Guerre e rivolte segnarono il XVII secolo europeo. Carestie e pestilenze diedero un duro colpo alla fragile popolazione, sempre più ridotta in miseria. Le continue battaglie incatenavano lo sviluppo economico e dissipavano ingenti quantità di denaro, contribuendo ad aumentare drasticamente la pressione fiscale.

Nel 1713 la pace di Utrecht pone fine alla Guerra di Successione Spagnola, combattuta tra Inghilterra, Olanda e Sacro Romano Impero da una parte e alleanza Franco-Spagnola dall’altra. In questo clima d’instabilità nelle colonie Occidentali e Orientali fiorisce un fenomeno che esprime appieno la condizione, gli ideali e le speranze di molte persone:

La Pirateria

Quando finisce una guerra numerosi marinai rimangono allo sbando. Al termine del servizio militare i marinai venivano abbandonati a loro stessi, ridotti a rubare, commettere crimini, in molti casi l’omicidio, specialmente quando, non riuscendo a pagare i debiti contratti, venivano continuamente pressati da strozzini e usurai; o a morire di fame. Questo era un problema appartenente soprattutto agli scarsamente organizzati governi inglese e francese. Al contrario gli olandesi trovavano lavoro nell’industria ittica, non valorizzata abbastanza dagli inglesi visto che i pescatori olandesi si spingevano tranquillamente in acque di competenza britannica, vendendo poi il pescato agli stessi inglesi.

Il pirata Calico Jack – Wikipedia, pubblico dominio

Molti marinai e soldati, alla scadenza della patente di corsa (che gli consentiva di depredare e assaltare nel nome dello stato emittente), non conoscendo altro modo per guadagnarsi da vivere, continuavano ad assalire le navi anche in tempo di pace; coloro che riuscivano a trovare lavoro, a causa della grandezza della domanda e della scarsità di offerta, si dovevano accontentare di paghe misere e trattamenti disumani, visto che gli armatori abusavano spesso a volentieri della loro posizione. Marinai sfruttati dalla madrepatria si davano alla macchia sognando di ottenere le ricchezze conquistate dal famoso Henry Avery durante la sua prolifica carriera: girava voce che grazie alle sue scorribande fosse diventato ricchissimo, avesse sposato la figlia del Gran Mogol indiano e fosse divenuto Re.

In realtà finì i suoi giorni in miseria, tradito dalla sua stessa parsimonia, truffato da persone “di fiducia”

Le occasioni di diventare pirata nelle Antille erano svariate e innumerevoli, spesso dovute al sistema di semi-anarchia vigente nelle colonie: i governatori spagnoli concedevano brevetti a navi da guerra, usandole per aumentare il proprio patrimonio. Col pretesto di combattere il contrabbando ordinavano loro di catturare tutti i vascelli che trovavano nel raggio di cinque leghe dalla costa, spesso però i capitani andavano oltre i limiti imposti dal brevetto, derubando e spogliando di tutto i malcapitati che si ritrovavano tra le loro grinfie; questi sfortunati potevano solo ricorrere alla giustizia mediante querela, che portava, tuttavia, solo a lunghi processi e ingenti spese, tutto per scoprire che “la nave era stata confiscata, il bottino sparito e il comandante, l’unico responsabile, risultava solo un povero furfante”.

I danni subiti dai mercanti divenivano motivo di rappresaglia, come successe nel 1716 al capitano Henry Jennings, il quale si impossessò del tesoro della flotta spagnola naufragata nel Golfo del Messico (sulla costa della Florida) mentre stava venendo ripescato e posto in un magazzino sulla costa poco protetto. Sulla rotta di ritorno verso la Giamaica incontrò una nave spagnola che depredò e lasciò andare; il capitano della nave non mancò di lamentarsi col governatore de l’Avana, che a sua volta le riportò al governatore giamaicano, il quale minacciò ritorsioni contro Jennings. Il capitano e il suo equipaggio decisero, dunque, di abbracciare la vita da pirata, derubando qualsiasi nave gli capitasse a tiro.

