto santo dai siciliani: Alberto da Trapani, frate carmelitano noto per i suoi prodigi.
Il giorno successivo, Federico II e la sua corte si recarono alla chiesa del Carmine, dove Alberto celebrava la messa. Durante la funzione, il frate si immerse nella preghiera. Al termine, una voce celeste annunciò che la supplica era stata esaudita.
Poco dopo, all’orizzonte comparvero tre navi cariche di grano che approdarono al porto, salvando la popolazione dalla fame.
L’arrivo di quelle imbarcazioni fu interpretato come un miracolo, attribuito alla Madonna. Da quell’evento nacque la tradizione del “vascelluzzo”, tuttora celebrata a Messina.
La popolazione, colma di gratitudine, accorse alla chiesa per ringraziare il santo, che li benedisse ed esortò a mantenere la fede in Dio e nella Madonna della Lettera. Nei giorni successivi giunsero altre quattro navi cariche di vettovaglie.
Di fronte a questi eventi, Roberto d’Angiò comprese che la fame non avrebbe piegato la città, si arrese e firmò un trattato di pace con Federico II.

Tore Edmondo Calabrò – Messina Statua della Madonna della Lettera del Porto di Messina – Wikipedia, pubblico dominio
Una leggenda legata a quegli stessi giorni racconta un altro prodigio: una donna vestita di bianco, con lo stendardo di Messina, fu vista camminare sulle mura della città. Un soldato francese le scagliò contro una freccia, ma questa tornò indietro, colpendo lo stesso aggressore. Anche in questo caso, i messinesi riconobbero nella figura la Madonna della Lettera, protettrice della città.
Sant’Alberto morì nel 1307. La tradizione narra che, anni dopo, Federico II fece alloggiare i suoi cavalli nel convento del Carmine, profanando la chiesa dove il santo era sepolto. Subito dopo, un morbo misterioso si abbatté su cavalli e soldati. Quando la tomba del santo fu riaperta, il suo corpo fu trovato inginocchiato, come se stesse ancora pregando per invocare la punizione divina contro i profanatori.
Ancora oggi, la memoria di Sant’Alberto da Trapani e dei prodigi attribuiti alla sua intercessione rimane viva nella devozione popolare e nella storia della città di Messina.
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