Una valle di pietra e silenzio. Un monte che sfiora il cielo e sembra custodire la voce di Dio.
È qui, nel cuore del Sinai, ai piedi del monte Horeb, che sorge il Monastero di Santa Caterina, luogo sacro alle tre grandi religioni monoteiste e simbolo di un incontro millenario tra fede, cultura e memoria.

Il monastero di S.Caterina – Wikipedia – Autore: patano, file concesso in licenza in base a CC BY-SA 3.0
Secondo la tradizione, fu su questo monte che Mosè ricevette le Tavole della Legge, e dove Dio gli parlò dal roveto ardente, chiamandolo a liberare il popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto. Il luogo è perciò, da millenni, spazio di rivelazione e di ascolto: un punto di contatto tra l’umano e il divino.

Il monastero in un’illustrazione del 1863 – Wikipedia, pubblico dominio
Il monastero fu fondato nel VI secolo d.C., per volontà dell’imperatore Giustiniano, intorno a una cappella ancora più antica costruita sul luogo dove la tradizione colloca il roveto di Mosè.
Ma la sua sacralità non appartiene solo al cristianesimo: la leggenda narra che anche Maometto, inseguito dai suoi nemici, trovò rifugio tra le sue mura. In segno di riconoscenza, il Profeta pose il monastero sotto la protezione dell’Islam, garantendone l’incolumità anche durante i secoli di dominazione araba.

Certificato di protezione per il monastero di Santa Caterina – Manoscritto attribuito a Maometto – Wikipedia, pubblico dominio
Questa protezione, sancita da un documento noto come Achtiname di Maometto, fu determinante per la sopravvivenza del luogo, che attraversò indenne invasioni e guerre, conservando la sua vocazione originaria: quella di essere ponte tra le fedi e custode del silenzio.
Il Monastero di Santa Caterina è oggi il più antico monastero cristiano ancora in attività.
Tra le sue mura, strette tra le rocce del Sinai, si nasconde una delle biblioteche più preziose del mondo, seconda per importanza solo alla Biblioteca Apostolica Vaticana.
Le sue sale custodiscono migliaia di antiche pergamene e manoscritti, protetti dal clima secco e dall’isolamento dei monaci.
Ma proprio questo isolamento, nel corso dei secoli, ha portato a una pratica singolare: la penuria di pergamene costrinse gli amanuensi a cancellare testi antichi per riutilizzarne il supporto.
Le parole dimenticate venivano eliminate con il succo di limone, poi raschiate via, lasciando spazio a nuovi testi. Quelle stesse pergamene, i palinsesti, si sono rivelate oggi un tesoro inestimabile: sotto la scrittura visibile, nascondono tracce di lingue perdute, di testi scomparsi, di culture dimenticate.
Dal 2011, un’équipe di studiosi e scienziati utilizza tecniche avanzate di illuminazione multispettrale, con raggi ultravioletti e infrarossi, per decifrare gli strati più antichi dei manoscritti. Un sofisticato algoritmo informatico distingue gli inchiostri più vecchi da quelli recenti, restituendo così la voce a testi cancellati da oltre mille anni.
Finora sono stati scoperti almeno 130 palinsesti, rivelando una ricchezza linguistica sorprendente:
testi in greco antico, latino, siriaco, arabo, ma anche in idiomi rari e quasi scomparsi, come l’aramaico cristiano palestinese, risalente al XIII secolo, e perfino l’albanese caucasico, lingua ormai estinta parlata un tempo in una regione cristiana dell’attuale Azerbaigian.
I due palinsesti che lo contengono sono gli unici testi superstiti al mondo in questa lingua perduta.
Tra le scoperte più curiose emergono poesie greche inedite e persino una ricetta medica attribuita a Ippocrate, testimonianza dell’inesauribile intreccio tra sapere religioso e conoscenza scientifica.

Ms. Gr. 929 del monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai (Heirmologion greco palinsesto con vecchia notazione bizantina di Coislin usando un ex tropologo) – Wikipedia, pubblico dominio
Il Monastero di Santa Caterina è molto più di un luogo di culto: è un archivio vivente della memoria umana.
Nel suo isolamento, tra le sabbie e le rocce del Sinai, ha custodito ciò che il tempo e gli uomini altrove hanno distrutto. I suoi palinsesti, strati di scrittura sovrapposti, sono una metafora perfetta della storia stessa: ogni civiltà riscrive quella precedente, ma nessuna la cancella davvero.
In un’epoca in cui la memoria sembra fragile e smarrita, il Sinai ci ricorda che la conoscenza sopravvive nel silenzio e nella cura, che le parole, anche quando scompaiono, lasciano un’impronta invisibile pronta a riemergere.
Lì, dove Mosè parlò con Dio, l’uomo continua a dialogare con il tempo.
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