Un altro caso è quello di un gruppo taglialegna inglesi, sbarcati abusivamente nella baia di Campeche, attaccati dagli spagnoli che gli confiscarono tutto il legname e quasi tutte le navi. Mentre, abbattuti e disperati, tornavano a casa, si unirono a una ciurma di pirati che incontrarono lungo la rotta. Non era raro che marinai di navi catturate si unissero ai fuorilegge. Edward England iniziò la sua carriera quando il suo veliero fu catturato dal pirata Winter.

Nelle Indie Occidentali i pirati divennero estremamente numerosi, tanto da interrompere i traffici tra le isole e l’Europa. Depredando ottenevano vettovaglie, equipaggiamento per la ciurma e per la nave, oro, argento, spezie e beni di valore. Alcuni pirati ottennero così tanto potere da permettersi di esercitare la propria sovranità non solo sul mare, ma anche sulla terraferma, senza curarsi di sfuggire alla giustizia o di tenere nascosta la propria identità, attaccando le piantagioni, liberando gli schiavi che a volte ingaggiavano nella ciurma, parlamentando e commerciando con i governatori trattandoli da pari, “come se fossero cittadini di una legittima repubblica, e fossero decisi a trattare con il mondo intero in qualità di libero stato”.

Ogni ciurma si dava una sorta di costituzione, che variava da nave a nave e indicava i diritti e i doveri di ognuno; ed eleggeva il proprio capitano. Un membro dell’ex-equipaggio di Howell Davis, in seguito all’uccisione del capitano, mentre era in atto la discussione su chi avrebbe dovuto prendere quel posto, disse: “non ha grande importanza a chi toccherà l’onore del titolo, perché in realtà tutti i buoni governi hanno il potere supremo investito nella comunità, che senza dubbio ha la facoltà di delegarlo e revocarlo a seconda dell’interesse e del capriccio. Noi siamo quelli che hanno dato origine a questo diritto, e se un capitano fosse così insolente da andare oltre i propri poteri in qualunque momento, allora a morte! Servirà ad ammonire i suoi successori delle fatali conseguenze che può avere l’arroganza. Tuttavia è mio parere di scegliere un uomo audace ed esperto che per giudizio e coraggio sembri in grado di difendere questa nostra repubblica e preservarci dai pericoli e dalle fatali conseguenze dell’anarchia”.

Mary Read uccide un antagonista – Wikipedia, pubblico dominio

Non si può dire quanto ci sia di vero in questo discorso, ma riassume molto bene ciò che era, nel XVIII secolo, la pirateria: un insieme di comunità sovrane democratiche, la cui essenza era l’esercizio dell’uguaglianza e della libertà, seppur limitato in modo da non cadere nell’anarchia e, di conseguenza, nel disordine che avrebbe portato, e spesso portò, all’autodistruzione della loro società. La pirateria fu una reazione ai sistemi repressivi e assolutistici che vigevano in Europa, dove le persone comuni non potevano far sentire la propria voce a meno di non far scoppiare qualche rivolta, che puntualmente veniva repressa nel sangue.

Quel discorso fu pronunciato dal pirata Dennis, che concluse proponendo Bartholomew Roberts per il ruolo di capitano; sarà proprio lui, in seguito al tradimento di una parte della sua ciurma, riflettendo sulla mancanza di unità nell’equipaggio, a redigere un regolamento destinato a diventare il più famoso fra tutti, del quale oggi purtroppo conosciamo solo poche norme, in quanto l’originale venne gettato in mare. Sappiamo, tuttavia, che serviva a delineare una giustizia che andava rispettata e mantenuta nell’interesse di tutti. Nel caso fossero sorti dei dubbi circa l’interpretazione di una regola avrebbero nominato un giudice per interpretarle e pronunciarsi, anche sui casi controversi. Queste regole valevano grosso modo per tutti i pirati.

