19 Settembre, festa di San Gennaro: un giorno che Napoli attende con il cuore in mano perché finché il sangue scorrerà… San Gennaro non avrà mai smesso di proteggere il suo popolo.

Solfatara di Pozzuoli. Osservatorio. Autore sconosciuto (cartolina). – Wikipedia, pubblico dominio
Là dove la terra fuma e borbotta, tra le fenditure sulfuree della Solfatara di Pozzuoli, sorge uno dei luoghi più carichi di memoria spirituale della Campania: il Santuario di San Gennaro, martire e patrono amato di Napoli.

Artemisia Gentileschi – Il martirio di San Gennaro nell’Anfiteatro di Pozzuoli. – Wikipedia, pubblico dominio
Secondo la tradizione, fu proprio qui, nel 305 d.C., che Gennaro, vescovo di Benevento, venne martirizzato, decapitato per aver rifiutato di adorare gli dei pagani durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.
Il suo sangue, versato su una pietra porosa, avrebbe lasciato delle tracce scure… che però, miracolosamente, nei giorni vicini all’anniversario della sua morte, riprendono a tingersi di rosso rubino, come se la vita non l’avesse mai davvero abbandonato.
Per custodire la memoria di quel sacrificio, tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo, fu costruita una basilica, oggi scomparsa, ma della quale si conserva ancora l’altare originario, identificato dalla tradizione come la pietra del martirio.
Ma la terra di Pozzuoli è viva, e nel 1198, una violenta eruzione della Solfatara rase al suolo il sacro edificio. I secoli successivi furono segnati da continue ricostruzioni e restauri, soprattutto dopo il devastante terremoto che precedette la nascita del Monte Nuovo nel 1538.
Nel 1584, fu eretta una nuova chiesa, più ampia, con il sostegno del Comune di Napoli. Accanto ad essa venne fondato un convento dei Frati Minori Cappuccini, che da allora non hanno mai cessato di curare e officiarne le celebrazioni, con zelo e dedizione.
Un resoconto del 1589, inviato a Roma dal vescovo di Pozzuoli Leonardo Vairo, ci restituisce un’immagine toccante:
“La grande devozione dei napoletani ha fatto sorgere un nobile monastero dei Cappuccini, dove i frati conducono una vita così esemplare che si crede, con fede sincera, che le loro preghiere abbiano fatto cessare i terremoti che un tempo facevano crollare le case e terrorizzavano gli abitanti. Da cinque anni, da quando il monastero fu edificato, non se n’è sentito più alcuno, grazie al Signore…”

Il martirio di san Gennaro e compagni nel Menologio di Basilio II. – Wikipedia, pubblico dominio
Dopo il 1584, la chiesa di San Gennaro alla Solfatara divenne sempre più importante, al punto da essere riconosciuta ufficialmente come santuario. I pellegrinaggi si intensificarono, arrivando soprattutto da Napoli.
Tra il 1701 e il 1708, su progetto dell’architetto Ferdinando Sanfelice, il complesso fu ampliato e abbellito.
Ma nel 1860, un incendio scoppiato nella notte lo devastò quasi completamente. Nonostante il danno, la risposta fu immediata: grazie all’architetto Ignazio Rispoli, ai fondi del Comune di Napoli e alla generosità dei fedeli di Pozzuoli, la chiesa fu ricostruita e nel 1926 arricchita con marmi e pitture di Luigi Tammaro.
Nel 1945, il vescovo Alfonso Castaldo la elevò a parrocchia, intitolandola a San Gennaro Vescovo e Martire e ai Santi Festo e Desiderio, anch’essi martiri. La cura pastorale venne affidata, ancora una volta, ai Frati Minori Cappuccini.
All’interno del santuario si conserva quella pietra porosa, sulla quale si dice sia stato decapitato Gennaro. Durante l’anno, le tracce di sangue su di essa appaiono scure e secche, quasi invisibili. Ma quando si avvicina il 19 settembre, anniversario del martirio, il colore si accende, giorno dopo giorno, fino a diventare rosso vivo, come se il sangue stesso rispondesse all’antico richiamo della memoria.
Il fenomeno è simile a quello ben noto delle ampolle custodite nel Duomo di Napoli, dove il sangue del santo si liquefa in tre date precise: la vigilia della prima domenica di maggio, il 16 dicembre (giorno in cui nel 1631 il santo salvò la città dall’eruzione del Vesuvio) e appunto il 19 settembre, giorno del martirio.
La scienza, ancora oggi, non sa spiegare questo fenomeno. E mentre gli scettici cercano risposte, i fedeli continuano a credere, pregare e sperare.
San Gennaro, per i napoletani, non è un’icona religiosa: è un compagno di vita, un difensore instancabile che li ha protetti nei secoli da fame, pestilenze, lava e terremoti.
San Gennaro è patrono degli orafi, dei donatori di sangue, e di città come Benevento, Sassari e Torre del Greco.
La leggenda del martirio
Durante la persecuzione di Diocleziano, Gennaro si recò a Pozzuoli per visitare i cristiani imprigionati. Lungo la strada, il diacono Sossio fu arrestato. Venuto a conoscenza dell’accaduto, Gennaro andò a trovarlo, ma venne anch’egli catturato dal giudice Dragonzio. Alla richiesta di sacrificare agli dei pagani, si rifiutò. Fu così condannato a essere sbranato nell’anfiteatro, ma l’intervento della comunità cristiana ottenne una “clemenza” diversa: la decapitazione.
I fedeli raccolsero il suo sangue in due ampolle, secondo l’usanza dell’epoca, e il corpo fu sepolto prima a Fuorigrotta, poi nelle Catacombe di Capodimonte, oggi note come Catacombe di San Gennaro.

Andrea Vaccaro – L’ascensione di San Gennaro. – Wikipedia, pubblico dominio
Nel 431, durante la traslazione delle reliquie a Napoli, una donna portò le ampolle con il sangue coagulato. In presenza del vescovo e della folla, il sangue si liquefece improvvisamente. Da allora, il miracolo si ripete. Anche nella pietra della Solfatara.
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