
Dora Curtis – ‘La regina Ginevra’, 1905 – Wikipedia, pubblico dominio
La figura della regina Ginevra di Camelot appartiene a quella zona di confine sospesa tra storia e leggenda, dove mito e memoria si fondono fino a diventare un’unica narrazione.
Di lei i poemi del ciclo arturiano dicono poco, ma ciò che resta è sufficiente a farne una delle icone più enigmatiche e discusse del Medioevo: la sposa di re Artù, la donna amata da Lancillotto, e il volto che segna la fine della Tavola Rotonda.
Nei racconti della Tavola Rotonda, Ginevra è l’amata moglie di Artù, sovrano saggio e valoroso, e insieme la donna che accende la passione proibita del suo primo cavaliere, Lancillotto, l’eroe più puro e devoto del regno.
Il loro amore segreto, nato dall’attrazione e dalla lealtà, diventa la ferita più profonda dell’ideale cavalleresco: un tradimento doppio, verso il re e verso Dio, che porta alla rovina di Camelot e allo spegnersi del sogno di una società fondata su coraggio, giustizia e lealtà.
Nel corso dei secoli, Ginevra fu dipinta come donna frivola e seduttrice, causa della caduta degli eroi e del dissolversi della pace.
Ma dietro questa immagine di “tentatrice demoniaca” si nasconde una lettura più profonda: quella di una figura femminile simbolo di forza e di trasformazione, depositaria di un archetipo antico quanto la terra stessa.
Per comprendere la grandezza del mito di Ginevra, è necessario guardare al suo sposo, re Artù, il “re della guerra”.

Re Aurthur da “Epitome of Chronicles” – Wikipedia, pubblico dominio
Le leggende lo collocano tra il V e il VI secolo d.C., in una Britannia divisa, segnata da invasioni e conflitti interni.
Non fu chiamato “sovrano” nel senso celtico del termine, ma “duca della battaglia”: un condottiero, forse un mercenario romano-britannico, capace di unire le tribù e difendere l’isola dai Sassoni.
Alcuni storici identificano Artù con un guerriero celtico, altri con Riotamo, re dei Bretoni.
Secondo un’ipotesi suggestiva, che affonda nelle cronache militari romane, Artù sarebbe stato Lucio Artorio, un comandante della VI Legione rimasto in Britannia dopo il ritiro delle truppe imperiali.
Questo spiegherebbe la raffinatezza della corte di Camelot, impregnata di eleganza latina, e l’incontro tra l’uomo d’armi e la donna che ne avrebbe condiviso il destino: Ginevra.
Artù giunse alla corte di re Leodagan, assediato dai suoi nemici.
Con la forza delle sue truppe spezzò l’assedio e restituì al sovrano la libertà.
Fu in quell’occasione che vide Ginevra, la figlia di Leodagan, di cui si innamorò perdutamente.
Il re, grato e ormai anziano, acconsentì al matrimonio: un’alleanza utile, capace di garantire stabilità e protezione al regno.
A consigliarlo fu Merlino, il misterioso druido e saggio consigliere di Artù.

Merlino che detta le sue poesie, libro francese del XIII secolo – Wikipedia, pubblico dominio
Figura di conoscenza e di potere spirituale, Merlino vide in quell’unione non solo l’amore, ma anche la possibilità di legittimare la futura sovranità di Artù: sconfiggere i Sassoni e poi sposare una principessa di pura stirpe britannica avrebbe unito, sotto una sola corona, il popolo e la terra.
Artù partì in guerra, vinse, e tornò da Ginevra: così nacque il mito di Camelot.
Accanto al sovrano e a Merlino, Ginevra occupa un posto centrale nella leggenda.
È compagna, consigliera e fonte di forza per il re.
Condivide la nascita di Camelot, la fondazione della Tavola Rotonda, e siede tra i cavalieri non per nobiltà di sangue, ma per nobiltà d’animo.
Il suo nome celtico, Gwena, racchiude un triplice significato: bella, donna e regina nell’animo.
La Tavola Rotonda, simbolo di uguaglianza e fratellanza, vede in Ginevra una presenza eccezionale: una donna accolta tra gli uomini, ascoltata, rispettata, portatrice di armonia in un mondo di spade e di fede.

Évrard d’Espinques – I cavalieri di Re Artù, riuniti alla Tavola Rotonda per celebrare la Pentecoste, hanno una visione del Santo Graal.- Wikipedia, pubblico dominio
Il peccato del tradimento con Lancillotto segna la caduta della regina e la fine di Camelot, ma può essere letto anche in chiave simbolica.
Nelle antiche tradizioni celtiche, una Dea della Terra viene contesa da due uomini: uno anziano, legato all’inverno, e uno giovane, simbolo della primavera che rinasce.
Il loro alternarsi rappresenta il ciclo delle stagioni, la vita che muore e rinasce.

Herbert James Draper – Lancillotto e Ginevra – Wikipedia, pubblico dominio
Così Ginevra, amata da Artù e da Lancillotto, non è solo una donna, ma un archetipo della Natura, la Madre Terra che concede e ritira, che genera e distrugge.
Dopo la passione, torna al re e al suo regno, come la terra che, dopo la tempesta, si rinnova.
La regina che non dà figli diventa così madre simbolica di tutti, custode di equilibrio e armonia.
In lei si fondono l’amore umano e la forza primordiale della creazione.

La regina Ginevra e Isotta di Bianca Mano – Wikipedia, pubblico dominio
La figura di Ginevra è molto più di un personaggio tragico o di una regina infedele: è il principio femminile del mito arturiano, l’anima che unisce la sapienza di Merlino e la forza di Artù.
Nel suo amore e nel suo errore si riflette la natura stessa del mondo, dove ogni ordine contiene la possibilità del caos e ogni fine prepara una rinascita.
Ginevra è, in ultima analisi, la personificazione della Terra, della sua mutevolezza e della sua eternità: madre, amante, sovrana e, come ogni mito immortale, specchio dell’umano.
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