La tela raffigura Gonzalo Fernández de Córdoba (1453-1515), noto come ‘il grande capitano’, che contempla il cadavere del duca di Nemours, comandante dell’esercito francese nella battaglia di Cerignola, in cui l’esercito francese fu sconfitto e il Il duca di Nemours perse la vita. – Di Federico de Madrazo[2], Pubblico dominio, Collegamento

Il 13 febbraio 1503, nella piana tra Andria e Corato, si consumò uno degli episodi più simbolici del Rinascimento italiano: la Disfida di Barletta. Un duello cavalleresco tra tredici italiani (al servizio della Spagna) e tredici francesi, che si concluse con la vittoria dei primi. Più di un semplice scontro d’armi, fu una sfida d’onore, una rivendicazione del valore italiano in un’epoca dominata da potenze straniere.

Nel contesto della guerra franco-spagnola per il controllo del Regno di Napoli, le truppe francesi si spinsero fino a Canosa di Puglia, dove vennero affrontate in una scaramuccia dagli uomini di Diego de Mendoza. Dopo lo scontro, alcuni cavalieri francesi, tra cui Charles de Torgues, detto La Motte, furono catturati e portati a Barletta.

Durante un banchetto offerto da Consalvo da Cordova, lo spagnolo Íñigo López de Ayala si trovò a difendere l’onore dei soldati italiani contro le accuse di codardia lanciate proprio da La Motte. Ne nacque una sfida: tredici cavalieri per parte si sarebbero affrontati in duello per dimostrare il proprio valore.

Manifesto commemorativo del IV centenario della Disfida di Barletta – Wikipedia, pubblico dominio

Il campo fu scelto tra Andria e Corato. Ogni dettaglio venne stabilito con rigore: cavalli e armi degli sconfitti sarebbero andati ai vincitori, ogni prigioniero riscattato per 100 ducati. A guidare la squadra italiana fu scelto Ettore Fieramosca, che con i Colonna organizzò la selezione dei migliori cavalieri italiani disponibili.

Il giorno dello scontro, gli italiani parteciparono a una messa solenne ad Andria, giurando vittoria o morte. I francesi fecero lo stesso a Ruvo.
In campo, i cavalieri si affrontarono con lance, spade e scuri. Secondo alcune cronache, gli italiani usarono astuzia e determinazione: resistettero alla prima carica e sfruttarono ogni occasione per disarcionare i nemici. Alla fine, tutti i francesi furono feriti o catturati.

Poiché i francesi non avevano portato con sé il denaro per il riscatto, furono condotti a Barletta e liberati solo grazie al pagamento del generoso Consalvo da Cordova.

Barletta, particolare del Monumento alla Disfida. – Di Marcok di it.wikipediaOpera propria, CC BY-SA 2.5, Collegamento

L’eroe: Ettore Fieramosca
Nato a Capua nel 1476, Ettore Fieramosca fu un nobile condottiero dal profondo senso dell’onore. Al servizio degli Aragonesi prima, degli Spagnoli poi, partecipò a numerose campagne militari, distinguendosi per valore e fedeltà.
Dopo la Disfida, combatté a Cerignola e a Gaeta, e fu inviato in Spagna per negoziare privilegi per la sua città natale.

Il re Ferdinando d’Aragona lo ricompensò con il titolo di conte di Miglionico e signore di Aquara.
Tuttavia, con l’instaurazione del vicereame spagnolo a Napoli, Fieramosca fu privato dei suoi feudi da Consalvo da Cordova, che restituì i possedimenti ai vecchi feudatari. Fieramosca rifiutò l’indennizzo, protestò apertamente e preferì la prigione all’umiliazione.

Morì a Valladolid nel 1515, ma la sua figura rimane simbolo dell’onore italiano, celebrata nella letteratura e nella memoria storica, specie grazie al romanzo di Massimo d’Azeglio.

Perché ricordare la Disfida di Barletta oggi?
La Disfida non fu solo un episodio bellico, ma un momento di affermazione identitaria. In un’epoca in cui l’Italia era frammentata e spesso soggetta a potenze straniere, tredici cavalieri mostrarono al mondo che anche gli italiani sapevano combattere con coraggio, lealtà e ingegno.

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