A sud-est di Roma, tra i monti aspri della Ciociaria, si erge la città di Alàtri, antica e fiera, cinta ancora oggi dalle sue mura ciclopiche. È qui, nella Basilica concattedrale di San Paolo apostolo, che si custodisce una reliquia capace di raccontare una vicenda straordinaria, un miracolo avvenuto nel lontano 1228.

La cattedrale di Alatri in una cartolina del primo Novecento – Wikipedia, pubblico dominio

A parlarne non fu un cronista qualunque, ma addirittura papa Gregorio IX, che in una lettera, una bolla datata 13 marzo dello stesso anno, rispose al vescovo di Alàtri, mons. Giovanni, smarrito di fronte a un evento tanto prodigioso quanto inquietante.

Tutto ebbe inizio con una ragazza poco più che adolescente. Era innamorata, ma quell’amore che aveva acceso il suo cuore si era spento: il giovane che amava non la ricambiava più. Disperata, si rivolse a una fattucchiera, sperando di riconquistare l’affetto perduto. La donna, maliziosa e ingannatrice, le propose una soluzione oscura:
Porta a me un’ostia consacrata, le disse con voce melliflua, e io ti preparerò un filtro che farà tornare ai tuoi piedi il ragazzo che ti ha abbandonata.”

La giovane esitò, la coscienza le parlava sottovoce, ma il desiderio era più forte:
Ma… è peccato…“, mormorò con timore.
Sciocca, ribatté la maga, vuoi o non vuoi riavere il tuo amato? Allora fai ciò che ti dico.

Il giorno dopo, con il cuore in tumulto, la ragazza andò a messa. Si accostò alla comunione, ricevette l’ostia e, con gesto furtivo, invece di consumarla la avvolse in un panno di lino e la nascose in un fazzoletto. Tornata a casa, la ripose nella madia del pane, in attesa di consegnarla alla fattucchiera.
Ma quella notte non trovò pace. Il rimorso la divorava, la coscienza la tormentava. Passò così tre giorni di angoscia, divisa tra il timore di confessare il suo peccato e la tentazione di portare a termine l’inganno. Alla fine, decise di recarsi dalla maga. Ma quando aprì la madia per prendere l’ostia, si trovò davanti a un prodigio: il pane consacrato non era più pane. Era carne viva.

Sconvolta, la giovane cadde in ginocchio, singhiozzando:
Oh Dio, che ho fatto!
Con le mani tremanti, corse alla chiesa e raccontò tutto al sacerdote. L’uomo di Dio, attonito ma saldo, prese l’ostia ormai trasformata e la portò al vescovo Giovanni, che a sua volta scrisse immediatamente al Papa.
La risposta di Gregorio IX fu chiara e solenne. Nella sua bolla lodò il Signore che, attraverso prodigi come questo, rafforzava la fede dei credenti e confondeva l’empietà degli eretici. Per la ragazza chiese misericordia, poiché aveva agito più per debolezza che per malizia, e invitò il vescovo a stabilire penitenze giuste per la maga che l’aveva spinta al sacrilegio.

Da quel giorno, l’ostia incarnata fu custodita come una reliquia preziosa. Ancora oggi, dopo secoli, si conserva tra batuffoli di ovatta, custodita in un piccolo tubicino di vetro, collocato in uno splendido ostensorio dorato che porta incisa la frase:
Il Verbo si fece carne e abitò fra noi.

Quel miracolo non fu solo il segno della misericordia divina, ma anche un monito potente. In un tempo in cui la fede eucaristica rischiava di affievolirsi, la Chiesa rispose con fermezza, riaffermando con il Concilio Lateranense IV la verità della presenza reale di Cristo nell’Eucaristia.

Cattedrale di San Paolo ad Alatri– Wikipedia, pubblico dominio

E così, nella cappella laterale della concattedrale di Alàtri, tra luci tremolanti e preghiere sussurrate, la reliquia continua a parlare. Parla di debolezze umane e di speranze ingannate, ma soprattutto di un Dio che non smette di manifestarsi per ricordare agli uomini la grandezza del suo amore.

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