Nato a Nicosia, in Sicilia, Giacomo Amoroso era figlio di un umile calzolaio. Fin da piccolo mostrò una profonda devozione religiosa. Cominciò a lavorare molto presto nella bottega paterna, ma soffriva nel sentire le bestemmie e il linguaggio volgare che vi circolavano.
Imparò presto il mestiere del ciabattino, ma al contempo si avvicinò alla spiritualità dei Cappuccinelli, una confraternita legata al convento locale. La sua fede era autentica e traspariva in ogni gesto quotidiano. Si racconta che un giorno, un operaio tagliò accidentalmente il cuoio di una scarpa. Giacomo, passandoci sopra il dito inumidito di saliva, riuscì, miracolosamente, a ripararla restituendole l’aspetto originale, senza alcun segno del danno.

Felice di Nicosia – Wikipedia, pubblico dominio
Nel 1733, decise di entrare tra i Cappuccini come fratello laico, ma la sua richiesta fu respinta, anche a causa delle difficoltà economiche della sua famiglia, che aveva bisogno del suo contributo. Solo dieci anni più tardi, nel 1743, dopo la morte dei genitori, riuscì finalmente ad essere ammesso al noviziato nel convento di Ristretta, dove ricevette l’abito religioso e il nome di fra Felice.
L’anno successivo fece la professione religiosa e venne assegnato proprio al convento di Nicosia, suo paese natale. Lì svolse per 43 anni l’umile compito di questuante. All’interno del convento si occupava di molti servizi: era portinaio, ortolano, calzolaio e infermiere. All’esterno, raccoglieva offerte e aiutava i confratelli, non solo a Nicosia, ma anche nei paesi vicini come Capizzi, Cerami, Mistretta e Gagliano.
Fra Felice si prendeva cura di tutti: guariva i malati, confortava i carcerati, pregava, lavorava e faceva penitenze per i peccati altrui.
Amava definirsi “u sciccareddu”, l’asinello che porta i pesi raccolti per il convento. Era particolarmente affettuoso con i bambini, ai quali donava noci, nocciole o fave, usandole per insegnare in modo semplice i misteri della fede: le piaghe di Cristo, la Trinità, i Dieci Comandamenti.
Non esitava mai ad aiutare i poveri o gli ammalati che incontrava lungo la strada, e ogni domenica si recava a visitare i detenuti.
Nonostante le sue buone opere, subiva spesso dure umiliazioni da parte del suo superiore e padre spirituale, che lo scherniva con nomignoli offensivi come “poltrone” o “ipocrita“. A ogni offesa, fra Felice rispondeva con dolcezza: “Sia per l’amor di Dio”. In una delle umiliazioni più singolari, fu costretto a travestirsi in modo grottesco e a distribuire una mistura di cenere come se fosse ricotta: si racconta che, per miracolo, la cenere si trasformò davvero in ricotta.

San Felice da Nicosia di Noè Marullo (Chiesa di San Francesco, Mistretta) – Wikipedia, pubblico dominio
Conosciuto per le sue “striscioline miracolose”, piccoli fogli con invocazioni alla Vergine Maria, fra Felice le appendeva alle porte degli ammalati e dei poveri o le metteva nelle cisterne senz’acqua, e spesso si verificavano prodigi che aumentarono la sua fama di santità.
In età avanzata, ritirato dai lavori per motivi di salute, si dedicò alla preghiera. Nel 1777, durante un’epidemia che colpì Cerami, accettò senza esitazione l’invito ad andare ad assistere i malati, nonostante fosse ormai ultrasessantenne.
Nel maggio del 1787, mentre si trovava nel suo orto, fu colto da un malore. Trascorse gli ultimi giorni nel suo letto, affidandosi a San Francesco e alla Madonna. Chiese al superiore, per obbedienza, di lasciarlo morire. Si spense il 31 maggio 1787, all’età di 72 anni.
Fu proclamato Beato da papa Leone XIII il 12 febbraio 1888, e canonizzato da papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2005, durante la sua prima cerimonia di canonizzazione in piazza San Pietro.
La sua festa liturgica si celebra il 31 maggio nella Chiesa universale, mentre i Frati Cappuccini lo ricordano il 2 giugno.
Citazione
I poveri sono la persona di Gesù Cristo, e si devono rispettare.
Riguardiamo nei poverelli e negli infermi lo stesso Dio, e soccorriamoli con tutto l’affetto del nostro cuore e secondo le proprie nostre forze.
Consoliamo con dolci parole i poveri ammalati e prontamente rechiamo loro soccorso.
Non cessiamo mai dal correggere i traviati con maniere prudenti e caritative.
(San Felice da Nicosia)