Credito d’immagine: Manuel Velasco – fotografia libera da diritti – Fonte

Il quartiermastro si dedicava ai reati minori: liti tra gli uomini, mancata pulizia delle armi, maltrattamenti sui prigionieri, saccheggi oltre misura; le punizioni consistevano in frustate o bastonate. Il capitano non godeva di privilegi e potere assoluti come nelle navi della marina: “i pirati lo tollerano come capitano a condizione di poter essere a loro volta i suoi capitani”. L’equipaggio poteva entrare nella sua cabina, usare la sua argenteria e mangiare il suo cibo senza ritorsioni di sorta. Per quanto riguarda il tribunale nella Storia Generale dei Pirati si dice: “questo tribunale non aveva avvocati prezzolati, e l’usanza di corrompere i testimoni era sconosciuta; né giurie composte ad arte, né il senso della legge stravolto e torturato per strani fini, né le cause rese confuse ed enigmatiche con termini incomprensibili e distinzioni superflue; né le loro sedute erano funestate da innumerevoli magistrati, ministri e facce di malaugurio, capaci di far scappare Astrea (dea della giustizia) dal tribunale”.

Insomma, prendendo a esempio la società vigente nella terraferma, quella da cui venivano, i pirati cercavano di renderla più egualitaria. Arrivati a questo punto è doveroso parlare di New Providence, un’isola delle Bahamas, sede della più importante colonia pirata dei Caraibi.

Al centro di una guerra per il dominio sulle colonie caraibiche, l’isola, sotto la custodia inglese, fu attaccata diverse volte da inviati spagnoli e francesi, diventando ben presto covo di numerosi pirati, gli unici disposti a vivere in quelle condizioni. Nonostante i timidi tentativi di ristabilire l’ordine, solo nel 1718 si riuscì a fare dei veri passi avanti nella lotta contro quel fenomeno, grazie alla risolutezza del governatore Woodes Rogers, inviato a sanare la situazione.
Più di mille pirati abitavano Charles Town/Nassau: Charles Vane, Edward Teach, Thomas Barrow, John Rackham, Henry Jennings, Benjamin Hornigold, Richard Noland, erano gli esponenti di quei furfanti.
Questi pirati si davano al saccheggio delle navi che passavano davanti alle coste dell’isola e al commercio d’ogni genere di mercanzia, rendendo la colonia un enorme e prolifico mercato nero, dove ci si poteva liberamente procurare di tutto. La base divenne una vera e propria Repubblica negli anni tra il 1706 e il 1718, dove ognuno aveva un ruolo ben preciso. Persino ex-pirati ed ex-corsari vi accorrevano per mettere le loro abilità al servizio della neonata comunità. Il via fu dato da Henry Avery, quando portò un ricco bottino a Nassau, mediante il quale corruppe il governatore Nicholas Trott.

Il dominio della colonia passò totalmente in mano ai pirati quando, tra il 1703 e il 1706, le flotte francese e spagnola attaccarono la città; per molti coloni fu la goccia che fece traboccare il vaso, e la abbandonarono definitivamente, lasciandola nelle mani dei pirati in uno stato di totale anarchia, furti, liti, assassinii, case bruciate, donne stuprate sotto gli occhi di tutti, relitti e scialuppe sparse per la spiaggia. Stanchi di vedere una colonia così potenzialmente proficua rasa al suolo, alcuni capitani si proposero di darle un governo funzionante e di stabilire lì il fulcro dell’economia piratesca dei Caraibi: Thomas Barrow ne voleva fare un secondo Madagascar, attirando altri uomini dalla Giamaica; ma fu all’arrivo di Hornigold e Jennings, giunti a New Providence dopo che il governatore giamaicano si era rifiutato di fargli spendere il bottino catturato dalla nave del tesoro spagnola, che si costituì la vera repubblica dei pirati, regolamentata da un codice di condotta e dei magistrati che lo facevano rispettare.

I continui contrasti tra le potenze europee causarono il quasi abbandono a se stesse delle colonie americane, e questo portò all’aumento del numero e dell’influenza dei pirati. Solo quando la situazione degenerò e iniziò a causare perdite troppo ingenti alle corone del vecchio mondo, che necessitavano di continua affluenza di beni ora più che mai, si mise in opera una politica anti-pirateria che determinò la fine dell’epoca d’oro e della repubblica di New Providence, la più grande e importante utopia pirata realmente esistita.

Ann Bonny e Mary Read: un’incisione su rame – Wikipedia, pubblico dominio

Per approfondire la vicenda della pirateria è inoltre importante spostarsi in un’altra parte del globo, in un’isola più grande persino della Gran Bretagna, situata al largo della costa dell’Africa Orientale:

il Madagascar

Abitata da un gran numero di tribù, l’isola era divisa tra signorotti perennemente impegnati in continui litigi. Premio per la vittoria, oltre alla sopravvivenza della tribù, era la cattura di schiavi, destinati alla pena di morte o alla vendita. Questi capi locali conoscevano bene la superiorità economica e tecnologica dei bianchi e cercavano in ogni modo di accaparrarsi la loro amicizia: infatti erano così temuti che bastava si mostrassero ai nemici per farli scappare via.

I pirati, appena capirono che questa terra si presentava come un ottimo rifugio, vi si stabilirono; in poco tempo acquisirono grande potere, sposarono le donne più belle (praticavano la poligamia), impiegavano degli schiavi per pescare, cacciare e coltivare; spesso gli indigeni si recavano da loro in cerca di riparo, diventando spontaneamente loro servi. In questo modo da pirati diventavano veri e propri Principi, con i rispettivi possedimenti, proprie comunità ed eserciti che impiegavano per avere ragione sui vicini, anche per le discussioni più sciocche; si davano le proprie leggi e forse solo una cosa li accomunava, la punizione: per ogni reato o colpa, anche la più infima, si legava lo sventurato a un albero e lo si uccideva con un colpo al cuore, almeno così ci racconta il Capitano Charles Johnson.

La situazione non piaceva affatto ai nativi, i quali presero a ribellarsi

Cospirarono di liberarsi dal giogo dei padroni ma, riconosciuta la minaccia, i pirati nel frattempo divisisi a causa delle continue liti, si ricompattarono pur di avere la possibilità di aver salva la vita. L’attentato fu sventato, ma da allora divennero più cauti e ravveduti: di comune accordo fomentarono l’odio fra le tribù in modo che combattessero ancora con più accanimento fra loro, rimanendo intanto neutrali. Quando qualcuno, sconfitto, accorreva a chiedere la loro protezione, insieme a tutta la famiglia, diventava fedele suddito di questi bianchi, dato che da loro dipendeva la sua incolumità. Grazie a ciò rimarcarono la loro superiorità, e ripresero a separarsi in modo da avere ciascuno maggior territorio su cui dominare. Fortificarono le proprie residenze, rendendole vere e proprie cittadelle, costruite in una zona boscosa, in prossimità di un corso d’acqua, circondate da un bastione e un avvallamento; l’abitazione era una capanna nascosta nel bosco, con un accesso formato da un sentiero stretto, angusto e intricato, puntellato di grosse spine in modo da renderne periglioso il raggiungimento. Così vivevano da tiranni, poveri, sporchi e vestiti di pelli.

 

Una lapide dal cimitero dei pirati del Madagascar – immagine: Wikipedia/Antony Stanley (CC BY-SA 2.0)

Nel 1698 il Consiglio del commercio e delle piantagioni chiese di reprimere la pirateria nelle indie orientali e appropriarsi dei beni dei pirati, per assicurare il commercio in quei mari. I forti e i rifugi sarebbero dovuti essere distrutti; il proclama sull’inizio della persecuzione dei pirati che si sarebbero rifiutati di arrendersi all’Inghilterra, consigliavano di pubblicarlo sull’isola di Santa Maria, situata vicino alla costa nord orientale del Madagascar, probabilmente perché noto covo di pirati, tra i più influenti di quei mari (William Kidd la usò come base).

In questa terra ricca d’ogni genere di prodotto fu fondata Libertalia, la celebre repubblica dei pirati, a opera del capitano Misson, secondo alcuni avviata da Avery. Nessuno oggi sa dire con certezza se questa utopia fondata dai pirati per i pirati sia mai esistita, l’unico a parlarne è Johnson nella Storia generale dei pirati, della quale anche gli esperti hanno difficoltà a comprendere quanto ci sia di vero, in quanto pare palese che in alcuni passi l’autore si sia concesso qualche licenza. Probabilmente inventò la storia di Misson, arricchendola di qualche elemento reale, con lo scopo di denunciare la corruzione e i problemi sociali che flagellavano l’Europa e le colonie…

 

Stralcio testo tratto da un articolo di Alessandro Licheri pubblicato nella pagina di vanillamagazine.it sulla quale vi suggerisco di continuare la lettura…

.

.